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Reddito di cittadinanza, parla l’esperto: «È un primo passo, ma non basta»

di Davide Saracino

Negli ultimi mesi si parla molto di reddito di cittadinanza. Ma cosa pensa della versione italiana del basic income network chi da anni ne promuove l’introduzione nel nostro Paese?

BIN Italia – si legge sul loro sito – è un’associazione che raggruppa “sociologi, economisti, filosofi, giuristi, ricercatori, liberi pensatori che da anni si occupano di studiare, progettare e promuovere interventi indirizzati a sostenere l’introduzione di un reddito garantito in Italia”. Abbiamo parlato con Luca Santini, presidente dell’associazione, per scoprire cosa si aspetta dal reddito di cittadinanza versione governo del cambiamento.

Partiamo da un confronto con il presente. Il reddito di cittadinanza incluso nel contratto di governo è un passo in avanti rispetto al reddito di inclusione (REI) già in vigore?

«È sicuramente un passo in avanti, perché l’impegno economico del governo è considerevolmente più alto rispetto a quello previsto per il reddito di inclusione. Ed è una riprova delle ragioni che abbiamo avanzato da almeno un decennio. L’Italia è indietro di almeno trent’anni su questo tema rispetto agli altri Paesi europei e insieme alla Grecia rimane l’unico Paese della zona euro a non avere una misura di reddito garantito. Ci sono tantissime sperimentazioni in tutto il mondo che vanno addirittura più avanti, verso un reddito di base incondizionato. Era ora che in Italia si mettesse in agenda un parziale adeguamento.»

Guardando proprio all’estero, quali tra i Paesi che hanno già messo in atto misure simili possono essere un esempio?

«È difficile individuare un modello perfetto, perché ovviamente si tratta di diverse esperienze che si confrontano con diverse specificità nazionali. I Paesi scandinavi sono l’obiettivo cui tendere perché presentano sistemi di welfare efficienti e inclusivi che promuovono la persona all’interno della comunità. Ma ci sono anche altri sistemi interessanti. Per fare due esempi, in Irlanda è presente una misura di reddito garantito per gli adulti che tornano a studiare, mentre in Belgio e Francia è stata introdotta una forma di reddito garantito specificamente pensata per gli artisti, che hanno un tempo di performance molto breve nell’arco dell’anno ma un tempo molto ampio di studio e preparazione che non va ignorato.»

È plausibile che in Italia l’introduzione di una misura di reddito garantito si accompagni a uno smantellamento del welfare?

«Non è ciò che auspichiamo. Ad ogni modo partiamo da un livello talmente basso che è difficile pensare che in cambio del reddito si smantellino le prestazioni di invalidità o altre prestazioni per gli incapienti anziani, per dire. Ciò che l’Italia deve fare è predisporre un welfare generoso per tutte le categorie, ma partiamo da un livello talmente basso di tutela che uno smantellamento ulteriore del welfare ci sembra un’ipotesi davvero non praticabile.»

Una parte della Lega e della stampa di destra hanno criticato l’ipotetica estensione del reddito agli stranieri residenti in Italia. Un’eventuale introduzione del reddito solo per i cittadini italiani può avere un effetto boomerang e aumentare ulteriormente le diseguaglianze inasprendo le tensioni sociali?

«Questo è uno degli aspetti problematici della misura così com’è stata presentata. Noi finora abbiamo salutato con favore l’impegno economico del governo, ma bisogna rendersi conto che gli stranieri sono inclusi nell’economia e nella vita sociale del Paese e vanno inclusi nella democrazia. Una società democratica non può escludere una parte consistente della sua popolazione dai diritti fondamentali.»

Se questo è uno degli aspetti problematici, quali sono gli altri?

«Il rischio principale è il tradimento degli scopi ultimi di questa misura. Il reddito garantito serve a risarcire persone che non hanno avuto abbastanza dalla società, non a punirle con programmi vessatori. In questo senso alcuni neologismi ci preoccupano molto: cosa si intende per “volontariato obbligatorio”? Non capiamo bene di cosa si tratta. Un’attività svolta in favore di terzi, obbligatoria e retribuita è un lavoro, e deve essere trattata come tale con tutti i diritti del caso, non essere erogata in cambio di un’elargizione assistenziale. C’è una narrazione che va verso la punizione degli individui e non verso la loro valorizzazione e questo ci sembra un modo contraddittorio di presentare una misura che dovrebbe andare in tutt’altra direzione.»

Sotto questo aspetto è corretto che dopo tre rifiuti di proposte di lavoro decada il diritto al reddito di cittadinanza?

«Qui bisogna fare chiarezza. Di che tipo di proposte di lavoro si tratta? Se tengono conto delle competenze e del passato lavorativo del soggetto, presentandogli una remunerazione adeguata, allora perché dovrebbe rifiutare? Se invece si tratta di andare a proporre a un cardiologo un lavoro qualsiasi, un rifiuto può essere giustificato. Ne va dell’equilibrio di tutta la società, perché se noi prendiamo un lavoratore molto qualificato e lo mettiamo a fare un lavoro generico è una perdita di competenze non solo per il soggetto, ma per l’intera comunità. Sicuramente il beneficiario può avere degli obblighi di attivazione, ma l’obbligo deve andare in un doppio senso e riguardare anche la congruità degli impieghi offerti dagli uffici pubblici.»

Come si comportano all’estero sotto questo aspetto?

«Le misure in essere nei Paesi europei prevedono penalizzazioni per chi non partecipa a percorsi formativi, ma non è mai prevista la revoca tout court della misura di sostegno.»

Davide Saracino

Tratto da Libero Pensiero del 3 ottobre 2018

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