Dall’introduzione all’articolo:
Il c.d. reddito di cittadinanza (RdC) rappresenta senz’altro una delle novità più rilevanti introdotte nel sistema italiano di sicurezza sociale degli ultimi decenni. La legge n. 26/19 (di conversione del d.l. n. 4/19) è una riforma ambiziosa, come prova il significativo impegno economico che comporta per il bilancio statale. Con essa viene colmata una lacuna storica che, da sempre, ha segnato il modello italiano di protezione sociale: l’assenza di una misura di tutela del reddito di carattere universale(1). Allineandosi alla maggior parte paesi europei, si supera così definitivamente l’approccio categoriale e frammentario che ha impedito sino ad oggi l’attuazione di un’efficace politica di contrasto alla povertà nel nostro paese(2). Lo si fa, certo, sulla scia del Reddito di inclusione (REI) – da poco istituito dal d.lgs. 147/17 – e nella logica di un universalismo “selettivo” che rende improprio il nome stesso attribuito all’istituto(3); ma rispetto al REI, si amplia sostanzialmente il novero dei beneficiari , innalzando al tempo stesso il livello della prestazione erogata. Il nuovo istituto si differenzia dal REI non solo sul piano “quantitativo” ma anche “qualitativo”, caratterizzandosi come uno strumento di natura decisamente “ibrida”(4). Si tratta infatti di un istituto che svolge una pluralità di funzioni, concepito per perseguire molteplici obiettivi di carattere “sociale”: è uno strumento di contrasto alla povertà, ma anche di politica attiva del lavoro; garantisce un sussidio per soggetti inoccupati e disoccupati, ma anche una prestazione ad integrazione del reddito da lavoro; si configura come un reddito minimo per chi è in cerca di occupazione, ma anche come un’erogazione ad integrazione di prestazioni pensionistiche.
Questa pluri-funzionalità non è in sé criticabile ed, anzi, può essere apprezzata come riflesso di un approccio “globale” ed organico al problema della povertà che, come tale, implica interventi su più piani, tutti orientati al comune obiettivo di promuovere l’inclusione sociale del soggetto protetto attraverso l’occupazione ed il lavoro.
Tuttavia, proprio per la sua natura ibrida, il RdC pone al giurista una serie di problemi di carattere sistematico, relativi alla sua collocazione nell’ordinamento rispetto sia ai principi costituzionali sui quali si fonda il sistema di sicurezza sociale, sia rispetto al resto della legislazione sociale vigente nel cui contesto la nuova misura si colloca.
Note
*Il presente contributo è stato scritto prima del deflagrare della pandemia da Covid-19. Non si è quindi tenuto conto delle misure di sostegno del reddito adottate per far fronte alla crisi con i c.d. decreti “Cura Italia” (d.l. n. 18/2020 convertito in legge n. 27/2020) e “Rilancio” (d.l. n. 34/2020, in corso di conversione). Basti qui segnalare come le novità introdotte (sia la parziale sospensione del regime di condizionalità relativo al reddito di cittadinanza, sia l’attivazione del c.d. reddito di emergenza, con il conseguente ampliamento dei soggetti protetti) costituiscano misure di carattere emergenziale e provvisorio, destinate in quanto tali a venir meno superata la fase acuta della crisi pandemica. Si è persa dunque l’occasione per operare una riforma strutturale capace di colmare le lacune e correggere le incoerenze sistematiche che caratterizzano l’attuale regime del reddito di cittadinanza; lacune e incoerenze che si è inteso evidenziare con questo scritto.
1 Sullo storico ritardo politico-culturale in Italia rispetto all’introduzione di un reddito minimo garantito si sofferma ampiamente Bronzini G., Il diritto ad un reddito di base. Il welfare nell’era dell’innovazione, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2017, pp. 89 ss.
2 Lo sottolinea, con giustificata enfasi, tra gli altri Giubboni S., Il reddito di cittadinanza tra diritto e politica, in La cittadinanza europea, 2, 2019, pp. 75 ss.
3Per usare la precisa definizione di Saraceno C., Reddito di cittadinanza: tanta confusione sotto il cielo, in Micromega, 7/2018, p. 91, il reddito di cittadinanza in senso proprio deve identificarsi in “una garanzia di reddito parziale, non necessariamente sufficiente a soddisfare i propri bisogni, per tutti i cittadini, indipendentemente da reddito e condizione occupazionale e senza richieste di contropartite”
4 Per tutti, Pascucci P., Reddito di cittadinanza e politiche attive del lavoro, in Menabò di Etica ed Economia, n.106, giugno 2019
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Tratto da Quaderni Fondazione Rosselli