A settembre 2020, in occasione della 13° Settimana internazionale per il reddito di base, il Circolo Nomade Accelerazionista e il BIN Italia hanno promosso un indagine online su “cheredditovuoi?”.
Un progetto nato dalla necessità di realizzare un sito web per andare incontro e contribuire al dibattito che si era sviluppato durante la prima fase della pandemia da Covid19. Le numerose rivendicazioni provenienti dai movimenti sociali, dai precari, dal mondo delle associazioni, avevano di fatto messo al centro del dibattito la necessità di un sostegno al reddito visto l’emergere di una crisi sociale connessa alla crisi sanitaria. La pandemia ha dunque accelerato la necessità di individuare, anche tra le forze istituzionali, forme di sostegno economico alle persone. Anche se tra le richieste provenienti dalle istanze sociali vi era la proposta di estendere il cosiddetto «reddito di cittadinanza» per includere così una più ampia platea di beneficiari rendendolo inoltre incondizionato dal punto di vista degli obblighi previsti dalla legge, il secondo Governo Conte ha preferito invece intervenire con misure temporanee e bonus categoriali, limitati tanto nel tempo che nella generosità del beneficio. Piuttosto che puntare su una misura unica, universale ed incondizionata, si è scelta la via della «giungla» normativa certificando inoltre, di fatto, la frammentazione del mercato del lavoro italiano. A seconda della categoria un bonus, un ristoro, un piccolo sostegno a tempo. Il dibattito che si era venuto a creare intorno al tema del reddito aveva fatto emergere diverse formule e declinazioni.
Questa «ricchezza» del linguaggio per cercare di descrivere rivendicazioni più puntuali però aveva generato una certa confusione terminologica e rivendicativa. Questa molteplicità dei termini legati al reddito (di base, di quarantena, di cura, universale, di continuità, ecc.) ci ha portato dunque a realizzare una sorta di indagine conoscitiva per comprendere meglio quale effettiva tensione era in corso: una cosa è dire «solo per i disoccupati» un’altra è dire «per tutti gli essere umani». Una cosa è il «sussidio di disoccupazione » un’altra è un «reddito di base universale». Partendo
dunque dalla necessità di comprendere quale tensione fosse in circolo abbiamo inteso proporre una survey online che partendo dai contenuti arrivasse alle definizioni. Basato sull’interrogativo «che reddito vuoi?», ed attraverso una serie di domande chiave, far giungere il e la partecipante a scoprire la sua risposta a «che reddito vuoi!».
La proposta di questa piccola indagine conoscitiva però è stata anche l’occasione di cercare di sintetizzare alcune definizioni, utilizzando quello che è un dibattito internazionale e la letteratura conosciuta. Dunque il lavoro di sintesi delle definizioni è servito anche a dare conto e chiarezza dei termini utilizzati per le declinazioni che accompagnano le proposte del reddito. Si è quindi deciso di individuare 5 definizioni delle misure di sostegno al reddito (dal sussidio di disoccupazione fino al reddito di base universale)
Gli obiettivi di questa iniziativa si possono così sintetizzare:
– raccogliere informazioni circa le inclinazioni dei partecipanti in tema di reddito. Sono state proposte delle domande in grado di definire quelle variabili che garantissero una distinzione chiara tra le diverse misure;
– offrire ai partecipanti quale specifica declinazione (di base, universale, minimo garantito ecc.) rispondesse ai loro bisogni e alle loro visioni. Dunque a seconda delle risposte fornite alle domande proposte, la fine del questionario avrebbe portato a un risultato in cui si sarebbe svelata la risposta centrale a «che reddito vuoi»;
– informare sulle diverse declinazioni utilizzate. Mentre infatti a livello internazionale l’espressione basic income è piuttosto chiara e riconoscibile come una misura universale ed incondizionata (cioè data a tutti indistintamente), in Italia il termine reddito di base viene spesso utilizzato per indicare altre formule.
Lo spettro di misure identificate è il seguente:
– Sussidio di disoccupazione
– Reddito di inclusione o di inserimento
– Reddito minimo garantito
– Reddito di base incondizionato
– Reddito di base incondizionato e universale
La survey, essendo stata progettata per una partecipazione online, è stata promossa attraverso social media, mailing list, siti web.
Cosa ci raccontano i risultati: siamo per l’universalità e l’incondizionatezza?
Durante i primi 7 mesi della campagna hanno partecipato al questionario 1021 persone. Come si nota dalla Tabella 1 il «sussidio di disoccupazione», destinato per lo più a coloro che perdono il lavoro, con una temporalità predefinita dell’erogazione ed un calcolo specifico per il beneficio (cioè in base alle settimane lavorative precedenti la perdita del lavoro ecc.), ha avuto l’1% delle preferenze. Il reddito di inclusione, cioè un sostegno destinato a persone in povertà assoluta e con la finalità di «includere» i beneficiari attraverso l’inserimento a un lavoro, ha avuto il 4% delle preferenze. Il reddito minimo garantito, cioè una misura presente in molti paesi europei, destinato a coloro che sono sotto una certa soglia, ma non necessariamente lavoratori (dunque figure sociali in difficolta economica), che ha una erogazione che può durare «fino al miglioramento della propria condizione economica », condizionato ad accettare un lavoro ecc. ha visto la preferenza del 13% dei partecipanti.
Il reddito di base incondizionato, invece, è stata una definizione ex-novo, per andare incontro a un dibattito internazionale che vede numerose sperimentazioni in corso. In molti luoghi del pianeta sono state infatti introdotte forme di reddito di base, che seppure non ancora universali (destinate cioè a tutti indistintamente, ma solo a coloro che hanno difficoltà economiche) mantengono però intatto il concetto di incondizionalità (senza contropartita con il lavoro ad esempio). Questa formulazione «cammina» sino a un certo punto con le stesse definizioni del reddito di base universale ed incondizionato. Inoltre questa formulazione è stata arricchita anche da un dibattito portato avanti da numerosi movimenti sociali che individuano un reddito destinato a coloro che sono in difficoltà economica ma senza alcuna contropartita ed obblighi.
Nel rispondere alle domande del questionario, il 25% dei partecipanti ha avuto come esito questa definizione. Il 57%, ovvero la maggioranza assoluta, si posiziona invece tra i sostenitori di un reddito di base universale e incondizionato. Cioè di un diritto economico destinato a tutti gli esseri umani, senza alcuna condizione né di accesso né di obblighi lavorativi ecc. Un vero e proprio reddito di esistenza.
Se a questo 57% sommiamo il 25% di coloro che sono a favore di un reddito di base incondizionato, anche se non universale, risulta complessivamente che l’82% dei partecipanti ambisce a una forma di reddito svincolata dal lavoro o da obblighi specifici.
TAB. 1: RISULTATI GENERALI, NUMERO PARTECIPANTI E PERCENTUALI DI PREFERENZA (SETTEMBRE 2020 – APRILE 2021)
L’appartenenza a uno dei vari redditi dello spettro è stata calcolata sulla base delle risposte, ognuna delle quali mette in luce le preferenze che differenziano in maniera netta un reddito dall’altro, come ad esempio la prova dei mezzi (se soglia di povertà relativa, assoluta, incondizionato, ecc.), le condizioni legate al beneficio (se lavorare o meno, svolgere corsi formativi, ecc.), l’ammontare monetario e il soggetto erogatore.
Vediamo, di seguito, quali sono state le risposte date alle singole domande così da comprendere più in profondità quale è l’idea generale del reddito «che si vuole» scelto da coloro che hanno partecipato al questionario.
Di particolare attenzione è stato lo studio della domanda che cerca di indagare la preferenza tra un sostegno al reddito erogato individualmente piuttosto che su base familiare. Rispetto all’omogeneità riscontrata in tutte le altre risposte, notiamo qui una flessione relativa maggiore per la dimensione familiare. Nonostante, come si vede nella Tabella 2, la maggioranza delle risposte si posizioni a favore di un reddito individuale, i dati devono suggerirci che nel senso comune la dimensione familiare costituisce ancora una componente di rilievo in tema di percezione di sostegni al reddito. Infatti anche se oltre 500 persone (il 53%) risponde che debba essere erogato individualmente, 281 persone rispondono che debba essere erogato con dei ricalcoli in base alla composizione del nucleo familiare. Tuttavia, nella risposta «individuale e senza alcuna condizione di accesso» si introduce anche un altro elemento, quello della «universalità».
Infatti in questo caso 543 persone indicano un reddito tanto individuale (per tutti) che senza alcuna condizione per potervi accedere (universale). Il 12% invece lo lega alla condizione di povertà relativa, dunque una misura ex ante, ma di nuovo destinato agli individui e non al nucleo familiare.
TAB.2: INDIVIDUALE O FAMILIARE? (SETTEMBRE 2020 – APRILE 2021)
Per comprendere ancora meglio come i partecipanti immaginano l’erogazione di un reddito, vediamo come hanno risposto alle domande che offrivano diverse opzioni di destinatari, come riportato nella Tabella 3.
TAB. 3: CHI SONO I DESTINATARI? (SETTEMBRE 2020 – APRILE 2021)
Alla domanda «secca», se vada erogato a tutti gli esseri umani, la percentuale sale addirittura al 60%, dando così una chiara indicazione che il reddito debba essere universale. Anche se alla precedente domanda, quella sull’individualità e il nucleo familiare, emergono risposte più «incerte» e mosse tra individui e nuclei familiari, in questo caso la definizione «a tutti gli esseri umani indistintamente» (dunque individui, ricchi o poveri che siano) ha una netta preferenza con oltre 600 risposte affermative. Altrettanto interessanti sono le 300 persone che hanno scelto «a coloro che sono sotto la soglia di povertà relativa e a rischio povertà». In questo caso, anche se viene definito un accesso attraverso una soglia (povertà relativa) l’indicazione chiara è che non vada dato «solo a coloro che sono in povertà assoluta» (che riceve solo 22 preferenze). Questo sembra rilevare che il reddito è percepito come una misura ex ante non ex post. Cioè deve intervenire prima che vi sia una conclamata situazione di emergenza economica, prima di diventare poveri.
In sostanza deve essere un diritto umano di esistenza (il 60%) o quantomeno anticipare il rischio di diventare poveri (il 29%). L’elemento «categoriale» del «solo a chi ha perso lavoro» riceve invece solo il 3% delle preferenze. A dimostrazione, di nuovo, della necessità di individuare un reddito che sia svincolato dal lavoro e che sia destinato alle persone in quanto tali (e non dunque solo se riconosciuti come «lavoratori»).
Se dalle risposte precedenti si comprende la necessità di un reddito individuale (eventualmente ricalcolato in relazione al nucleo familiare, dunque, con una certa attenzione ai minori), ma comunque universale e non categoriale, a questo punto il tentativo è stato quello di comprendere «con quali condizioni» questo reddito deve essere erogato. Come si vede nella Tabella 4 la maggioranza dei partecipanti dichiara che il reddito deve essere in sostanza per «tutta la vita ed incondizionato». Infatti in questo caso la domanda cercava proprio di comprendere quale fosse la relazione con le questioni relative alla «condizionalità» del reddito, cioè quanti lo «vogliono» connesso a forme di inserimento sociale, lavorativo e ai relativi obblighi. Questo punto è piuttosto
importante perché cerca di far emergere se effettivamente vi sia un legame, anche culturale, con l’idea di un reddito che prevede delle contropartite: «te lo do ma tu devi». Le risposte dei partecipanti da questo punto di vista sono molto chiare. Oltre il 55% infatti risponde «senza alcuna condizione» ed un altro 22% risponde «fino al miglioramento della condizione economica ma senza obblighi a cercare lavoro».
Nel caso della seconda definizione si è volutamente inserita la frase «senza obbligo a cercare lavoro», offrendo così una dichiarazione di intenti chiara, netta, in relazione al tema reddito\lavoro. Il totale delle risposte di coloro che lo vogliono incondizionato è dunque il 77%. Una percentuale molto alta che fa della «incondizionalità» un tema centrale. Il reddito può essere individuale, ricalcolato sul nucleo familiare, ma non deve essere limitato nel tempo e certamente non deve essere condizionato ad accettare un lavoro per riceverlo. Un diritto al reddito garantito dunque,
non uno scambio amministrativo né una regalia da meritare e da contraccambiare. Questo dato potrebbe essere una vera «rivoluzione» anche dal punto di vista culturale dell’approccio
alla rivendicazione di un reddito, perché qui è insita quella «libertà di scelta» che una misura come un reddito di base garantirebbe. Libertà di scegliere il lavoro, di formarsi, di costruire progetti di vita, di riprendere gli studi, di avviare progetti ecc. Insomma il reddito in questo caso trova un forte legame con l’idea di autodeterminazione degli individui. Uno strumento, un diritto, per la libertà di scelta del proprio percorso di vita.
TAB. 4: CHI SONO I DESTINATARI? (SETTEMBRE 2020 – APRILE 2021)
A questo punto abbiamo voluto indagare un altro aspetto: l’ammontare economico della misura. Soprattutto in relazione alle domande precedenti, volevamo comprendere come i partecipanti immaginano che possano essere definiti i criteri della proposta. In questo caso, facendo riferimento anche alle precedenti risposte e valutazioni, la maggioranza dei partecipanti vuole un reddito che sia «conforme a garantire una vita dignitosa», dunque una quota economica che non sia una «elemosina» ma che garantisca in sostanza un processo di autodeterminazione. Il 62% infatti sostiene l’idea di una quota per una vita dignitosa e, di nuovo, «senza alcun obbligo o condizione». Anche il 21% dei partecipanti ribadisce la necessità di una base economica conforme a una vita dignitosa, anche se la riporta a coloro che «sono a rischio povertà» (dunque non universale) ma «senza obblighi o condizioni» (dunque incondizionato). Diciamo che emerge con chiarezza la necessità di un reddito di base universale ed incondizionato, ma ancor più che il concetto di «universalità» (per tutti indistintamente, ricchi o poveri), la connessione tra le diverse risposte sin qui analizzate è un’altra, cioè il concetto della «incondizionalità» (senza alcun obbligo). Quelle che emerge sin qui è dunque un reddito che garantisca una vita dignitosa, che ci possa rendere liberi di scegliere, individuale ed eventualmente ricalcolato in base a una condizione familiare specifica, senza limiti di tempo, che sia una misura ex ante e non ex post, che non abbia diretti collegamenti con il lavoro (come i sussidi di disoccupazione).
TAB. 5: QUANTO DEVE ESSERE L’AMMONTARE ECONOMICO? (SETTEMBRE 2020 – APRILE 2021)
Se i criteri sopra esposti cominciano a delineare un’idea ben definita di quale reddito si vuole, ora dovremmo comprendere, e dare risposta, alla fatidica domanda di «chi paga?». Seguendo tanto le proposte di un dibattito ampio ed internazionale sul finanziamento del reddito e dalle esperienze delle misure già esistenti (ad esempio del reddito minimo garantito), la survey proponeva alcune opzioni di scelta ai partecipanti. Il 61% sceglie «pagato dalla fiscalità generale», dunque attraverso le tasse pagate da tutta la comunità. Di nuovo, accanto a questa opzione, abbiamo inserito il concetto di «universalità» («a tutti gli esseri umani») e di «incondizionalità» (senza alcun obbligo per chi lo riceve).
La Tabella 6 ci mostra che il 61% dei partecipanti lo vuole ancora universale ed incondizionato. Un 18% lo immagina pagato dalla fiscalità generale, dunque attraverso il coinvolgimento di una comunità nel suo complesso, e di nuovo, anche se destinato solo a coloro che «sono a rischio povertà» (povertà relativa), lo vuole, ancora, incondizionato. In questa domanda emerge però un dato nuovo. Al momento di identificare «chi paga», la percentuale di coloro che lo vogliono «condizionato» ad accettare un lavoro sale al 15% (151 risposte). Anche se viene individuato un reddito destinato anche a coloro che «non hanno mai lavorato», tuttavia, essendo pagato dalla fiscalità generale, sembra emergere un approccio che prevede una certa «attivazione», come un reddito minimo garantito, più vicino agli schemi europei per capirci.
La fiscalità generale sembra essere la formula per finanziare un reddito e il concetto di incondizionalità rimane comunque un punto fermo raggiungendo (tra la prima e la seconda risposta) il 79% delle preferenze, mentre sommando la formula della fiscalità generale alle forme di condizionalità si arriva a una quota del 20%. Qui, tra queste due opzioni, si evince la necessità di chiarire meglio il dibattito tra la incondizionalità totale e forme di condizionalità specifiche al lavoro. È proprio dalla domanda «chi paga?» che questo «antagonismo» emerge, nel momento in cui si prende consapevolezza del coinvolgimento di tutti gli attori che formano una comunità politica. È qui che la proposta di un reddito di base incondizionato si incontra, o meglio si scontra, con l’idea di un reddito minimo garantito ma condizionato. È qui dunque che emerge quella volontà o meno di una proposta dirompente e radicale o una proposta destinata per lo più a «governare» l’esistente, tra un reddito come forma di autodeterminazione ed un reddito come sostegno alle persone in difficoltà che devono in qualche modo «essere recuperate». Si tratta in sostanza di «giustificare» alla comunità tutta perché sia più o meno giusto dare un reddito; perché entrano in gioco «i soldi di tutti» ai quali va data una «spiegazione». Da questo punto di vista il 61% dei partecipanti dà
una soluzione: l’universalità. Cioè destinare a tutti, ricchi o poveri che siano, un reddito di base. Così che questo «antagonismo», questa ricerca della «giustificazione» di come «spendere» il denaro di tutti, coinvolge e include tutti. Dare un reddito a tutti significa che tutta la comunità ne beneficia. Da questo punto di vista questa dicotomia tra incondizionalità e condizionalità è superata dal concetto di universalità. Usare i «soldi di tutti» per «dare soldi a tutti» elimina di fatto la giustificazione del perché «a questi si e quelli no» e dunque allo stesso tempo «te lo do solo se accetti un lavoro». In questo senso il concetto di universalità sostiene con forza il concetto di incondizionalità. È nella risposta di quel 66% dei partecipanti che si supera questo antagonismo tra
condizionalità ed incondizionalità. Almeno così sembra che ci suggeriscano i partecipanti: andare dritti verso un diritto umano e di esistenza.
TAB. 6: CHI DEVE EROGARE IL REDDITO? (SETTEMBRE 2020 – APRILE 2021)
Dunque, a questo punto, una nuova domanda secca. Ma quale è il motivo che ci guida, che rende esplicito il «perché» ci vuole un reddito? Come vediamo nella Tabella 7 il concetto della universalità (per tutti gli esseri umani) riscuote il 63% delle preferenze (644 persone), ed il 19% si attesta sull’idea di un reddito di base, anche se non universale, ma incondizionato.
Rimane stabile tuttavia l’idea di un reddito minimo garantito inteso come forma di sostegno oltre il lavoro ma solo destinato a chi ne ha bisogno (12%). Emerge dunque una motivazione di tipo universale, un diritto economico «per tutti e tutte» ancor prima che un «sostegno» solo per i poveri. Sommando le prime due risposte si arriva all’82% dei partecipanti che oscillano tra un reddito di base universale ed incondizionato (più numerosi) ed un reddito di base, anche se non universale, ma incondizionato. Tuttavia la forbice più stretta è tra il 19% della seconda risposta ed il 12% della terza risposta che sembrano indicarci una terza via possibile e praticabile, forse più «pragmatica» ed immediata che è quella di un reddito minimo garantito ma incondizionato.
Probabilmente una proposta simile potrebbe essere una sorta di «mediazione» tra l’immaginario di un diritto umano universale ed un sostegno economico anche selettivo, destinato a chi è in povertà relativa, ma senza condizioni ed obblighi pressanti. L’emergere di questa opzione si evince anche osservando le precedenti tabelle.
TAB. 7: PER QUALE MOTIVO CI VUOLE UN REDDITO? (SETTEMBRE 2020 – APRILE 2021)
A questo punto analizziamo la Tabella 8 con la quale si è cercato di indagare il significato di fondo di una misura di questo tipo. Anche in questo caso emerge una maggiore polarizzazione
delle risposte nell’affermazione che lo scopo di introdurre un reddito sia di fatto un «diritto di esistenza» in grado di garantire la «libertà di scelta» o ancora meglio «cosa fare della propria vita». Dunque di nuovo una spinta forte verso la proposta di un reddito di base universale ed incondizionato, che vede rafforzato il concetto di incondizionalità con il 20% della successiva risposta. Cala drasticamente invece la finalità dell’inserimento al lavoro (8%) o destinato ai soli poveri «da reinserire» nella società attraverso il lavoro (4%).
TAB. 8: QUALI SONO LE FINALITÀ DI UN DIRITTO AL REDDITO? (SETTEMBRE 2020 – APRILE 2021)
Infine, e forse questo è il dato strategicamente più interessante, merita attenzione l’analisi dell’indice di coerenza delle risposte, con il quale abbiamo cercato di indagare il livello di coerenza dei partecipanti in tutte le domande.
Come emerge dalla Tabella 9, sono molto più coerenti nelle risposte coloro che si posizionano agli estremi dello spettro. Ciò significa che i sostenitori del reddito di base universale e incondizionato, così come coloro che legano un sostegno a chi ha perso il lavoro, sono molto più inamovibili e polarizzati nelle proprie convinzioni rispetto al resto dei partecipanti che ha fornito risposte che li hanno portati a risultati diversi rispetto al reddito «che vogliono». La sfida, a livello strategico, probabilmente si dovrebbe giocare su coloro che sono «meno coerenti» nelle proprie affermazioni (con riferimento alle 3 definizioni centrali in chiaro nella tabella). È molto probabile che, data la varietà di risposte alle domande, queste figure siano molto più inclini a cambiare idea qualora vi sia una narrazione sufficientemente convincente da spostare il baricentro verso il polo del reddito di base universale e incondizionato.
TAB. 9: COERENZA DELLE RISPOSTE E DEI RISULTATI. (SETTEMBRE 2020 – APRILE 2021)
Tuttavia è evidente che i risultati esposti nelle tabelle precedenti, tanto dal punto di vista numerico che nelle percentuali, mostrano chiaramente una propensione verso un reddito che sia soprattutto individuale ed il più universale ed incondizionato possibile. La formulazione ex novo della proposta del reddito di base (non ancora compiutamente universale) incondizionato, in verità anticipava questa tensione che si rivela anche nelle proposte di progetti pilota sperimentali in corso nel mondo o nei dibattiti di numerosi movimenti sociali che non concordano ancora con l’idea della universalità del diritto al reddito.
I risultati dei primi 7 mesi dell’inchiesta proposta attraverso il sito cheredditovuoi? esprimono con una certa coerenza le trasformazioni del senso comune nate anche dall’avvento della pandemia da Covid19, che ha senza dubbio accelerato e reso più evidenti le contraddizioni della nostra contemporaneità. È un punto di non ritorno? O meglio è un punto da cui partire per costruire quel dibattito, e dare seguito all’iniziativa politica, che ci porti a fare un passaggio ulteriore dalle forme di reddito minimo a schemi di reddito di base incondizionato?
La survey «che reddito vuoi?» è online, ciascuno può utilizzarlo. Singolarmente può essere utile per scoprire e capire dove ci si posiziona, ma se svolto collettivamente assume un ruolo ancora più interessante, di auto-inchiesta e di sostegno a un dibattito più ampio sul reddito. Questo aprirebbe forse a un confronto nuovo, una maggiore informazione in relazione alle definizioni, un modo anche per organizzare una rivendicazione comune.
Per partecipare al questionario online e scoprire “che reddito vuoi?” clicca qui
Tratto da Quaderni per il Reddito n°11: Verso il reddito di base. Dal reddito di cittadinanza per un welfare universale, A cura del BIN Italia (Giugno 2021)