Non fate i bonus. Nel decreto di aprile il governo stanzierà tre miliardi per un reddito di emergenza a chi non riceve la cassa integrazione o i bonus per le partite Iva. I rischi di un approccio frammentario ed emergenziale alla questione sociale sono aggravati dalla pandemia e non risolvono problemi gravissimi. Si continua a dare per scontato che “dopo” milioni di persone precarie riusciranno a tornare alla “normalità”. Mentre l’emergenza durerà anni. Così la crisi diventa l’occasione per creare nuova gerarchie tra poveri, lavoratori poveri e precari
A QUESTA PLATEA si è riferita ieri la ministra del lavoro Nunzia Catalfo (M5S) quando ha ribadito l’impegno del governo a trovare 3 miliardi di euro, sui possibili 30 e più miliardi del decreto di aprile in discussione, per «3 milioni di persone» non coperte né dalle casse integrazioni, né dai bonus per le partite Iva e i parasubordinati della gestione separata Inps e degli ordini professionali. Ad aprile il rinnovo delle misure potrebbe costare altri 15 miliardi di euro circa, ha detto ieri Catalfo. È possibile che la platea sia più vasta, ma la difficoltà di darle un volto – reddituale, fiscale, patrimoniale, contrattuale – è uno dei motivi di discussione all’interno del governo in queste ore. Senza definire la platea, non è possibile sostanziare il nuovo «bonus» universale le cui stime oscillano tra 400 e 800 euro, a tanto dovrebbe essere aumentato il contributo dato agli autonomi già ad aprile.
«STIAMO VALUTANDO la platea e l’impatto – ha confermato Catalfo – Il lavoro in nero non dovrebbe esistere». «Purtroppo il lavoro sommerso è una piaga che c’è. È chiaro che a tutte quelle persone che per vari motivi si trovano in una situazione di emergenza dobbiamo pensare. Dunque per tutte le persone senza reddito è previsto un reddito di emergenza». L’intento del governo è ispirato a un universalismo limitato però all’emergenza la cui durata è ancora ignota e non è riducibile al periodo della quarantena. Cosa si farà quando finirà? Il nuovo sussidio sarà abolito con gli altri bonus? Che fine faranno i beneficiari? Siamo sicuri che il loro «dopo» sarà migliore del «prima»? Domande che nessuno si fa, oggi. In più manca una più attenta considerazione dei cittadini extracomunitari residenti e attivi in Italia da meno di dieci anni, già esclusi dal «reddito di cittadinanza». Saranno contemplati nel nuovo «bonus»? O, come i senza fissa dimora, saranno più invisibili di sempre?
È UNO DEGLI ARGOMENTI della campagna sul «reddito di quarantena», ier rilanciata online, e dalla petizione del Basic Income Network Italia (Bin). Entrambe chiedono di eliminare vincoli e condizionalità ed estendere il cosiddetto «reddito di cittadinanza», aumentandolo strutturalmente per tutti i poveri relativi che ne fanno richiesta al massimale di 780 euro. Senza creare un altro «bonus», sotto forma di «reddito di emergenza» (ReM) che si aggiungerebbe a quello «di cittadinanza» (RdC). Sabato scorso il governo ha invece escluso una misura «strutturale» con il ministro dell’economia Roberto Gualtieri. Si vuole evitare un aumento dei costi dopo l’emergenza, ma si rischia di creare una discriminazione. Pur insistendo sulla stessa platea di indigenti e lavoratori poveri il «reddito di emergenza» non presenta per ora limiti di spesa. Per chi percepisce il reddito di cittadinanza ci sono. In più il «reddito di emergenza» potrebbe essere mediamente più alto del reddito di cittadinanza. Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria all’Economia (Leu) ha sostenuto in un’intervista a Avvenire l’ipotesi di distinguere la platea a cui è scaduta, o sta scadendo, la Naspi da un’altra platea che non può accedere a Cassa integrazione, disoccupazione, Naspi o al reddito di cittadinanza. Per questi ultimi varrebbe un’«autocertificazione di indigenza», allargando temporaneamente uno dei criteri patrimoniali del reddito di cittadinanza, il sussidio sarebbe accreditato sul conto corrente. Per tutti gli altri potrebbe essere usata la «card» del reddito di cittadinanza per «un assegno più basso». Per ora sembra essere questa l’opzione per risolvere il rebus. Potrebbe essere «appoggiata» all’articolo 44 del «Cura Italia» che ha istituito il «reddito di ultima istanza» per gli autonomi ordinisti. Lo hanno chiesto ieri anche gli assessori alla cultura delle maggiori città italiane per chi lavora nel settore.
NEL GOVERNO esistono profonde divergenze culturali e politiche. Per Chiara Gribaudo, vice capogruppo Pd alla Camera, si pone un aut aut: «O rendiamo definitivamente universale il nostro Welfare, o dopo l’emergenza ci ritroveremo con disuguaglianze ancora più grandi e inaccettabili». Per il renziano Luigi Marattin di Italia Viva non bisogna «creare un’economia basata sul reddito di cittadinanza, magari vestito con un altro nome». Dovranno essere i comuni ad occuparsi degli esclusi. L’opzione intermedia rischia di aggravare i problemi. La crisi, e l’uso dei bonus, può diventare l’occasione di selezionare nuove gerarchie tra indigenti, differenziati in base al possesso di un contratto, di una partita Iva e per esclusione sociale.
GLI EFFETTI di un approccio frammentario ed emergenziale emergono anche dalla denuncia della campagna sull’affitto per 200 mila famiglie dell’Unione Inquilini, Link e Rete della Conoscenza, Pensare Urbano. Con Flc Cgil, Cub e altri soggetti sostengono che la sospensione delle esecuzioni di sfratto fino al 30 giugno stabilito dal Decreto «Cura Italia» non può essere separata da un «sostegno all’affitto straordinario». E non basta nemmeno il fondo ordinario a 46 milioni stanziato il 7 febbraio scorso, né i 400 milioni di aiuti alimentari previsti per gli indigenti. Anche a livello europeo, dove sono stati annunciati 100 miliardi per il sostegno alle casse integrazioni nei paesi membri, manca un approccio universale alla nuova questione sociale. Non è una questione di costi. Manca la visione.
Tratto da Il Manifesto del