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Reddito di emergenza tagliato, solo uno spot per precari e invisibili

di Roberto Ciccarelli

 Decreto rilancio. Tra le numerose misure della maxi manovra da 55 miliardi Confindustria ottiene lo stop per 4 miliardi alla rata di giugno dell’Irap, la tassa che finanzia la sanità, uno dei settori centrali del Welfare nella pandemia. Allo stesso tempo il governo annuncia un fondo da 3 miliardi ma il saldo è negativo. E alla fine il “reddito di emergenza” annunciato da più di 50 giorni si conferma un obolo che escluderà i precari, selezionerà i poverissimi e si aggiungerà a una giungla di sussidi che terminano a giugno come i bonus per le partite Iva. In un Welfare classista, categoriale, a geometrie variabili e dell’emergenza Iniziano a delinearsi i salvati e i sommersi nel mondo pandemico: ecco la fase due della crisi sociale

Nel «decreto rilancio» sarà eliminato l’acconto Irap di giugno per due milioni di imprese con fatturato fino a 250 milioni di euro, facendo guadagnare chi ha già guadagnato nella crisi. Lo stop chiesto da Carlo Bonomi di Confindustria e concesso dal governo alle imprese sarà di 4 miliardi, mediamente almeno 2 mila euro a testa. Insieme all’addizionale regionale all’Irpef e la compartecipazione all’Iva, l’Irap serve a finanziare la sanità. Il governo ieri ha detto che stanzierà 3 miliardi 250 milioni, in particolare per la medicina territoriale, l’assunzione di 9600 infermieri e 4200 borse di studio. Una cifra che, a questo punto, dovrebbe essere considerata un saldo, non un finanziamento aggiuntivo a un settore che dovrebbe ricevere più risorse dopo la pandemia.

È stato previsto lo stanziamento di meno di un miliardo di euro per il «reddito di emergenza» (Rem) a un milione di famiglie. A inizio aprile si era partiti da tre miliardi per la stessa platea. Allora fu ipotizzato un sussidio di tre mesi da 500 euro in media. Poi è stato ridotto a una doppia tranche tra 400 e 800 euro. Ora 800 euro in due tranche in base al nucleo familiare.

Saranno esclusi i percettori di reddito di cittadinanza, i pensionati e chi ha un lavoro da cui guadagna una cifra superiore a questi importi. Tranne i lavoratori dello spettacolo, a cui ieri è stato promesso un bonus da 600 euro per marzo e aprile, potrebbero essere molti i precari ad essere esclusi anche da questo bonus. Quello che doveva essere un «reddito universale» (Nicola Zingaretti, Pd) è un obolo per i poverissimi. In compenso chi percepisce il cosiddetto «reddito di cittadinanza» potrà lavorare nei campi, senza perderlo, a condizione che non guadagni più di duemila euro in due mesi. E’ stata prevista la possibilità individuale di integrare questo «reddito» con una differenza del reddito di emergenza. Si può dare infatti il caso in cui i beneficiari del reddito di cittadinanza percepiscano meno di quelli del reddito di emergenza. Non vale il caso inverso: ovvero, che i beneficiari del reddito di emergenza possano godere di questa tutela per i 18 mesi previsti dal reddito di cittadinanza. La loro sfortuna è non rientrare tra i parametri fiscali e reddituali previsti per questa misura. Potranno avere dunque una tutela in due tranche entro metà estate. E poi? Nulla.

Nel decreto è stata respinta l’estensione strutturale e senza vincoli del cosiddetto «reddito di cittadinanza» fatta dal Basic Income Network Italia e dalla campagna per il «reddito di quarantena». Non sono stati nemmeno ascoltati il Forum Disuguaglianze e Diversità e l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) che avevano chiesto una misura che non «risparmiasse» sui poveri e fosse più dignitosa di uno spot. È entrambe le cose. Sarà inoltre finanziato un fondo per l’indigenza con 250 milioni. In una visione pauperistica e non emancipativa dall’esclusione queste misure temporanee sono una goccia nel maremoto della crisi sociale in cui ci troviamo.

All’idea di un Welfare a pezzi è ispirata anche l’indennità Inps da 500 euro per aprile e maggio per i lavoratori domestici con contratti di lavoro superiori a 10 ore settimanali, a condizione che non vivano con il datore di lavoro. Terminati i 460 milioni a disposizione, il bonus terminerà.

Le stesse contraddizioni emerse in un Welfare ispirato a una visione categoriale della società sono presenti nei provvedimenti sul lavoro autonomo. Le partite Iva che ricevono già i 600 euro di bonus, rinnovati dal «decreto rilancio» fino a giugno, sarebbero state escluse dal beneficio degli indennizzi a fondo perduto per le imprese fino a 5 milioni di fatturato. In molti casi sono anche titolari di micro-imprese o studi professionali. Per i redditi fino a 50 mila euro potranno beneficiare di un bonus di mille euro, ma solo se avranno perso almeno il 33% del fatturato. Chi guadagna fino a 35 mila euro, la maggioranza degli autonomi-lavoratori proletarizzati, dovrà accontentarsi di 600 euro. Nelle bozze di ieri non era previsto l’aumento del bonus a 800 euro annunciato in queste settimane. Chi guadagna di più, avrà un bonus superiore. Chi guadagna meno, uno inferiore.

In uno stato sociale, dovrebbe essere l’opposto. È la logica classista del Welfare dell’emergenza: le sue misure a pioggia potrebbero avere l’effetto di una pioggia d’estate. Dopo l’acquazzone, lascia un deserto.

Le casse integrazioni saranno inoltre rinnovate per 14 settimane, dal 23 febbraio al 31 agosto e per quattro settimane dal primo settembre al 31 ottobre 2020. È stato raggiunto un accordo tra le regioni e il governo sulla cassa integrazione in deroga. Sarà anticipata dall’Inps per il 40% dell’importo, non più dalle Regioni. La decisione riguarda la Cassa integrazione ordinaria, l’assegno ordinario erogato dal Fis, il Fondo di integrazione salariale, ma sarà applicata dall’entrata in vigore del decreto. Non è chiaro cosa accadrà alle richieste già effettuate, ma non ancora erogate. Invece di prospettare la riforma di un ammortizzatore sociale unico al 100% del salario, Conte ha detto che le «casse» rispondono agli interessi delle imprese.

Tratto da Il Manifesto edizione del

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