Pubblichiamo di seguito il report dell’incontro tenutosi a Bologna il 6 e 7 ottobre 2018. Con forza, di nuovo, tra le tante proposte anche il reddito di autodeterminazione.
Buona lettura:
Abbiamo dovuto fare un grande sforzo di sintesi e questo significa che forse sacrificheremo frasi cariche di potenza, riflessioni e proposte importanti che hanno animato questa due giorni ma certamente troveranno spazio nei report. Ma una sintesi è necessaria per trasformare tutto ciò che abbiamo condiviso in questi due giorni in un processo che sia all’altezza delle nostre aspettative.
Cominciamo dalle date, non perché siano la cosa più importante ma perché stabiliscono una scansione di passaggi, e abbiamo il compito di trasformare queste date in momenti propulsivi e non semplicemente in punti di arrivo. Abbiamo tracciato un percorso che comprende la proposta di un’iniziativa a Verona il 13 ottobre per l’aborto libero, sicuro e gratuito. Mobilitarsi a Verona risponde all’urgenza di intervenire là dove gli attacchi reazionari all’aborto si stanno manifestando in modo eclatante, sapendo che si tratta di una battaglia del femminismo globale. Il 10 novembre ci sarà un’iniziativa coordinata a livello territoriale contro il Ddl Pillon.
Avremo modo di discutere di come organizzarla sui territori, ma questo è un terreno prioritario di iniziativa per noi. Il 10 novembre deve essere catalizzatore verso il 24 novembre a Roma, in un processo in cui dobbiamo avere la capacità di mostrare che quel disegno di legge è una reazione alla nostra pretesa di libertà, di far vedere che è parte di un disegno patriarcale e razzista che fa della violenza una colonna portante della società.
Questo non lo possiamo accettare ed è per questo che la lotta contro il Ddl Pillon e il decreto del razzista Salvini sarà centrale per noi da qui in avanti. Alcune hanno osservato che il decreto Salvini è anche una risposta alla nostra iniziativa politica, vuole impedire le nostre lotte, vuole impedire che scendiamo in piazza, e questo significa che mai come ora, ostinatamente, saremo in piazza e non ci faremo fermare!
Dobbiamo riconoscere che come Non una di meno abbiamo anticipato i tempi. Il Piano femminista antiviolenza, che noi faremo vivere da qui in avanti nelle nostre lotte, contiene risposte alle misure che oggi ci stanno attaccando duramente. La rivendicazione di un reddito di autodeterminazione è già una risposta a un infame reddito di cittadinanza fatto per mettere al lavoro quelli che chiamano poveri, ma in realtà non sono altro che precarie e precari che oggi guadagnano pochi centesimi e domani non guadagneranno nulla, e non riescono a conquistare un salario sufficiente per vivere, e non è un caso che anche il salario minimo sia stato parte del nostro Piano.
Noi non accettiamo di farci moralizzare, di farci trattare come colpevoli della nostra precarietà quotidiana. Rivendichiamo la parola autodeterminazione anche per rispondere a chi, come Pillon, vuole usare la dipendenza economica per riaffermare la famiglia come ordine gerarchico che ci opprime. Noi abbiamo anticipato la rivendicazione di un permesso di soggiorno europeo senza condizioni, slegato dal reddito, dal lavoro e dal matrimonio, perché sappiamo che la libertà di movimento è la condizione per rifiutare e lottare contro il patriarcato e contro la violenza, e quindi non accettiamo che siano maschi, padroni e tribunali a stabilire quali siano i casi “speciali” che meritano la concessione di un permesso di soggiorno.
Questo è il modo per trasformare il nostro piano in una lotta. Lo stato di agitazione permanente che dichiariamo da qui all’8 marzo significa che tutto quello che è venuto fuori dalle aree tematiche vivrà nei territori da qui in avanti. È impossibile fare una sintesi delle moltissime proposte che sono emerse, ma dobbiamo riconoscere che d’ora in avanti saremo presenti nei luoghi di formazione e della salute, nelle strade e sui posti di lavoro, nelle lotte operaie.
Ci saremo, porteremo avanti la nostra iniziativa politica, e lo faremo coltivando intensamente il rapporto di coordinamento tra i territori. Nudm non è soltanto fatta di grandi città: Nudm va oltre i confini delle organizzazioni tradizionali della militanza, ha portato l’iniziativa dove prima semplicemente non c’era.
Sentire, come abbiamo sentito in questa assemblea, “sono diventata femminista l’8 marzo” è un risultato e una sfida, e dobbiamo raccoglierla valorizzando lotte territoriali che appaiono piccole e sono in realtà fondamentali, e anche per questo ricordiamo l’iniziativa antifascista lanciata da Nudm Trieste per il 3 novembre. Non dobbiamo perdere di vista il piano globale: dall’Argentina agli Stati Uniti, dalla Polonia alla Rojava, come le iniziative locali esistono in forza di un processo più ampio, così noi traiamo forza in Italia da un processo globale al quale dobbiamo richiamarci perché ne siamo parte e quello che facciamo ogni giorno è questo processo globale.
Dobbiamo riconoscere che, in un momento in cui è legittimo dire che la libertà di qualcuno si può conquistare solo al prezzo dell’oppressione di qualcun altro, noi siamo l’unico movimento globale a rifiutare espressamente questa logica. Il nostro è un discorso che parte dalla libertà e dalla differenza per darle una forza politica, perché quella differenza stabilisce la linea dello schieramento. Di fronte a un uso sistematico delle gerarchie, che dice che la lotta contro la violenza sulle donne giustifica il razzismo o che alcuni possono godere di un po’ di benessere solo se altri sono esclusi, noi siamo le uniche a prendere chiaramente parola e lo sciopero è la pratica che ci permette di affermare questa posizione. Lo sciopero è lo spazio che permette a chiunque rifiuti di essere violentata, sfruttata e oppressa di essere protagonista e prendere parola.
La discussione su che cosa sia sciopero femminista deve essere perciò portata avanti continuamente e sistematicamente, perché noi lo sciopero femminista lo stiamo imparando nella pratica. Non esiste una definizione o un modello, lo sciopero femminista rompe i modelli. Non riguarda solo la produzione anche se non abbiamo mai rinunciato a entrare nei luoghi di lavoro, ma riguarda anche il lavoro riproduttivo e la riproduzione di tutta la società, perché sciopero significa rifiutare i ruoli e le posizioni che ci vengono imposti e di accettarli a testa bassa.
Dobbiamo pensare che cosa significa dare visibilità al carattere femminista dello sciopero, e questo impegno è associato allo stato di agitazione permanente. Arriviamo all’8 marzo facendo in modo che quell’appuntamento sia imperdibile per chiunque ha deciso che non accetta queste condizioni, per chiunque non accetta la violenza come pratica ordinaria di riproduzione della società, o che non accetta il razzismo praticato in proprio nome. Dobbiamo farlo facendo dello sciopero un momento di esplosione, il momento culminante di questa battaglia. Questo ci permette di essere all’altezza della speranza espressa nell’appello che convocava questa assemblea: che “Non una di meno”, sia, perché può continuare a esserlo, un grido di liberazione per tutte e tutti.
NON UNA DI MENO