Il Bin Italia ha promosso una serie di interviste sul tema del reddito garantito tra alcuni autori, esponenti politici, liberi pensatori, sociologi, giuristi etc. al fine di continuare ad allargare ed approfondire il dibattito sul reddito garantito.
Qui intervistiamo: attualmente in pensione, ex dirigente commerciale di una grande industria siderurgica. Iscritto al BIN-Italia e al Movimento Federalista Europeo.
1) Il Novecento è stato il secolo del riconoscimento, nelle Carte costituzionali e nella legislazione ordinaria, dei diritti sociali e del lavoro. Cosa pensa sia necessario oggi per una tutela più efficace dei diritti sociali?
Si è finora cercato di tutelare il lavoro (occupazione, sicurezza, salari minimi, tutele sindacali, etc.) affiancando alla tutela del lavoro la garanzia per tutti a carico della fiscalità generale della sanità e dell’istruzione di base.
Tuttavia oggi globalizzazione e terza rivoluzione industriale, quella della conoscenza, rendono a mio avviso strutturale la mobilità e la precarietà del lavoro, per cui occorre garantire a tutti a carico della fiscalità generale la continuità di un reddito minimo nella discontinuità del lavoro, così come si garantiscono sanità e istruzione.
2) Quali misure le sembrano più indicate per fronteggiare i processi di precarizzazione del lavoro? Che ruolo può svolgere in tale ambito uno strumento come il reddito garantito? E cosa differenzia secondo lei “il reddito garantito” da un ammortizzatore sociale?
Il lavoro precario è strutturale e come tale è un virus che ha colpito la nostra società, non esistono antibiotici che lo possano eliminare, occorre trovare degli anticorpi che ne annullino gli effetti negativi. Gli effetti negativi sono l’assenza di reddito quando non si lavora e la ricattabilità di chi è senza reddito, l’anticorpo è la corresponsione di un reddito minimo, cosa diversa dagli ammortizzatori sociali che sono legati al sistema contributivo e soggetti ad ogni forma di ricatto.
3) In molti Paesi europei, tramite le cosiddette politiche di workfare, l’erogazione di misure di sostegno al reddito sono vincolate al lavoro e quindi colui o colei che lo riceve deve accettare qualsiasi lavoro altrimenti perde il beneficio del reddito. Crede che il reddito garantito debba essere vincolato al lavoro? Se si perché? Se no perché?
La corresponsione del reddito minimo non deve essere un sussidio permanente, ma deve mirare all’inserimento lavorativo, deve essere legata a programmi di inserimento, fra cui le offerte di lavoro coerenti con il profilo e le capacità di colui che riceve il beneficio. Sono quindi favorevole a condizionare il beneficio all’obbligo di accettare un percorso formativo o lavorativo.
4) Quali ruoli potrebbero avere i vari livelli istituzionali, da quello comunitario a quello nazionale, fino a quello dei governi e delle autonomie locali, per costruire una proposta di reddito garantito?
Il criterio guida deve essere la sussidiarietà, o per meglio dire il federalismo. La UE deve predisporre le direttive che consentano di equiparare i diritti di tutti i residenti nell’Unione. Il Governo nazionale deve fornire le risorse finanziarie nel quadro del welfare nazionale. I Governi regionali devono individuare i criteri di individuazione dei soggetti beneficiari, gestire l’erogazione dei sussidi ed utilizzare le strutture locali per la raccolta delle domande e le necessarie verifiche.
5) Secondo lei perché la tematica del reddito garantito fa così fatica a entrare nell’agenda politica italiana? Quali solo le resistenze maggiori?
Sono convinto che manca la spinta dei sindacati. Infatti il reddito minimo tutela chi non ha lavoro e reddito escludendo pensionati e lavoratori, escludendo quindi gli iscritti ai sindacati. Non ci si può meravigliare che questa non sia la priorità per loro. I partiti del resto sono sordi ad esigenze che non provengano da forze o gruppi organizzati.
6) Quali pensa siano le criticità per istituire una misura di reddito garantito e come si possono superare? E quali pensa siano le criticità nel caso ci fosse un reddito garantito e come si possono superare?
Anche se la critica che viene sempre opposta è “non ci sono soldi”, a mio avviso la mancanza di fondi non è affatto un ostacolo, si tratta di fare delle scelte. Il problema più grosso è il sistema di controllo delle richieste. In Italia abbiamo un sistema fiscale largamente inefficiente e una percentuale di lavoro nero elevatissima; l’accertamento della carenza di reddito o dell’assenza di redditi da lavoro è estremamente difficile. Affidare i controlli a strutture comunali o ai municipi delle grandi città permetterebbe controlli credibili, ma contemporaneamente si presterebbe a corruzione e clientelismi.
Non ho competenza per dare risposta a quest’ultimo quesito.