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Solidarietà. La parola chiave di Rodotà

di Roberto Ciccarelli

Roberto Ciccarelli intervista Stefano Rodotà sul suo ultimo lavoro editoriale “Solidarietà”. Il collegamento tra la solidarietà ed il reddito garantito, secondo Rodotà “essere usata per libe­rare i sin­goli dal ricatto del lavoro pre­ca­rio o non pagato; a con­durre un’esistenza libera e digni­tosa; a eli­mi­nare la com­pe­ti­zione tra i poveri. Mon­te­squieu diceva che abbiamo biso­gno di isti­tu­zioni, non di pro­messe né di carità. Il red­dito uni­ver­sale dimo­stra che la soli­da­rietà è un’utopia pro­fon­da­mente pian­tata nella realtà.”

La soli­da­rietà è un’utopia neces­sa­ria. Ste­fano Rodotà spiega il titolo del suo nuovo libro (Laterza, pp. 141, 14 euro) con la sto­ria di San­dra, l’operaia inter­pre­tata da Marion Cotil­lard nel film Due giorni e una notte dei fra­telli Dar­denne. «Nel film c’è la scom­parsa della soli­da­rià tra per­sone che lavo­rano nella stessa fab­brica e l’impossibilità di riaf­fer­marla – rac­conta Rodotà – San­dra dice di non volere “fare la men­di­cante” quando chiede ai suoi com­pa­gni di lavoro di rinun­ciare al bonus di mille euro per impe­dire il suo licen­zia­mento. C’è un refe­ren­dum che ha un esito nega­tivo. San­dra però riac­qui­sta la sua dignità per­ché respinge la pro­po­sta di essere rias­sunta a tempo pieno al posto di un gio­vane col­lega afri­cano pre­ca­rio con un con­tratto a ter­mine. La soli­da­rietà verso que­sto gio­vane, che ha votato per lei pur sapendo che l’avrebbe dan­neg­giato, resti­tui­sce la dignità dell’essere. San­dra sco­pre che attra­verso la lotta può riaf­fer­mare la soli­da­rietà. Nel film c’è un com­pen­dio di quello che stiamo vivendo».

Per­ché si torna a par­lare di solidarietà?

La crisi eco­no­mica ha fatto cre­scere le dise­gua­glianze e ha dif­fuso le povertà. Affi­darsi alle forze del mer­cato è un’opzione debole ben al di sotto della neces­sità di tro­vare nuovi prin­cipi di rife­ri­mento. La soli­da­rietà rie­merge nei modi più diversi e supera le distanze esi­stenti. Ad esem­pio nel discorso sulle pen­sioni quando si pone il pro­blema della soli­da­rietà tra le gene­ra­zioni. Nella salute dove non è pos­si­bile limi­tarsi all’oggi per garan­tire le con­di­zioni minime di vita. Non è un pro­cesso facile. Nelle situa­zioni di dif­fi­coltà le distanze pos­sono cre­scere insieme all’impossibilità di essere solidali.

Si può essere soli­dali nelle peri­fe­rie di Roma o Milano tra crisi, sen­ti­menti xeno­fobi e sgom­beri delle case occupate?

A me sem­bra che que­sti con­flitti siano indotti anche da chi vuole sfrut­tare le ten­sioni esi­stenti. Ma c’è un’altra ragione: fin­ché le per­sone erano in con­di­zione di pagare una casa non rite­ne­vano intol­le­ra­bile il fatto che ci fosse qual­cuno in dif­fi­coltà che occu­pava un allog­gio o non pagava l’affitto di una casa popo­lare. Con la crisi ci si è ritro­vati in una situa­zione con­flit­tuale. Pagare un affitto è intol­le­ra­bile, men­tre altri non lo pagano. Le con­di­zioni mate­riali della soli­da­rietà sem­brano distrutte, men­tre regi­striamo un rove­scia­mento del prin­ci­pio: si costrui­scono soli­da­rietà di pros­si­mità o vici­nanza e si diventa soli­dali con chi rifiuta la soli­da­rietà agli altri, ai più lon­tani, agli stra­nieri o ai rom.

Qual è la sua defi­ni­zione di solidarietà?

Mi sem­bra che il com­mento di Luigi Zoja sulla para­bola del buon sama­ri­tano sia cal­zante. Qui Cri­sto mostra il con­te­nuto rivo­lu­zio­na­rio del suo mes­sag­gio: biso­gna amare lo stra­niero, non il pros­simo. Amare lo stra­niero è il punto chiave della soli­da­rietà. La soli­da­rietà per vici­nanza, per appar­te­nenza, sono facili. La soli­da­rietà dev’essere pra­ti­cata in tempi dif­fi­cili che spin­gono anche a rot­ture. Se viene abban­do­nata, ven­gono meno le con­di­zioni minime della demo­cra­zia, cioè il rico­no­sci­mento reci­proco e la pace sociale. Con Jür­gen Haber­mas dico che la soli­da­rietà è un prin­ci­pio che può eli­mi­nare l’odio tra gli stati ric­chi e quelli poveri. La soli­da­rietà serve infatti a indi­vi­duare i fon­da­menti di un ordine giu­ri­dico man­cando il quale tutte le nostre dif­fi­coltà si esa­spe­rano sul ter­reno per­so­nale e su quello sociale. La soli­da­rietà è, infine, una pra­tica che mette al cen­tro i diritti sociali. Que­sto è un altro punto del libro: i diritti sociali non pos­sono essere sepa­rati dagli altri.

Qual è stato il con­tri­buto del movi­mento ope­raio alla sto­ria della solidarietà?

L’Internazionale ha mostrato che la soli­da­rietà non è un sen­ti­mento gene­rico di com­pas­sione nei con­fronti dell’altro, né un ele­mento sto­ri­ca­mente inde­ter­mi­nato. La soli­da­rietà dei moderni è una costru­zione che ha avuto sem­pre biso­gno di un sog­getto sto­rico. Quello per eccel­lenza è stato il movi­mento ope­raio. C’è un canto rivo­lu­zio­na­rio che dice: «Seb­ben che siamo donne, paura non abbiamo, per amor dei nostri figli, in lega ci met­tiamo». Qui c’è la con­sa­pe­vo­lezza orgo­gliosa della dignità delle donne che diventa prin­ci­pio di azione col­let­tiva. Su que­sti prin­cipi gli esclusi si sono autor­ga­niz­zati, le loro leghe hanno per­messo ai socia­li­sti e ai cri­stiani di tro­vare punti di con­ver­genza non com­pro­mis­so­ria. Nell’Internazionale si voleva costruire un’umanità che non era la somma di per­sone, ma la con­giun­zione di una serie di sog­getti che agi­scono col­let­ti­va­mente in vista di un inte­resse comune. Que­sto ha por­tato al rico­no­sci­mento dell’esistenza libera e digni­tosa di cui parla la nostra Costituzione.

Lo Stato sociale ha modi­fi­cato que­sta idea del movi­mento ope­raio. La sua crisi per­met­terà alla soli­da­rietà di sopravvivere?

Ragio­nare sulla soli­da­rietà come prin­ci­pio signi­fica rico­no­scerne la sto­ri­cità. La soli­da­rietà c’era prima dello stato sociale e ci sarà anche dopo. Per que­sto oggi si può dire che è il prin­ci­pio di rife­ri­mento per la rico­stru­zione del tes­suto poli­tico isti­tu­zio­nale e sociale. La soli­da­rietà va ripen­sata oltre lo stato sociale. Per que­sto è essen­ziale fon­dare un nuovo spa­zio costi­tu­zio­nale euro­peo ispi­rato a que­sto principio.

In che modo si può costruire uno spa­zio simile?

Il rife­ri­mento è alla carta dei diritti fon­da­men­tali dell’Unione Euro­pea, la Carta di Nizza alla cui scrit­tura ho par­te­ci­pato. Quella carta nac­que nel 1999, in una tem­pe­rie poli­tica e cul­tu­rale diversa da quella attuale. Allora si voleva andare oltre lo stato sociale nazio­nale e si fece una dia­gnosi più radi­cale di quella che gene­ral­mente si fa oggi sull’Europa. L’Unione euro­pea non ha solo un defi­cit di demo­cra­zia, ma un defi­cit di legit­ti­mità. Que­sto defi­cit può essere recu­pe­rato attra­verso i diritti fon­da­men­tali, ispi­rati alla dignità e alla soli­da­rietà, e non al mer­cato. Ricordo che i labu­ri­sti di Tony Blair fecero molta resi­stenza e si oppo­sero per­sino al diritto di scio­pero. A tanto era arri­vata la loro rot­tura con la tra­di­zione ope­raia. So bene che sulla Carta di Nizza ci sono state pole­mi­che. Oggi dovrebbe però far pen­sare il fatto che è stata messa da parte quando all’Europa è stata impo­sta un’altra costi­tu­zione basata sulle poli­ti­che dell’austerità.

Esi­ste un sog­getto capace di ripor­tare la soli­da­rietà al cen­tro dell’attenzione?

Siamo legati ad una moder­nità che ha rico­no­sciuto il crea­tore di diritti in un sog­getto sociale: la bor­ghe­sia fece nascere i diritti civili, gli ope­rai quelli sociali. Poi c’è stata una scom­po­si­zione dei sog­getti, si è par­lato di una classe pre­ca­ria, di quella degli hac­ker. Ci sono altre defi­ni­zioni che dimo­strano l’esistenza di con­di­zioni umane che supe­rano il fatto per­so­nale e sono fatti poli­tici. Ma da sole non bastano. Per que­sto la soli­da­rietà è impor­tante. Que­sta è la dimen­sione uto­pica: è la con­di­zione che ci per­mette di non ras­se­gnarci alla fram­men­ta­zione sociale e ai mec­ca­ni­smi di esclusione.

Il red­dito uni­ver­sale può essere con­si­de­rato uno stru­mento per affer­mare la soli­da­rietà a livello europeo?

Ne sono con­vinto. Molti sosten­gono che entra in con­trad­di­zione con l’articolo 1 della nostra costi­tu­zione. C’è un’altra obie­zione: il rico­no­sci­mento del red­dito affie­vo­li­sce la lotta per il lavoro. In que­ste pro­spet­tive vedo un errore. Si con­si­dera che la disoc­cu­pa­zione sia sem­pre una fase tran­si­to­ria e la piena occu­pa­zione resta un obiet­tivo a por­tata di mano. Ma que­sti discorsi oggi sono lon­ta­nis­simi. Del red­dito uni­ver­sale è pos­si­bile for­nire varie gra­da­zioni: da quello minimo a quello di base. Tutte pos­sono essere usata per libe­rare i sin­goli dal ricatto del lavoro pre­ca­rio o non pagato; a con­durre un’esistenza libera e digni­tosa; a eli­mi­nare la com­pe­ti­zione tra i poveri. Mon­te­squieu diceva che abbiamo biso­gno di isti­tu­zioni, non di pro­messe né di carità. Il red­dito uni­ver­sale dimo­stra che la soli­da­rietà è un’utopia pro­fon­da­mente pian­tata nella realtà.

Tratto da Umbria Left

 

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