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Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 
29 Maggio 2020 Roma  (Italia)
Cronaca 
Fase 2 : manifestazione davanti al Ministero dell’Economia e delle Finanze per richiedere il reddito universale 
Nella Foto :  organizzazioni di base protestano davanti al MEF
Photo Cecilia Fabiano/LaPresse
May 29, 2020 Rome  (Italy) 
News
Phase 2 : demonstration in front of the building of Finance and economy ministry for reclaim the universal income
In the Pic: the protesters with banners

Le caratteristiche del Reddito di Cittadinanza italiano

di Guido Cavalca

 

Il Reddito di Cittadinanza è stata una delle misure più dibattute e strumentalizzate della campagna elettorale che abbiamo dovuto subire negli ultimi mesi, e già da anni è divenuta terreno di battaglia e attacco permanente verso la parte più povera del paese: inoccupat*, disoccupat*, lavorator* pover*. Con la vittoria elettorale della coalizione di centro-destra e il prossimo insediamento del nuovo governo guidato da Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, la cancellazione o drastica revisione del Reddito di Cittadinanza potrebbe essere uno dei primi interventi a cui assisteremo in questi mesi. E’ per questo che pubblichiamo questo ampio contributo di Guido Cavalca, ricercatore di sociologia economica presso l’Università di Salerno, testo della relazione da lui tenuta nella formazione sindacale dello scorso aprile “Cura collettiva e fare sindacato per cambiare il welfare” tenuta all’ex Asilo filangieri di Napoli. Una dettaglia analisi utile a comprendere a fondo il funzionamento di questa misura, i suoi reali effetti sul contrasto alla povertà strutturale in Italia e le forti limitazioni e problematicità.
Un approfondimento per alimentare un confronto su come difendere il Reddito di Cittadinanza e rivendicarne un radicale miglioramento e trasformazione in senso universalistico e incondizionato, sostenendo concretamente e sindacalmente chi ne ha beneficiato in questi anni. (NdR)

Si tratta di una misura di politica pubblica, introdotto a inizio 2019, che assume un carattere progressivo pur essendo pienamente dentro il modello neo-liberale e la fase di crisi, ridimensionamento e trasformazione del welfare, non solo in Italia; certamente non ha capacità emancipatrici rispetto alla povertà economica, all’esclusione lavorativa e al lavoro povero (working poor) ma sarebbe sbagliato sottostimare l’utilità materiale del provvedimento.

  1. La novità del Reddito di Cittadinanza nel Welfare italiano

Il RdC (la legge del 2019 ha istituito anche la Pensione di Cittadinanza, di cui però non parleremo) rappresenta un’importante novità nel welfare italiano, mostrando diversi aspetti positivi, per prima cosa una rilevante capacità di contrasto alla povertà, ma anche numerose difficoltà, come l’incapacità di proteggere il totale o la gran parte dei poveri, ma anche la parte di politica attiva del lavoro.

Pur non trattandosi di per sé di una misura di carattere universalistico, cioè rivolta a tutti i cittadini, il RdC potrebbe agire come leva, insieme all’Assegno unico per le famiglie con figli che è entrato in vigore da pochi mesi, per la trasformazione del sistema italiano in senso universalistico. Quantomeno si può pensare a uno strumento di allargamento dei diritti sociali legati alla scarsità di mezzi economici e di lavoro.

Si tratta, però, di un percorso per nulla scontato, anzi accidentato, come dimostrano le polemiche nel dibattito pubblico, ma anche le modifiche introdotte dal governo a fine 2021 tutte indirizzate a aumentare controlli e condizionalità, quindi il carattere workfarista del Reddito di Cittadinanza. Siamo in un momento di grande importanza per le trasformazioni del Welfare italiano e per il sostegno dei diritti sociali e in questo senso l’esistenza o meno di una mobilitazione sociale in difesa e per il miglioramento del RdC potrebbe fare la differenza, tenendo conto della continuità e radicalità degli attacchi che questa misura riceve da forze politiche, opinionisti e imprenditori.

  1. Le caratteristiche del RdC: selettivo, residuale e condizionato, quindi non universale

Il RdC italiano – l’uso dell’aggettivo è dovuto alla volontà di distinguerlo dalle forme di basic income –  non è di per sé una misura universalistica di welfare: è selettiva, residuale e condizionata.

Si colloca, sia come misura lavorativa sia come misura sociale, all’interno dell’approccio del Welfare di attivazione, tipico delle politiche neo-liberali e delle trasformazioni dei sistemi di Welfare internazionali, che spinge i soggetti in difficoltà economica e occupazionale al lavoro, alla formazione, anche in condizioni “non ideali”; si tratta di un sistema di etero-direzione da parte dello Stato rispetto al cittadino in condizione di bisogno. La logica è di meritarsi l’aiuto pubblico e di abbreviare il più possibile la durata e il peso finanziario del beneficio pagato dalla collettività

Come accennato, il RdC italiano non è un reddito di base. Non si tratta, infatti, di un trasferimento monetario su base individuale ma presenta anzi una forte familizzazione, tanto che se un membro della famiglia rifiuta un lavoro tutto il nucleo viene privato del sostegno.

Non è una politica universale, poiché viene riservata solo ai nuclei che presentano determinate condizioni di bisogno economico, lavorativo e sociale; in questo senso si definisce residuale perché diretto a sostenere la parte minoritaria della società che si trova in condizioni di povertà.

Infine, il RdC non è incondizionato, come è invece il basic income, ma viene erogato ai beneficiari solo se questi rispettano le condizioni previste da un vero e proprio contratto (patto) stipulato con lo Stato. Nel caso specifico, come vedremo, si tratta di rispettare il dovere di attivarsi sul mercato del lavoro (o più generalmente nella società) in modo da integrarsi nuovamente e sollevare lo stato (si evocano spesso in modo populista i concittadini) dall’onere del sostegno finanziario. Questo è il tratto tipico dei sistemi di workfare, che spingono, se non addirittura costringono, i beneficiari dei sussidi di disoccupazione o contro la povertà ad accettare qualsiasi tipo di occupazione. La logica sottostante è che le persone non devono rimanere fuori dal mondo del lavoro per troppo tempo rischiando di veder progressivamente diminuire le possibilità di trovare un lavoro (dinamica effettivamente riscontrata dagli studi sul mercato del lavoro), ma anche quella che i sussidi pubblici rappresentino un disincentivo alla ricerca di lavoro (cosa che non trova invece riscontri empirici).

  1. A cosa serve? Come è strutturato? Quali sono le condizionalità

Il RdC è una misura eterogenea: da una parte si presenta come politica cosiddetta passiva, cioè un sostegno economico contro la povertà, dall’altra vuole favorire percorsi di attivazione che determinano gli aspetti di condizionalità di cui parlavamo.

Il RdC prevede diversi scopi, forse troppi, come si evince dalla normativa stessa che la istituisce:

… misura fondamentale di politica attiva del lavoro
a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà,
alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché di-
retta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione,
alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al
sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti
a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro.

(art. 1 DL 28 gen 19, n. 4)

In sostanza lo scopo è contrastare povertà ed esclusione sociale soprattutto in chiave lavorativa; lo si fa attraverso due strumenti fortemente intrecciati:

  • misura economica di contrasto alla povertà
  • reinserimento lavorativo (Patto per il lavoro: politica attiva del lavoro) e/o sociale (Patto per l’inclusione sociale)

3.1 Il contrasto alla povertà

Per quanto riguarda il contributo economico, la misura passiva, i requisiti previsti sono piuttosto stringenti, tra i più duri in Europa.

Come si ricava dal sito ufficiale dell’Anpal, l’agenzia nazionale di coordinamento delle politiche di attivazione al lavoro, i nuclei familiari beneficiari devono possedere tre tipi di requisiti:

  •  Requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno
    • 10 anni, di cui ultimi due continuativi
  • Requisiti economici
    Il nucleo familiare deve essere in possesso di:

    • un valore ISEE inferiore a 9.360 euro (in presenza di minorenni, si considera l’ISEE per prestazioni rivolte ai minorenni);
    • un valore del patrimonio immobiliare in Italia e all’estero, diverso dalla casa di abitazione, non superiore a 30.000 euro;
    • un valore del patrimonio mobiliare non superiore a 6.000 euro per il single, incrementato in base al numero dei componenti della famiglia (fino a 10.000 euro), alla presenza di più figli (1.000 euro in più per ogni figlio oltre il secondo) o di componenti con disabilità (5.000 euro in più per ogni componente con disabilità e euro 7.500 per ogni componente in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza).
    • un valore del reddito familiare inferiore a 6.000 euro annui. Tale soglia è aumentata a 7.560 euro ai fini dell’accesso alla Pensione di cittadinanza. Se il nucleo familiare risiede in un’abitazione in affitto, la soglia è elevata a 9.360 euro
  • Altri requisiti
    Il nucleo non deve possedere:

    • autoveicoli immatricolati la prima volta nei 6 mesi antecedenti la richiesta, o autoveicoli di cilindrata superiore a 1.600 cc oppure motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati la prima volta nei 2 anni antecedenti
    • navi e imbarcazioni da diporto (art. 3, c.1, D.lgs. 171/2005).

Importo

L’importo medio mensile per nucleo dipende non solo dal reddito familiare integrato fino alla soglia, ma anche dalla soglia stessa, che è funzione della scala di equivalenza, nonché dall’eventuale ristoro aggiuntivo concesso quando la casa di abitazione è in locazione/acquistata con un mutuo (Inps 2022).

Importo annuo del beneficio =
(soglia x scala di equivalenza – reddito familiare)
+ eventuale ulteriore componente ad integrazione del canone annuo di locazione ovvero del mutuo di acquisto della casa di prima abitazione

L’importo complessivo, sommate le due componenti, non può comunque superare i 9.360 euro annui (780 euro mensili), moltiplicati per la scala di equivalenza (che può raggiungere al max 2,2 punti) e ridotti per il valore del reddito familiare.

Lo scopo dello Stato risulta essere quello di permettere ai soggetti componenti questi nuclei familiari di raggiungere la soglia di povertà per il periodo di tempo strettamente necessario perché questi soggetti siano in grado di mantenersi autonomamente al di sopra di questo limite economico.

La parte economica passiva della misura si è rilevata efficace, stando agli studi che sono stati condotti in questi anni. Si tratta finalmente di un sostegno consistente, di una misura ben finanziata e con un livello di take-up[1] (inclusione) alto, intorno all’80% (Caritas 2021).

L’efficacia è stata misurata rispetto al livello di povertà misurata nel 2019 (Istat). Il 57% dei nuclei beneficiari (soprattutto quelli costituiti da una-due persone) superano la soglia povertà (Caritas 2021).

La correlazione tra tasso di inclusione del RdC/PdC e disoccupazione/povertà (su base regionale) è stata misurata nel Rapporto Inps 2021 (su dati del 2020).

Il costo finanziario del RdC è rilevante ma non così gravoso sull’insieme delle politiche sociali: 9 miliardi su 550 miliardi di spesa sociale complessiva.

La misura ha effettivamente raggiunto i poveri, ma i poveri sono più dei percettori del Rdc e alcuni risultano esclusi o penalizzati dal disegno della misura (immigrati da meno di 10 anni, senza fissa dimora, anziani fragili) (Inapp 2022).

Nello stesso rapporto Inapp si sottolinea che il Rdc restituisce alle persone anche consapevolezza, dignità e prospettiva. I beneficiari lo percepiscono chiaramente: il 64 per cento dichiara di avere maggior fiducia nelle istituzioni, il 63 per cento di aver avuto più tempo per la cura dei figli, il 61 per cento di aver migliorato la propria condizione economica. In più, il 58 per cento ha fatto volontariato, il 54 per cento percepisce un miglioramento nella salute psico-fisica e, in generale, uno su due dichiara di aver maggiore fiducia in sé stesso, nel futuro, nei rapporti con gli altri e nella classe politica.

Per oltre il 77 per cento delle famiglie beneficiarie il reddito di cittadinanza è stato una risorsa indispensabile (figura 3): fondamentale per il 27 per cento ed essenziale per il 50 per cento. Livelli che, peraltro, scontano una forte sottostima dei più marginali.

3.2 Problemi di efficacia della misura

Come ogni politica sociale anche il Rdc crea falsi positivi e falsi negativi: esclude parte della povertà più forte e include soggetti non poveri sulla base delle regole di accesso e anche del rapporto tra cittadini e amministrazione pubblica.

Tasso Copertura: i beneficiari sono stimati al 44% dei poveri in Italia (Caritas 2021) – addirittura al 20% (Di Nicola, lavoce.info) – con una differenziazione evidente tra macro-regioni: Nord 35%, Sud 52% (CARITAS 2021).

I falsi negativi, cioè coloro i quali vengono ingiustamente (dal punto di vista dello spirito della legge) esclusi risultano essere il 56% dei soggetti poveri. Per un eccesso di requisiti di accesso (soglie incrociate di reddito familiare, Isee, patrimonio immobiliare e patrimonio finanziario, restando sui requisiti economici) non hanno diritto al Rdc.

Tra gli esclusi ci sono 4 famiglie straniere su 10 residenti nel nostro paese. Le famiglie povere escluse tendono più di frequente:

  • a risiedere nel Nord
  • ad avere minori,
  • ad avere un richiedente straniero
  • ad avere un patrimonio mobiliare (risparmi) superiore alla soglia consentita (6mila euro)

Tasso di inclusione

Il 64% dei beneficiari sono effettivamente poveri (Caritas 2021) – il 70% secondo le stime di Di Nicola (lavoce.info). Anche in questo caso le differenze territoriali sono evidenti e sempre a sfavore delle regioni settentrionali a riprova di fenomeni di povertà diversi e in parte meno radicali: Nord 37%; Centro 69%; Sud 95%.

A causa di una scala di equivalenza “piatta” che sfavorisce le famiglie numerose e con figli minori, il tasso di inclusione del RdC è decrescente all’aumentare del numero di componenti all’interno del nucleo.

In questo caso si stimano invece i “falsi positivi”, cioè i soggetti (o i nuclei) che ricevono una misura di politiche pubbliche senza avere in realtà le caratteristiche socio-economiche richieste, in questo caso senza essere poveri.

Circa 1/3 (36%) dei beneficiari del RdC non è povero (Caritas 2021), il 51% delle famiglie (BancaItalia)

Secondo Caritas (2021) il 41% delle famiglie che riceve il RdC pur non essendo povera è monocomponente e il 21% è composto da due persone

Le cause dell’inefficienza del RdC sono da rintracciare nella eccessiva selettività della misura, dovuta a una serie di fattori:

  • accesso alla misura è complicato, per esempio dalla necessità di possedere lo Spid;
    • stigmatizzante (la continua campagna di stampa rinforza un problema noto in letteratura). La “Carta acquisti”, il bancomat assegnato ai beneficiari, è stata dotata di criteri di utilizzo piuttosto umilianti che mostrano una visione del povero come deviante, imbroglione o quantomeno infantile. Per esempio, la necessità di dover spendere tutto l’importo mensile per non perdere soldi il mese successivo.
  • criteri troppo stringenti… basta avere pochi soldi da parte e si è esclusi
  • misura iniqua:
    • Discriminante verso gli stranieri: 10 anni residenza per gli stranieri extra UE
    • Diseguale nella sua applicazione ai diversi tipi di nuclei familiari. Discrimina le famiglie con figli (in un paese con un dramma sociale della povertà minorile). In questo senso un provvedimento necessario sarebbe rivede la scala di equivalenza, assegnando maggior peso ai minori, tenendo anche conto che la povertà minorile in Italia è cresciuta notevolmente e rappresenta, ovviamente non solo in Italia, un fattore di riproduzione sociale della povertà.
  1. Le misure specifiche di inserimento (politiche attive): i due percorsi (patti)

Entro 30 giorni dal riconoscimento del Reddito di cittadinanza, il beneficiario è convocato:

  • dai Centri per l’Impiego per stipulare il Patto per il lavoro (4.1), se nella famiglia almeno uno tra i componenti soggetti alle “ condizionalità” sia in possesso di almeno uno tra questi requisiti:
    • assenza di occupazione da non più di due anni;
    • beneficiario della NASpI ovvero di altro ammortizzatore sociale per la disoccupazione involontaria o che ne abbia terminato la fruizione da non più di un anno;
    • avente sottoscritto negli ultimi due anni un Patto di servizio in corso di validità presso i Centri per l’Impiego;
    • a condizione che non abbiano sottoscritto un progetto personalizzato per il REI.
  • dai servizi dei Comuni competenti per il contrasto alla povertà, per stipulare il Patto per l’inclusione sociale, in tutti gli altri casi.
    (sito Anpal)

Il nucleo familiare viene indirizzato, per via amministrativa (splitting), ovvero non attraverso un colloquio con le persone bensì sulla base della presenza o meno di alcune informazioni di cui l’INPS già dispone, con comunicazione diretta al beneficiario, al Centro per l’impiego (CPI) o ai servizi sociali per ulteriori valutazioni e per la definizione rispettivamente del “Patto per il lavoro” o del “Patto per l’Inclusione Sociale”.

Alcuni dati recenti (al 31 gennaio 2021): dei 1.138.315 nuclei percettori del RdC:

  • il 5,1% non risultava tenuto agli obblighi,
  • 48,3% era stato indirizzato ai percorsi di Inclusione Sociale (PaIS)
  • 46,6% ai percorsi di attivazione lavorativa con i CPI (i PAL CPI)

Per problemi di tempo ci occupiamo del primo dei due percorsi, quello di attivazione e di inserimento in ambito lavorativo.

4.1 PRIMO PERCORSO: Politica attiva del lavoro

È indubbiamente la parte più critica e quella che offre spazio agli attacchi politici all’intera misura. Secondo una parte dei sostenitori (seppur critici) del RdC sarebbe necessaria la separazione tra la misura passiva (sostegno economico) e le misure di attivazione lavorativa e sociale.

Entrando nella questione lavorativa si potrebbe supporre che la povertà economica che il RdC intende contrastare sia causata da mancanza di lavoro. In realtà lo è ma solo in parte.

I dati mostrano che la metà dei nuclei in povertà assoluta e di quelli effettivamente beneficiari del Rdc ha già almeno un occupato al proprio interno (Caritas 2021).

La composizione dei percettori di Rdc per condizione occupazionale mostra che il 30 per cento ha occupazioni standard e il 15 per cento contratti precari. Tuttavia, se nel periodo pre-pandemico era coinvolto nel Rdc il 38 per cento degli occupati, durante la crisi sanitaria i percettori occupati sono saliti al 52 per cento (Inapp-Plus 2022).

Su 100 soggetti beneficiari del Rdc quelli “teoricamente occupabili” sono 60, anche se non tutti ready to work: 15 non sono mai stati occupati, 25 hanno posizione contributiva ma non recente, e soltanto 20 hanno prossimità temporale con il mercato del lavoro (in molti casi NASpI e part-time). Tra questi ultimi però ci possono essere soggetti non effettivamente occupabili per numerosi motivi, per esempio per mancanza di qualifiche adeguate o per mancanza di un’idonea rete di servizi per l’infanzia mentre si è al lavoro o in formazione, per i genitori con figli piccoli.

L’evidenza empirica mostra una relazione debole con il mercato del lavoro da parte dei percettori di Reddito di cittadinanza, mostrando come la misura riguardi effettivamente chi è a rischio di esclusione sociale (Inps 2022).

In teoria (secondo la normativa stessa, si vedano i requisiti a pag. 6) i beneficiari del RdC “da attivare” nella ricerca di occupazione dovrebbero essere soggetti “vicini”, quantomeno non lontani dal mercato del lavoro, cioè soggetti che hanno perso da poco un posto di lavoro.

Il profilo dei beneficiari “attivabili” (Caritas 2021, Maitino, Ravagli e Sciclone) mostra che in molte famiglie percettrici di Rdc (e in molte famiglie povere) vi sono persone che lavorano. Questo mette in luce una serie di elementi rilevanti:

  • è possibile che questi soggetti abbiano bisogno di una integrazione reddituale permanente
  • l’importanza della formazione per ottenere salari più alti;
  • l’importanza di un secondo reddito da lavoro nei nuclei familiari per uscire dalla povertà (come peraltro sappiamo dalla letteratura sulla povertà).

A questi si può aggiungere un problema insito nel RdC, come sottolineato dal “Comitato scientifico per la revisione del Reddito di Cittadinanza”, istituito dal Ministero del Lavoro, che riguarda proprio il meccanismo di calcolo del sussidio economico sulla base dei redditi da lavoro. La cosiddetta “aliquota marginale effettiva” risulta essere troppo elevata. In sostanza, ovviamente nella situazione tipica di incertezza rispetto alla possibilità che il posto di lavoro offerto diventi stabile nel tempo, trovare un lavoro risulta non conveniente poiché l’80% del reddito da lavoro di un’occupazione trovata dal beneficiario concorre alla definizione dell’importo del sussidio familiare. Se un beneficiario vede aumentare di 100 euro il reddito da lavoro, l’ammontare dell’assegno del RdC diminuisce di 80 euro. Questo rappresenta un disincentivo all’inserimento lavorativo, un vero paradosso per una misura di attivazione.

Una quota non irrisoria dei beneficiari che la normativa ritiene più vicini al mercato del lavoro, il 21% non ha mai avuto un rapporto di lavoro alle dipendenze nella sua storia lavorativa.

Anche dalle analisi della Corte dei Conti sui livelli di istruzione e l’indice di profiling, è risultata evidente la quasi totale assenza di condizioni di occupabilità soprattutto nelle regioni meridionali.

Si ritorna così alla questione della condizionalità del RdC legata all’offerta di lavoro. La legge del 2019 prevedeva l’obbligo del beneficiario di accettare un’offerta di lavoro definita “congrua”, concedendo la possibilità di rifiutare solo due offerte di questo tipo. In sostanza alla terza offerta di lavoro congruo il beneficiario deve doveva decidere tra quel posto di lavoro e il sussidio.

La congruità dell’offerta di lavoro prevedeva, sempre nella versione della legge del 2019, alcune condizioni minime del lavoro, come la coerenza con il percorso professionale precedente; una distanza da casa contenuta ma crescente nel tempo, 3 mesi di contratto minimo, un determinato livello retributivo. Si poteva rifiutare un’offerta di lavoro senza alcuna sanzione anche dopo due offerte congrue se il rapporto di lavoro proposto durava meno di 3 mesi o se l’orario previsto era inferiore all’80% di quello dell’ultimo contratto di lavoro firmato dal beneficiario o, ancora, se il reddito offerto non superava di almeno il 10% il beneficio massimo fruibile, tramite reddito di cittadinanza, dal singolo individuo e se non erano rispettati i minimi salariali previsti dai contratti nazionali di lavoro (CCNL).

Il governo Draghi ha introdotto alcune novità nella legge di Bilancio 2022 in senso ulteriormente restrittivo e ignorando completamente le indicazioni di una serie di enti del terzo settore e studiosi, ma addirittura persino del “Comitato scientifico per la revisione del Reddito di Cittadinanza”, istituito dal Ministero del Lavoro.

Vengono modificati i criteri con i quali l’offerta di lavoro viene ritenuta congrua: potrà adesso essere anche a tempo determinato, fino a 80 chilometri da casa, part time, in somministrazione per almeno tre mesi e ovunque in Italia per i contratti stabili.

La decadenza del il sussidio è prevista dopo due offerte di lavoro rifiutate (non più tre); i Patti per il Lavoro e per l’Inclusione sociale dovranno necessariamente prevedere la partecipazione periodica dei beneficiari ad attività e colloqui in presenza, presso il centro per l’impiego, con frequenza almeno mensile. Per l’appunto in caso di mancata pre­sentazione senza giustificato motivo è prevista la decadenza dal beneficio.

Viene poi introdotto un meccanismo di “decalàge”: l’importo mensile del RDC viene ri­dotto di 5 € mensili, a partire dal mese successivo a quello in cui si è eventualmente rifiutata un’offerta di lavoro congrua, salvo per i nuclei familiari che in cui non vi siano componenti tenuti agli obblighi di lavoro, in cui vi sia un soggetto minore di tre anni di età ovvero una persona con disabilità grave e nei casi in cui il beneficio risulti inferiore a 300 €, moltiplicato per il corrispondente parametro della scala di equivalenza.

Il governo Draghi ha poi reso obbligatorio per i Comuni l’attivazione dei Progetti di Utilità Collettiva (PUC) a cui sono tenuti i beneficiari del RdC. La prima normativa prevedeva l’obbligatorietà di adesione da parte dei beneficiari ma non di istituzione da parte dei Comuni. La nuova normativa potrebbe spingere alcuni comuni a forzare la mano, a “inventarsi” posto di lavoro che in realtà potrebbero rivelarsi poco o per nulla utili alla formazione dei beneficiari. Esiste poi un rischio di sostituzione del lavoro retribuito. In riferimento a questi problemi è evidente l’importanza dell’azione di denuncia e di mobilitazione collettive e sindacali per contestare l’obbligo di adesione a progetti non dignitosi e non formativi.

Riguardo le condizionalità vanno fatte ulteriori riflessioni.

È da notare, da una parte, che la congruità dell’offerta incrociata a profili tendenzialmente bassi di lavoratrici e lavoratori “disponibili al lavoro” non rappresenta un ostacolo formale. Inoltre l’obbligo ad accettare un lavoro in realtà non si trasforma necessariamente in effettivo lavoro perché dipende dallo sviluppo della relazione datore di lavoro-disoccupato, dall’andamento effettivo del colloquio.

La condizionalità potrebbe perdere di forza anche per un altro fattore e proprio nelle aree più svantaggiate, quelle con scarsa domanda di lavoro, dove è forte il rischio di arrivare solo a una offerta “congrua”, quindi vicina a casa, che sarebbe scartabile. Certo, però, una seconda offerta, per quanto poco probabile, costringerebbe il beneficiario ad accettare anche in caso di trasferimento lontano da casa.

Attenzione poi al rischio, sottolineato da Sandro Gobetti, presidente del BIN Italia, che la funzione “totemica” della condizionalità, di fronte all’impossibilità per molti beneficiari coinvolti dai Patti per il Lavoro (la misura attiva prevista dal RdC) di ricevere davvero offerte congrue (in base a livello professionale, durata del contratto, livello salariale), costringa a puntare tutto sull’obbligo di “occupabilità”, quindi di formazione, rendendo ancora più ricco il mercato (o quasi-mercato come viene definito nelle scienze sociali) dei corsi professionalizzanti.

Osservazioni finali

Le politiche di attivazione occupazionale funzionano esclusivamente come forzatura verso lavori di bassa qualità e remunerazione senza adeguate politiche industriali in grado di creare lavoro di buona qualità da incrociare con una migliore legislazione sul lavoro, contratti e retribuzione.

Si pone la necessità di riflettere sulla funzione emancipatrice che un sistema di protezione sociale dovrebbe o potrebbe avere. Bisogna ritornare al concetto originario di “attivazione”, che per quanto contraddittorio e scivoloso già in origine, permetterebbe di evitare di attribuire al RdC una funzione salvifica che di suo non può svolgere. L’autodeterminazione del soggetto in difficoltà deve tornare al centro del dibattito, ma la misura italiana va integrata con altre politiche che permettano di defamiliarizzare, demercificare e destratificare la condizione del singolo percettore.

Infine va sottolineata l’importanza dei Centri per l’Impiego anche alla luce dei notevoli investimenti previsti anche dal PNRR per garantire uguaglianza di offerta di servizi e di livello qualitativo in tutte le regioni. A questo proposito la Corte dei Conti scrive: “essenziale una definizione chiara di misure, interventi e regole che, pur consentendo il dovuto margine di flessibilità richiesto dalle specificità territoriali, analizzate nella relazione secondo i diversi profili di utenza, sia coordinata dal livello centrale, al fine di assicurare sia una maggiore rispondenza dell’operatività dei Centri per l’impiego alle esigenze regionali, che fornire servizi omogenei su tutto il territorio nazionale

 

[1] percentuale dei percettori della misura rispetto alla platea dei beneficiari eleggibili per il benefit

 

di Guido Cavalca, Università di Salerno

 

Tratto da Fuori Mercato

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