Una proposta volutamente provocatoria: 2200 euro al mese a tutti i cittadini residenti sia che questi dispongano di un lavoro, sia che siano o meno disposti ad accettare un lavoro.
Un reddito di base incondizionato e universale, questa la definizione esatta, per la cui introduzione sarebbe stato necessario addirittura “aggiornare” la costituzione elvetica con alcune nuove disposizioni. Ma una provocazione positiva per il dibattito che ha stimolato, nel fronte del Sì come in quello del No. Il Sì in questo quadro prende un significativo 23%, considerando genesi, promotori, proposta e fronte del No, che aveva il suo alfiere principale nel governo stesso, un risultato più che dignitoso. È soprattutto un’occasione per analisi e discussioni che fanno fatica a superare le Alpi. Perché?
Perché nel nostro paese di corporazioni la liberazione delle persone non è un interesse condiviso e utile a nessuno se non ai diretti interessati, perché preferiamo dividerci su ballottaggi e apparentamenti, perché anche il movimento 5 stelle che del tema del reddito si è fatto principale promotore in questo paese non sembra interessato a far vivere un dibattito e a raggiungere una proposta condivisa con le altre forze politiche e sociali che pure negli anni hanno scritto, sottoscritto, riflettuto e diffuso idee e proposte concrete di reddito garantito.
Oggi che in Italia si discute di un nuovo debito, quello legato alle pensioni, l’anticipo pensionistico ottenuto con un prestito (Ape) come propone il governo, è chiaro che non ci sono vie d’uscita se non con un profondo cambiamento dello stato sociale. Ilwelfare, in Italia ma non solo in Italia, è stato costruito su un mondo del lavoro che non esiste più. Le lacune di un sistema che non ha affrontato per troppi anni la precarizzazione delle vite, l’avvento delle nuove tecnologie, i tassi di disoccupazione, diventano delle faglie pericolose, per non guardare le quali continuiamo a indebitarci e ad accettare questo fardello dalla culla alla tomba.
L’idea del reddito, nelle diverse forme in cui potrebbe essere pensato, permette invece di affrontare la questione delle nuove povertà, di una nuova economia redistributiva, delle trasformazioni del lavoro, delle tassazioni delle transazioni finanziarie e soprattutto della liberazione e dell’autodeterminazione delle persone, dai debiti, come dai ricatti materiali e immateriali a cui giornalmente vengono sottoposte.
Allora la domanda sorge spontanea, la potremmo rivolgere a Nannicini come a Poletti, come a chiunque della classe dirigente di questo paese: davvero pensate di perseguire la strada del controllo delle vite attraverso la finanziarizzazione dell’economia, dei servizi, dello stato sociale, del lavoro? Perché oltre che folle, è insostenibile.
Sta a noi lanciare una proposta, una nuova campagna, una qualunque forma di mobilitazione per chiedere a gran voce che anche in Italia, finalmente, si possa discutere e introdurre una forma di reddito.