È tempo di elezioni e si fa un gran parlare da tempo di reddito minimo garantito. Si tratta di una forma di sussidio dato a tutti coloro che non riescono a raggiungere una soglia reputata adeguata ad avere una vita dignitosa, siano essi sottoccupati o disoccupati. La proposta in tal senso è strutturata su una constatazione molto semplice: chi non dispone di adeguate risorse, non solo non può condurre una vita dignitosa, che è uno dei diritti fondamentali connessi alla persona umana, ma finisce per diventare dannoso alla collettività, in quanto non contribuisce alla formazione della ricchezza per la pratica impossibilità di consumare.
In Italia, a farsi capofila della battaglia per l’istituzione del reddito minimo garantito, è stata la Associazione per il Basic Income (Bin), formata da economisti, sociologi, ricercatori filosofi, giuristi ed altre figure professionali che ormai da molti anni si occupano di elaborare studi e progetti in tal senso e di promuovere iniziative tese a sostenere l’introduzione dello stesso.
Proprio questo pensatoio, circa un anno fa, quando il governo Monti muoveva i suoi primi passi, si era incaricato di lanciare un appello teso a mettere in guardia dal rischio di default sociale che corre l’Italia, dovuto alle politiche messe in atto dai governi che si sono succeduti in questi ultimi anni e alla compressione delle politiche sociali varata al fine di riportare sui binari di sicurezza i conti pubblici. Se l’operazione sembra parzialmente riuscita, con l’Italia che ha visto negli ultimi mesi allentarsi la presa della grande speculazione internazionale, ciò è costato però carissimo in termini di coesione sociale, con interi strati della popolazione ormai sotto i livelli di sussistenza e impossibilitati a consumare. Un danno ulteriore per la nostra economia, che si riverbera in maniera pesantissima sulle imprese, costringendole ad una serie di licenziamenti che alimentano la sfiducia e creano ulteriori falle nel sistema economico e produttivo del paese.
La crisi sociale denunciata dalla Associazione per il Basic Income, si è addirittura aggravata negli ultimi mesi, con un 29,9% di persone che stanno scivolando più o meno lentamente verso il rischio povertà. Proprio per questo motivo, era stato lanciato l’appello “Fate presto!”, che indicava proprio il reddito minimo garantito come giusto antidoto ad una situazione che stava sfuggendo drammaticamente al controllo. Quell’appello non è stato mai preso in considerazione e oggi Bin ci riprova, chiedendo alle forze politiche che stanno contendendosi il governo del paese per il prossimo quinquennio, di aderire a quel manifesto, che parte ora da nuovi dati.
Come quelli che indicano un vertiginoso aumento dei furti nei supermercati riguardanti generi di prima necessità, che ricordano come oltre 2,5 milioni di giovani sono non solo privi di occupazione, ma addirittura espulsi dal ciclo formativo, mentre tra i disoccupati solo uno su quattro riesce a trovare un lavoro, che però è sempre più spesso nel settore del precariato, entro il termine di un anno.
La stessa Associazione, ricorda come anche la Comunità Europea ormai da anni esorti il nostro paese a dotarsi di un sistema di welfare imperniato sulla concessione di sussidi per chi perde il lavoro o non lo ha mai trovato, insieme ad efficaci misure che servano a sostenere il reddito su livelli dignitosi. Misure che però non sono mai state varate dai nostri governi e che tornano a far parlare di sé in questa campagna elettorale.
Alcune forze politiche, infatti, hanno espressamente inserito il reddito minimo garantito nelle proprie proposte per la prossima legislatura, a partire dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, che da tempo ne fa uno dei suoi cavalli di battaglia, con parole molto forti e precise. Come quelle espresse a margine dello Tsunami Tour, il giro elettorale che il comico genovese sta conducendo nelle piazze italiane e nell’ambito del quale ha affermato che è ormai del tutto indispensabile una rete di sopravvivenza imperniata su un reddito di cittadinanza di mille euro, da corrispondere per un periodo di almeno tre anni, il quale è evidentemente teso a mettere in sicurezza chi non ce la fa. Per quanto concerne il modo di finanziare il provvedimento, lo stesso Grillo afferma che tutti saranno chiamati a fare sacrifici, a partire dal sistema politico cui saranno tagliati i tre miliardi di rimborsi elettorali che sono attualmente destinati ai partiti. Altri provvedimenti che saranno varati per finanziare il reddito minimo di cittadinanza, arriveranno quindi dalla abolizione delle Provincie e dall’accorpamento dei Comuni di piccole dimensioni, dai risparmi che saranno conseguiti sui soldi destinati per le missioni all’estero e da una lotta senza quartiere all’evasione fiscale. Ad integrare il provvedimento, arriverà poi un sistema di collocamento nel quale chi non dovesse accettare le offerte di lavoro perderebbe il diritto al sussidio. Un sistema che non prevede alcuna novità, in quanto già valido in molti paesi in tutta Europa.
Anche Il leader di Sel, Nichi Vendola, ha inserito espressamente nel suo programma una proposta in tal senso, vista come uno strumento normativo in grado di contrastare almeno in parte il rischio sempre crescente di marginalità di strati sempre più ampi della popolazione. Una marginalità, che non è solo economica, ma anche di carattere psicologico, che ha ricadute drammatiche con una evidente distruzione delle basi sociali e della qualità della vita di chi si trova a dover combattere giorno dopo giorno per non scivolare sempre di più nella scala sociale.
Per quanto concerne Pier Luigi Bersani, invece, il segretario del Partito Democratico e candidato premier del centrosinistra, in una recente puntata della trasmissione “Agorà” trasmessa da Rai3, ha affermato che per coloro che non sono coperti da forme contrattuali, deve essere introdotto un reddito minimo garantito, mentre il resto sarebbe da affidare alle politiche sociali degli enti locali. In effetti dalle parole di Bersani, non sembra prevista l’istituzione del reddito minimo garantito, ma di un salario minimo, che è appunto cosa ben diversa, come si ricordava in apertura.
Mentre non sembrano esserci eccessivi dubbi sulle intenzioni esplicitate al proposito di Rivoluzione Civile, il movimento fondato dall’ex magistrato Antonio Ingroia e che ha inglobato buona parte del composito mondo che si muove alla sinistra del partito di Bersani, a partire dalla Federazione della Sinistra, dai Verdi e da Idv. L’ex allievo di Paolo Borsellino, infatti, nel corso di una conferenza stampa cui ha dato vita al fine di presentare la candidatura del giornalista Sandro Ruotolo alla Regione Lazio, ha affermato senza perifrasi che una forma di sostegno al reddito come quella prevista dall’appello di Bin, è già contenuta all’interno dei suoi programmi per le elezioni politiche, tese a voltare del tutto pagina rispetto ai governi degli ultimi anni e alle politiche da essi varate.
Per quanto concerne invece Mario Monti e le liste che lo sostengono nella sua avventura elettorale, non sembra esserci traccia di reddito minimo garantito nelle proposte sin qui avanzate, come del resto nell’Agenda Monti, la summa delle idee per rilanciare il paese elaborata dal Professore. Anche se va ricordato che circa un anno fa, il Ministro del Lavoro Elsa Fornero, aveva espresso la sua volontà di arrivare a forme di sostegno in tal senso, che però almeno in questo momento non sembrano rientrare nel programma elettorale delle liste filomontiane.
Infine, il centrodestra, che non ha mai presentato proposte in tal senso e si è anzi mobilitato in qualche caso, come quello del Lazio, per cancellare le forme già esistenti di sostegno al reddito, ritenendole un tributo all’assistenzialismo di una sinistra che con proposte come questa andrebbe addirittura a disincentivare il lavoro.
Articolo pubblicato su NewNotizie il 29 gennaio 2013