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Ulrich Beck, visionario europeo, per il reddito garantito.

di Giuseppe Allegri

Dalla morte di Ulrich Beck, ripubblichiamo il ricordo uscito in quei giorni su il quotidiano il manifesto. È scomparso l’autore della «società del rischio», sostenitore del reddito di cittadinanza e dell’Europa sociale, spazio di solidarietà continentale per nuove forme del vivere associato, partendo dalla concreta tutela dei diritti sociali fondamentali, a partire dal reddito garantito.

Con Ulrich Beck se ne va uno dei maggiori studiosi dei processi di globalizzazione, oltre che forse il più visionario militante per un’Europa politica e sociale. Ulrich Beck (1944-2015) verrà ricordato anche per aver coniato e studiato definizioni divenute di moda nella sociologia contemporanea, come nel dibattito pubblico europeo e globale: “seconda modernità“, “modernizzazione riflessiva“, “società cosmopolitica” e soprattutto “società del rischio” (RisikogesellschaftRisk Society).

Formule, concetti, metafore di chi ha liberamente scelto di affrontare senza timori reverenziali il tramonto delle categorie della prima modernità, sfidando la sonnacchiosa dogmatica accademica delle scienze politiche e sociali proprio sul terreno più delicato: quello del “nazionalismo metodologico“. Altra espressione “inventata” da Ulrich Beck per combattere quell’erronea semplificazione che costringe nelle opprimenti dimensioni dello Stato-nazione tanto l’analisi dei fenomeni sociali e giuridici, quanto i possibili spazi di azione civica e politica.

Probabilmente questo è il làscito maggiore del suo insegnamento: il radicale rifiuto di ogni pregiudizio nazionalista è il prisma attraverso il quale Ulrich Beck è riuscito ad intervenire nella connessione tra le dinamiche della globalizzazione e gli esplosivi effetti sulla divisione del lavoro, oltre che sulle forme di vita individuale e collettiva, quindi sul presente e sul futuro del vecchio Continente. E l’attualità di questo approccio è sempre più utile dinanzi alla recrudescenza dei movimenti intolleranti e xenofobi dei partiti tradizionalisti, autoritari e nazionalisti (TAN Parties) in un’Europa che per altri versi diviene sempre più “tedesca”, cioè sotto i diktat delle politiche di austerità volute dalla Bundesbank, come ha ricordato con grande timore lo stesso Beck in uno dei suoi ultimi saggi (L’Europa tedesca, Laterza, 2013).

Contro il “nazionalismo metodologico”

Per tutto questo la militanza intellettuale, politica e civile di Ulrich Beck è sempre stata dalla parte di un’Europa politica e sociale, delle cittadinanze, che superasse da un lato le nefaste eredità “sovraniste” degli Stati-nazione, spesso ridotti a algidi gendarmi dell’ordine pubblico locale, dall’altro gli incubi monetaristi di un’Eurozona sinonimo di insicurezza e povertà per le persone. Così dal settembre del 2010 Beck aveva aderito alle iniziative dello Spinelli Group nel Parlamento europeo, rilanciando lo spirito federalista continentale che dall’antifascismo di Spinelli, Colorni e Rossi si spinge a ripensare l’Europa politica oltre la sua dimensione monetaria.

Questa visione sociale dello spazio politico continentale ha permesso a Ulrich Beck di spiegare l’urgenza di un «reddito di cittadinanza continentale» utile per affrancare le persone dai ricatti del lavoro, o della sua mancanza. La creazione di un simile strumento è inoltre essenziale per garantire l’indipendenza dei cittadini da un Welfare State che sta regredendo a Workfare, cioè ad un sistema di costrizione al lavoro, con scarsa tutela della dignità della persona, né garanzia della sua condizione lavorativa. Per Beck il modello sociale europeo è il frutto di un universalismo concreto, fondato sulla tutela dei diritti sociali intesi come diritti fondamentali, di una nuova solidarietà pan-europea. Altrimenti non potrà mai esserci alcuna, reale integrazione politica continentale.

Per il reddito garantito

«Dobbiamo finalmente porre all’ordine del giorno queste questioni: come si può condurre una vita sensata anche se non si trova un lavoro? Come saranno possibili la democrazia e la libertà al di là della piena occupazione? Come potranno le persone diventare cittadini consapevoli, senza un lavoro retribuito? Abbiamo bisogno di un reddito di cittadinanza pari a circa 700 euro. Non è una provocazione, ma un’esigenza politica realistica».

Questo scriveva Ulrich Beck anche sulle colonne de La Repubblica in due successivi interventi del 3 gennaio 2006 e del 22 marzo 2007. Erano i tempi a ridosso degli scontri tra giovani e polizia nelle banlieues francesi in fiamme, mentre cominciava la crisi statunitense dei mutui subprime. Sono passati diversi anni e l'”esigenza politica realistica” di un reddito di base sganciato da una prestazione lavorativa, quindi inteso come strumento di solidarietà, sembra rimanere lettera morta anche nella faticosa agenda di movimenti e cittadinanze sempre più impaurite, oltre che nelle inadeguate classi politiche e sindacali, nazionali e continentali. Con masse di persone che temono di diventare ostaggio della malavita nei bassifondi delle metropoli europee e dell’indebitamento delle loro vite nel capitalismo finanziario eletto a unico parametro della società globale del rischio, per dirla ancora con Beck.

Dopo “l’individualizzazione della diseguaglianza sociale”

La rassegnazione al dominio dell’individualismo sociale e del “nazionalismo metodologico” accompagnano il lungo quarantennio neo-liberista in Europa. «Spesso la retorica dominante afferma che non “c’è alternativa”» agli imperativi dell’austerità, ricordava lo stesso Ulrich Beck in un’intervista rilasciata a Benedetto Vecchi su il manifesto del 29 agosto 2013. E in questo gigantesco immobilismo prospera da anni Merkiavelli, efficace neologismo coniato dallo stesso Beck per descrivere una politica capace di dettare in Europa l’agenda dell’austerità (anche in una impossibile funzione espansiva) e di difendere il patto socialdemocratico in casa propria. Ciascuno Stato-nazione, come ciascun individuo, sembra ripiegato in se stesso: «l’individualizzazione della diseguaglianza sociale», analizzata quasi trenta anni fa da Beck, fa il paio con le miserie nazionaliste di classi politiche inadeguate e dei nuovi populismi presenti anche nel Parlamento europeo.

Federalismo continentale cooperativo

Torna quindi di attualità il «bisogno di una critica dell’Unione Europea da un punto di vista europeo e non nazionale , per dirla sempre con Beck che, dalle colonne di The Guardian (28 novembre 2011), ci ricorda come la crisi europea possa essere «un’opportunità per la democrazia” a patto di avere la forza, intellettuale e politica, per «abbandonare l’euro-nazionalismo tedesco» e far “emergere una comunità europea di democrazie», in cui la «condivisione della sovranità divenga un moltiplicatore di potenza e democrazia». Sono l’idea e la pratica di un federalismo radicale, che mette in relazione i bisogni delle persone con gli spazi politici nei quali vivono. Rileggere gli insegnamenti di Ulrich Beck alla luce di questa visione solidale di una nuova idea di società e di Europa potrebbe diminuire il senso di vuoto che lascia la sua morte in chi continua a non rassegnarsi all’ordine esistente delle cose.

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