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2016-11-26-20-30-14-243

Non una di meno e reddito di autodeterminazione

di Melania Mieli

Non una di meno – Manifestazione Nazionale e Tavoli di Lavoro del 26/27 Novembre 2016

La manifestazione “Non una di meno” è il punto di partenza di un percorso -ambizioso, comune e partecipato dai femminismi italiani- finalizzato alla realizzazione di un Piano D’Azione Nazionale Femminista contro la violenza maschile sulle donne. Prossima tappa l’8 marzo per lo sciopero globale delle donne.

Sabato 26 novembre sono partita da Piazza della Repubblica per arrivare a Piazza San Giovanni insieme a duecentomila persone che hanno sfilato a Roma contro la violenza di genere condividendo lo slogan: “Non una di meno”.

La realtà dell’attivismo che è sceso in piazza ha dimostrato che la violenza maschile sulle donne non viene più considerata un problema esclusivamente femminile, di cui solo le donne devono farsi carico, ma un problema culturale ben più ampio, di cui l’intera società deve ritenersi responsabile. Aspetti legati all’omosessualità, alla disabilità, al superamento del binarismo di genere fanno infatti parte del programma che si vuole portare avanti comprovando che la direzione del femminismo è sempre più intersezionale.

Eravamo tutt* carich* dopo la grande partecipazione al corteo e gli otto tavoli di lavoro dell’assemblea nazionale che si sono tenuti il giorno seguente hanno beneficiato di questa enorme energia. Tra tutti, il tavolo a cui ho partecipato -“Lavoro e accesso al welfare”- ha come obiettivo quello del riconoscimento del reddito di base, definito “reddito di autodeterminazione”.

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Presentazione del tavolo “Lavoro e accesso al welfare”

Link alla pagina ufficiale clicca qui:

Lavoro e Welfare

In Italia le lavoratrici percepiscono, mediamente, 3.620 euro lordi l’anno in meno dei lavoratori. La differenza percentuale dei salari è dunque del 10,9%. Differenza che cresce enormemente con il livello d’istruzione: lavoratrici laureate percepiscono un salario minore del 36,3%. Secondo una ricerca Istat di qualche anno fa, sono 1 milione 224mila le donne tra i 15 e i 65 anni che hanno subito molestie o ricatti sessuali nell’arco della loro vita lavorativa. Un dato pari all’8,5% delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione. A tutto ciò si aggiunge la precarietà dilagante imposta dalle ultime riforme del mercato del lavoro, il Jobs Act in particolare: piena liberalizzazione del contratto a tempo determinato (senza causale); dequalificazione del contratto di apprendistato; eliminazione dell’articolo 18 e contratto a tutele crescenti; voucher e stage non retribuiti come forma predominante del lavoro giovanile, sostenuti dalla retorica e dal ricatto della formazione continua. Così come la completa assenza di un welfare universale (e non solo assicurativo, legato al rapporto di lavoro), capace di porre argine alla strutturale intermittenza lavorativa e di garantire l’autonomia delle donne. Obiettivi del tavolo saranno dunque: approfondire e aggiornare il tema delle molestie/violenze sessuali sul posto di lavoro. Condividere strumenti, giuridici e pratici, di mutuo sostegno e di auto-difesa; censire i processi d’intensificazione dello sfruttamento del lavoro delle donne e il rapporto tra questi e il peggioramento della salute riproduttiva; approfondire il nodo della disparità salariale, con riferimento privilegiato alle tante forme di lavoro precario, esternalizzato, sotto-pagato, gratuito (dalla para-subordinazione alle false partite Iva, ai voucher, agli stage e tirocini non pagati, ecc.), il salario minimo europeo come misura per combattere la sotto-occupazione e il dumping salariale; qualificare l’insufficienza delle politiche di sostegno alla genitorialità. Definire le alternative concrete: riduzione dell’orario di lavoro e part-time volontario; rifinanziamento dei servizi pubblici per l’infanzia; politiche capaci di riconoscere forme di affettività non tradizionali; reddito di base e welfare universale per una campagna politica contro il ricatto imposto dal welfare italiano ancora selettivo-particolaristico, familistico, corporativo.”

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Vi riporto la mia esperienza di partecipante:

Si è partiti dal concetto della femminilizzazione del mercato del lavoro intesa non come maggiore presenza delle donne, quanto piuttosto come riduzione del lavoro nel suo complesso alle condizioni di precarietà, gratuità e natura suppletiva a quello maschile.

È vero che, come recita lo slogan: “La famiglia patriarcale può fare tanto male”, e dopo decenni di partecipazione significativa al mercato del lavoro possiamo aggiungere che anche: “Il lavoro patriarcale può fare tanto male”, pertanto nasce la necessità di abbattere le roccaforti su cui si fonda:

-eliminare le differenze salariali. Non esiste una sola ragione accettabile per cui una donna debba guadagnare nel nostro paese in media il 10% in meno del collega maschio;

-abbattere gli ostacoli agli scatti di carriera e consentire alle donne di occupare posizioni di vera leadership secondo modelli di potere femminile che non scimmiottino quelli maschili. Negli interventi si è parlato di come il sistema delle carriere delle donne in molte realtà professionali sia fortemente limitante della libertà personale o che proponga una sostituzione di oneri dalle “ricche” alle “povere”. Si è fatto l’esempio dell’America in cui alcuni grandi studi legali stanno pagando i benefit alle professioniste con ovuli congelati e madri surrogate;

– sradicamento del concetto di maternità come esclusione dalla vita lavorativa e rivendicazione di una legge sulla paternità obbligatoria;

-lotta al mobbing. Si è parlato del dato sconcertante che vede in Italia 1,2 milioni di donne che hanno denunciato ricatti e/o violenze sessuali sul lavoro;

riforma del welfare che si fonda oggi sul pilastro del familismo;

-erogazione di un reddito di autodeterminazione universale e possibilmente europeo che possa garantire indipendenza e dignità anche in ottica lungimirante, partendo dall’assunto che la domanda di lavoro è destinata a diminuire come risultato del processo di robotizzazione (rivoluzione 4.0).

Negli otto tavoli tematici si è tracciato un percorso che sarà ripreso in due date: una prossima assemblea di due giorni (il 4 e 5 febbraio, molto probabilmente a Bologna), e uno sciopero globale delle donne per l’8 marzo che riprende lo spirito e la lettera della proposta lanciata dalle donne argentine e latinoamericane lo scorso 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza di genere. Secondo alcune si tratterà di una nuova «Internazionale femminista» che vuole riempire di senso un 8 marzo diventato rituale.

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