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La proposta russelliana di Universal Basic Income tra libertarismo e socialismo. Dalla Grande Guerra alla società automatica.

di Antonio Marturano

Nel 1918, dopo la fine della grande guerra, Bertrand Russell, in Roads to Freedom (Socialismo, Anarchismo, Sindacalismo)[1] propone il “salario da vagabondo”, una sorta di salario minimo o reddito di base che sarà poi discusso dal governo inglese negli anni successivi e poi dimenticato. Il presente saggio si propone di investigare i motivi che hanno fatto nascere la proposta, apparentemente isolata, di B. Russell. Vedremo come la proposta di Russell verrà discussa e poi abbandonata durante la “first wave” di discussioni sul reddito di sussistenza in Gran Bretagna tra il 1918 e il 1939, e cercheremo di capire i motivi del suo abbandono anche da parte dello stesso Russell che preferirà seguire la prospettiva di una riduzione dell’orario di lavoro, proposta nello stesso periodo da J.M. Keynes. Infine, seguiranno alcuni spunti di riflessione riguardanti il rapporto tra reddito di base e disoccupazione tecnologica, anche per rileggere e situare la proposta di Bertrand Russell dinanzi all’evoluzione di quella società automatica frutto di un’innovazione digitale che impone il ripensamento delle misure di Welfare, a partire dall’esistente Reddito di Cittadinanza, in chiave più universalistica e inclusiva.

In Roads to Freedom, pubblicato nel 1918, ma iniziato a scrivere prima del periodo di detenzione che B. Russell fece a causa delle sue idee pacifiste a proposito della Grande Guerra, appare la sua proposta di un piccolo reddito di sussistenza, da lui chiamato “vagabond’s wage”. Il “reddito di cittadinanza” riappare, per la prima volta nel 1900, dopo essere scomparso tra le pieghe dei vari dibattiti politici e filosofici. Questa proposta verrà poi discussa successivamente all’interno del governo inglese, che, alla fine, metterà da parte questa idea innovativa per i suoi tempi. La proposta viene espressa molto sinteticamente a metà e alla fine del quarto capitolo del libro “Il lavoro e la sua retribuzione” e viene poi ripreso nel capitolo settimo “Scienza e arte nel socialismo”.

Roads to Freedom, appartiene a quella serie di saggi che B. Russell pubblicherà, spesso su ordinazione, nei quali approccia una serie di problematiche relative alla politica sociale, che includono: Political Ideals (Le idee Politiche, ed. orig. 1917)[2], ma soprattutto i Principles of Social Reconstruction (Principi di riforma Sociale, ed. orig. 1916)[3], e, infine, molto più tardi In Praise of Idleness (Elogio dell’ozio, ed. orig. 1935)[4].

Per comprendere i motivi per cui Russell propone uno dei primi esempi di reddito di base, bisogna partire proprio dai Principi di riforma sociale che riprendono in qualche maniera le prospettive economiche e sociali di uno dei padri nobili di Russell, cioè, John Stuart Mill, il quale in Principles of Political Economy[5] propone una serie di riforme politiche sociali che possano portare verso una più equa distribuzione della ricchezza. In questo libro Mill discute, infatti, non solo il problema della divisione tra la produzione e la distribuzione della ricchezza, ma propone anche un tipo di reddito di cittadinanza: “un certo [reddito] minimo assegnato per la sussistenza di ogni membro della comunità, che sia in grado di lavorare o meno darebbe ai poveri l’opportunità di uscire dalla povertà”[6]. Mill, in queste pagine ci presenta una tra le sue più brillanti proposte sociali: la fusione dell’idea liberale con le idee socialiste sulla distribuzione: se le leggi di produzione dipendono dalla necessità naturale, le leggi della distribuzione dipendono dalla volontà umana, e su queste leggi si può (e si deve) agire.

Non diversamente, B. Russell, nei suoi lavori, propone un paradigma politico che metta insieme liberalismo e socialismo, unica strada percorribile, se si vuole salvare una civiltà industriale che abbia caratteristiche “umane”. In particolare, Russell è preoccupato dalla prevalenza dell’istinto “possessivo” sull’istinto “creativo”: “Giudico positiva un’esistenza costruita sull’istinto creativo, mentre non approvo quella ispirata dalla brama di possesso”[7] che è tipica del capitalismo avanzato; infatti, Russell afferma che “Dal più alto al più infimo, quasi tutti gli uomini sono presi nella lotta economica: la lotta per acquistare quel che spetta o per mantenere quel che non spetta. (…) Il capitalismo e il sistema salariale devono essere aboliti: sono mostri gemelli che stanno divorando la vita del mondo. Al loro posto abbiamo bisogno di un sistema che tenga a freno gli impulsi predatori dell’uomo e diminuisca l’ingiustizia economica”[8].

Nasce, quindi, da una esigenza di riforma sociale, la proposta russelliana di reddito di sussistenza[9]. La scelta, tra le possibili misure che si possono adottare, è tra l’opzione che mira a “conservare la retribuzione del lavoro fatto, o della buona disposizione dell’individuo a della buona disposizione dell’individuo a fare quel lavoro, e, eccetto nel caso di persona inabilitata dall’età o dalla malattia, vorrebbe fare della buona disposizione al lavoro una condizione per avere diritto da un reddito di sussistenza, o, quanto meno, ad un reddito che consenta una vita superiore a un certo livello molto basso”[10], in linea con i principi del socialismo, per il quale dovrebbe, comunque, essere mantenuto l’obbligo al lavoro[11]. L’altra opzione, invece, che secondo Russell, doveva essere più vicina all’”anarchismo”, benché compatibile con il “socialismo ortodosso”, sarebbe quella per cui “a tutti fosse assicurato un piccolo reddito sufficiente per i bisogni essenziali, sia che lavorino o no, e che un reddito maggiore, di tanto maggiore di quanto lo consentisse la somma totale dei beni prodotti, dovrebbe esser dato a coloro i quali sono disposti ad impegnarsi in qualche lavoro che la comunità riconosce come utile”[12]. Per Russell questa opzione unirebbe le richieste di giustizia con quelle di libertà, ed eviterebbe quei pericoli per la comunità che, secondo l’autore, si nascondono minacciosi sia nelle proposte anarchiche che in quelle socialiste ortodosse[13].

Abbiamo però visto che la reale necessità del reddito di cittadinanza/sussistenza per Russell è necessario in una società che sia eminentemente umana, ovvero libera dall’impulso possessivo e che tenda a favorire l’impulso creativo dell’uomo. Da questa esigenza, nasce il cosiddetto “salario da vagabondo”[14]; questo tipo di reddito di sussistenza darebbe la possibilità di garantire un salario minimo per le cose necessarie alla vita che sarebbero a disposizione gratuita di tutti, sia che le persone lavorino che non lavorino. Secondo Russell questa concezione permetterebbe ad ognuno di vivere senza lavorare: “L’artista che preferisce dedicare tutto il suo tempo all’arte e al proprio divertimento, potrebbe vivere col «salario da vagabondo», viaggiando a piedi quando gli prendesse il gusto di vedere dei paesi stranieri, godendosi l’aria ed il sole, libero come gli uccelli e forse di poco meno felici. Tali uomini porterebbero colore e diversità nella vita della comunità: la loro visione della vita sarebbe diversa da quella dei lavoratori posati e casalinghi, e terrebbe vivo un elemento assai necessario di leggerezza di cuore che la nostra civiltà sobria e seria tende a uccidere”[15] . Russell riprende questa idea più tardi, in Elogio dell’ozio proponendo una riduzione a quattro ore (a salario invariato) al posto di un salario minimo, proprio per recuperare la creatività che nel mondo moderno si va vieppiù perdendo: “Vi era anticamente una capacità di spensieratezza e di giocosità che è stata in buona misura soffocata dal culto dell’efficienza. L’uomo moderno pensa che tutto deve essere fatto in vista di qualcos’altro e non come fine a sé stesso”[16].

Perché Russell passa dalla proposta di un reddito di sussistenza ad una riduzione dell’orario di lavoro? Possiamo individuare molteplici cause per il suo cambiamento di idea. La prima è che la proposta di reddito di sussistenza avanzata da Russell venne in effetti analizzata all’interno della politica britannica, durante la “prima ondata” di discussioni sul reddito di sussistenza (tra il 1918 e il 1939)[17]. La proposta verrà però successivamente abbandonata: infatti, sebbene il partito laburista discusse la proposta russelliana, per poi respingere fermamente l’idea nel 1921, altri pensatori di sinistra continuarono a giocherellarci durante il periodo tra le due guerre. In particolare, il movimento del credito sociale di C.H. Douglas ha reso popolare l’idea che lo stato dovesse pagare alle famiglie un “dividendo nazionale” mensile, finanziato dalla creazione di credito, per aumentare la domanda e contrastare il sottoconsumo[18]. La teoria del credito di Douglas è stata aspramente criticata dagli economisti tradizionali, ma G.D.H. Cole[19], economista e socialista libertario, ha sottolineato che un governo laburista potrebbe utilizzare un tipo più convenzionale di “dividendo sociale” per distribuire i profitti delle industrie nazionalizzate. Socialisti keynesiani come J. Meade[20] hanno anche notato che questo potrebbe servire come dispositivo anticiclico, pagato a un tasso inferiore durante i boom economici ma ad un tasso più elevato durante i crolli per uniformare il ciclo commerciale[21].

La seconda ragione è che l’idea stessa di reddito universale di sussistenza viene vista già a partire dalla proposta milliana, poi recepita da Russell, come una proposta utopica. Una terza ragione può, probabilmente, essere dovuta ad uno scambio di opinioni tra Russell stesso con l’economista John M. Keynes: i due futuri premi Nobel erano amici da tempo; nell’autobiografia, per esempio, B. Russell racconta di quando, tempo addietro, nel 1915, organizzò un incontro tra lo stesso Keynes e lo scrittore D.H. Lawrence[22]. J.M. Keynes tiene una famosissima conferenza a Madrid nel 1930, raccolta nell’articolo “Prospettive economiche per i nostri nipoti”[23], nel quale Keynes sostiene che l’accelerazione tecnologica porterà ad un grave problema, ovvero, quello della disoccupazione (è attribuito proprio a Keynes il termine “disoccupazione tecnologica”) a causa della sostituzione dell’uomo con dispositivi automatici al quale non corrisponde un equivalente rimpiazzamento di nuovi lavori con i quali impiegare la stessa manodopera. Per rimediare a questa fase, che Keynes sostiene essere transitoria e positiva in quanto l’umanità stia entrando in una nuova fase, una fase cioè in cui il problema economico – ovvero il problema della dipendenza dalla natura per reperire i fabbisogni quotidiani – sta venendo meno, propone “Turni di tre ore e settimana lavorativa di quindici ore possono tenere a bada il problema per un buon periodo di tempo. Tre ore di lavoro al giorno, infatti, sono più che sufficienti per soddisfare il vecchio Adamo che è in ciascuno di noi”[24]. Cinque anni dopo, B. Russell, propone, come abbiam visto, in Elogio dell’ozio, una ricetta molto simile (Russell propone giusto un’ora in più di lavoro rispetto a Keynes). Ci sono quindi due fattori che, in questo caso sembrano far cambiare idea a Russell riguardo la sua vecchia proposta di reddito di sussistenza: il primo fattore, che possiamo soltanto congetturare, e cioè delle discussioni con Keynes stesso a proposito del mondo che si sta venendo a creare all’alba della seconda guerra mondiale, e il secondo, è la forte ascesa della tecnologia in tutti i campi, che Russell conosce benissimo in quanto argomento centrale della seconda parte di The Scientific Outlook (La visione scientifica del mondo, ed. orig. 1931)[25]. Infatti, Russell arriverà ad affermare che “La tecnica moderna ci consente di distribuire il tempo destinato all’ozio in modo equo, senza danno per la civiltà”[26]. Secondo P. Ironside, una quarta ed ultima ragione, potrebbe venir ricavata dalla credenza di Russell (collegata agli sviluppi tecnologici e al conseguente abbassamento degli orari di lavoro, visti prima, su cui sia Keynes e Russell condividevano) che sino a quando il lavoro possa essere tenuto ad una soglia di tollerabilità per l’individuo, fosse improbabile che la maggioranza delle persone scelga di evitarlo, benché il “reddito del vagabondo” possa fornire un’opportunità di indipendenza artistica e culturale individuale[27].

In Roads to Freedom, Russell accenna, quindi, non a una sola proposta di reddito di cittadinanza, ma due: la prima, presentata nel cap. IV che rappresenta un reddito di base minimo sul quale eventualmente aggiungere un salario dipendente dal tipo di lavoro svolto e che mira ad una esigenza di equità retributiva. La seconda proposta, invece, presentata nel cap. VII in cui il “salario da vagabondo” sia utilizzato a prescindere da un eventuale lavoro e che serve ad incentivare la creatività e l’indipendenza artistica di un individuo.

Accade spesso che Russell cambi idea su di un argomento; non è strano, quindi, che egli cambi idea a proposito dell’utilità sociale del reddito di cittadinanza per ulteriori motivi di contingenza: in primis, come abbiamo visto, la crescita di importanza della tecnologia; ma anche a causa del cambiamento nelle abitudini sociali degli individui nella società tecnologica capitalista, dove gli svaghi nelle popolazioni urbane “sono diventati soprattutto passivi: sedersi in cinema, assistere ad una partita di calcio, ascoltare la radio e così via” perché le energie attive vengono confinate quasi esclusivamente al lavoro[28]. Per questo motivo Russell spinge per una cura particolare verso l’istruzione: infatti egli afferma che “in un sistema sociale di questo genere è essenziale che l’istruzione sia più completa e di quanto lo è ora e che miri, in parte, ad educare e raffinare il gusto in modo che un uomo possa sfruttare con intelligenza il proprio tempo libero”[29]. Certo, in questo contesto, Russell fa riemergere il suo aristocratismo di stampo vittoriano; cioè l’idea condivisa con J.S. Mill, che sebbene l’utilitarismo edonista non possa essere in linea di principio eliminato, bisogna però costruire, e preferire, una società sulle basi dell’utilitarismo quasi ideale[30].

Al contempo potremmo rileggere l’evoluzione del pensiero e delle proposte di Bertrand Russell come un invito a tenere insieme la previsione garantistica e universalistica di un reddito di base connesso alla riduzione dell’orario di lavoro standardizzato e al miglioramento dell’offerta formativa e dell’istruzione pubblica per una società in rapida trasformazione come la nostra. A un secolo dalla Grande Guerra e dentro una pandemia globale che impone ripensamenti radicali degli istituti di sicurezza sociale. Ecco le idee e le proposte di un Welfare con servizi pubblici di qualità (istruzione, formazione, mobilità, etc.) imperniato intorno a una visione ecosistemica di un reddito di base come diritto sociale individuale, di investimento pubblico sull’autonomia delle persone: maggiore libertà in un quadro di protezione e promozione dei singoli percorsi esistenziali. Appunto il meglio della tradizione liberal-libertaria e di quella di un nuovo socialismo non burocratizzato. Una prospettiva che parla alle nostre società sospese tra insicurezze pandemiche, accelerazioni delle innovazioni tecnologiche e ritardi sul versante delle tutele e garanzie sociali.

 

Biografia dell’autore.

Antonio Marturano è nato a Taranto il 10/06/1965 e si è laureato in Filosofia a Roma ed ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Filosofia Analitica del Diritto presso l’Università Statale di Milano è stato membro del Comitato di etica della Difesa Militare Italiana (DIFESAN) fino alla sua abrogazione. E’ stato premiato nel 1999 con una borsa Marie Curie Fellowship per continuare gli studi nel Regno Unito con Ruth Chadwick prima alla University of Central Lancashire (Preston) e poi presso la University of Lancaster durante i quali ha organizzato la conferenza internazionale CEPE 2001; Dal 2002 è diventato research fellow presso il Centre for Leadership Studies alla University of Exeter e si è interessato dei problemi etici e filosofici degli studi sulla Leadership nel 2006 è il primo europeo a diventare Lecturer presso la Jepson School of Leadership alla University of Richmond (VA). Oggi è professore a contratto di Antropologia Filosofica all’Università Tor Vergta di Roma. Ha pubblicato diversi saggi e oltre 100 articoli sia in italiano che in inglese, Ha in fase di preparazione un volume sulla filosofia della leadership e in fase di stampa un volume collettaneo sulla Disoccupazione tecnologica entrambi per Routledge.

[1] B. Russell, Roads to Freedom: Socialism, Anarchism, and Syndicalism, London: Allen & Unwin, 1918; trad. It., Socialismo Anarchismo Sindacalismo, Milano: Longanesi, 1970.

[2] B. Russell, Political ideals, London: Allen & Unwin, 1917; trad. It., Le idee politiche, Milano: Longanesi, 1983.

[3] B. Russell, Principles of Social Reconstruction, London: Allen & Unwin, 1916; trad. It., Principi di riforma sociale, Newton Compton, 1970.

[4] B. Russell, In Praise of Idleness, London: Allen & Unwin, 1935; trad. It. Elogio dell’ozio, Milano: Longanesi, 1984.

[5] J.S. Mill, Principles of Political Economy, London: John W. Parker, 1848; trad. It, Principi di Economia Politica, Torino: Utet, 2006.

[6] J.S. Mill, Principles of Political Economy, cit., p. 166.

[7] B. Russell, Socialismo Anarchismo Sindacalismo, cit., p. 15.

[8] B. Russell, Le Idee Politiche, cit., pp. 47-48.

[9] B. Russell, Socialismo Anarchismo Sindacalismo, cit., p. 123.

[10] Id., pp. 122-123.

[11] Id., p. 123.

[12] Id., pp. 138-139.

[13] Id., pp. 139.

[14] Id., p. 210.

[15] Ibidem.

[16] B. Russell, Elogio dell’ozio, cit., pp. 22.

[17] P. Sloman, “Universal Basic Income in British Politics, 1918-2018: From a ‘Vagabond’s Wage’ to a Global Debate”, Journal of Social Policy, 47(3), 2018, pp. 625-642.

[18] W. van Trier, Every One A King: An Investigation into the Meaning and Significance of the Debate on Basic Incomes with Special Reference to Three Episodes from the British Inter-War Experience, Leuven: Katholieke Universiteit Leuven, 1995.

[19] GDH. Cole, Principles of Economic Planning, London: Macmillan, 1935.

[20] J. Meade, Consumers’ Credits and Unemployment, Oxford: OUP, 1938.

[21] P. Sloman, op. cit.

[22] B. Russell, The Autobiography of Bertrand Russell, 3 vols., London: George Allen & Unwin, vol. II, 1956; trad. It., L’Autobiografia di B. Russell, Milano: Longanesi, vol. 2, 1969, p. 22.

[23] JM. Keynes, “Economic possibilities for our grandchildren”, in JM. Keynes, Essays in Persuasion, New York: W.W.Norton & Co., 1963, pp. 358-373; trad. It. “Prospettive economiche per i nostri nipoti”, in John M. Keynes, Esortazioni e profezie, Il Saggiatore: Milano, 2011, pp. 273- 283.

[24] JM Keynes, op. cit., pp. 280-281.

[25] B. Russell, The Scientific Outlook, London: Allen &Unwin, 1931; trad. It. La visione scientifica del mondo, Bari: Laterza, 2009.

[26] B. Russell, Elogio dell’ozio, cit., p. 14.

[27] P. Ironside, The Social and Political thought of Bertrand Russell, Cambridge: CUP, 1996, p. 140.

[28] B. Russell, Elogio dell’ozio, cit., pp. 23-24.

[29] Id., p. 23.

[30] J. Smart, “An outline of a system of utilitarian ethics”, in J. Smart & B. Williams, Utilitarianism: For and Against (pp. 1-74). Cambridge: CUP, 1973, pp. 1-74; trad. It. Utilitarismo: un confronto, Napoli: Bibliopolis, 1985.

 

Tratto da Quaderni per il Reddito n°11, “Verso il reddito di base. Dal reddito di cittadinanza per un welfare universale”, Roma, Giugno 2021 (BIN Italia)

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