Definizioni, domande e risposte, un breve vademecum per conoscere meglio i perché del Basic Income e le risposte alle critiche che spesso vengono rivolte a questa proposta. Tratto da Infoxoa rivista di quotidiano movimento N°20 – 2006
era una povera… in una parola,
che viveva del suo lavoro…
Fiodor Dostoievsky
La condizione necessaria per l’applicazione di qualsiasi proposta sociale e politica, alternativa e innovativa, è la sua divulgazione. Ma quando si diffonde al ritmo accelerato con cui si vanno spargendo le idee programmatiche inerenti al Reddito di Base (RB, d’ora in poi), è inevitabile che sorgano malintesi. In questo scritto esporremo le caratteristiche generali del RB che aiutino a dissolvere i malintesi più comuni, forniremo qualche esempio su come potrebbe essere finanziato, e accenneremo brevemente alla sua giustificazione normativa e alla sua opportunità politica nel mondo attuale.
1.Definizione
Il RB è una somma monetaria pagata dallo stato a ciascun membro a pieno diritto della società o residente, anche se non desidera lavorare in forma remunerata, senza considerare se sia ricco o povero o, detto in altro modo, indipendentemente da quali possano essere le altre possibili fonti di reddito, e senza che abbia importanza con chi conviva.
“Un’entrata pagata dallo Stato”. Il concetto di “Stato” può includere una istituzione politico-giuridica più grande degli Stati-nazione esistenti, come è il caso dell’Unione Europea; o può riferirsi ad ambiti politico-giuridici minori dello Stato-nazione.
“A ogni membro a pieno diritto della società o residente”. In ogni distinto modello di finanziamento del RB ci sono variazioni di quantità, di età (maggiore o minore quantità secondo l’età), di inclusione o meno dei minori, ecc. Ma in tutti i casi si tratta di una quantità monetaria che ricevono i cittadini a livello individuale (non per famiglia, per esempio) e universalmente1 (non condizionato a determinati livelli di povertà, per esempio).
“Anche se non desidera lavorare in forma remunerata”. Più avanti insisteremo sopra questo aspetto, ora ci preme soltanto tenere presente che molto spesso si interpreta “lavoro” come sinonimo di “lavoro remunerato” o “impiego”. Ci sono buone ragioni per pensare che la seguente tipologia è più adeguata: lavoro con remunerazione nel mercato; lavoro domestico e lavoro volontario2.
“Senza considerare se sia ricco o povero o, detto in altro modo, indipendentemente da quali possano essere le altre possibili fonti di reddito”. A differenza dei sussidi condizionati da un livello di povertà o di situazione particolare, il RB viene ricevuto in ugual misura da un ricco come da un povero. Se il RB è concepito come un diritto di cittadinanza (come implicitamente si può ricavare dalla definizione), esclude tutte le condizioni addizionali. Come il diritto di cittadinanza al suffragio universale, la proposta del RB non impone condizioni addizionali alla cittadinanza.
“Senza che abbia importanza con chi conviva”. Il RB non favorisce una forma di convivenza specifica. Sia il caso che sotto uno stesso tetto viva una coppia eterosessuale, o persone di diverse generazioni, o un gruppo di amici o una coppia omosessuale, si tratta di forme di convivenza completamente indipendenti dal diritto a percepire un RB.
Il RB non è una sovvenzione, un sussidio o un’assicurazione condizionata. Né presuppone il soddisfacimento di qualche requisito come, per esempio, dimostrare un determinato stato di povertà, essere alla ricerca di un lavoro remunerato, o avere perduto l’impiego per qualche motivo. Questa caratteristica tanto peculiare del RB, quella di non essere condizionata da nessun requisito diverso dalla cittadinanza o dalla residenza certificata, lo distingue chiaramente, per citare solamente alcuni esempi, dal sussidio di disoccupazione, dai sussidi agrari, da quei programmi riguardanti i capifamiglia, ecc.
Si può affermare con chiarezza che il RB è formalmente laico, incondizionato e universale. Si percepirà, insomma, indipendentemente dal sesso o dalla razza di appartenenza, dal livello di entrate che si possiede o dal proprio orientamento sessuale3.
2. Critiche e malintesi
Si discute intorno alla proposta di RB ormai da una ventina d’anni4, tanto dal punto di vista filosofico che da quello economico. In relazione a questa ipotesi sono apparse una moltitudine di critiche. Fare un inventario di queste critiche sarebbe un lavoro molto ampio e non molto utile. Ma, invece, crediamo che selezionare alcune di quelle che continuano a essere ripetute, visto che altre sono state abbandonate da tempo, possa aiutare una migliore comprensione del RB. Ci concentreremo sulle seguenti: il RB stimolerà il parassitismo; il carattere universale del RB non permette una lotta efficace contro la povertà (pertanto sono migliori i sussidi condizionati diretti ai poveri); il RB è stato pensato solo per i paesi ricchi; il RB è molto costoso e impossibile da finanziare.
2.1. Stimolerà il parassitismo
Questo tipo di critica si regge di solito su alcuni malintesi. Fra gli altri: quello che mette sullo stesso piano il lavoro con il lavoro remunerato con denaro e quello che identifica l’assenza di remunerazione monetaria frutto di una attività con il “non stare facendo nulla”. Vediamo di seguito i due malintesi.
Esistono una serie di attività per le quali non si percepisce in cambio alcuna remunerazione monetaria. Come abbiamo segnalato precedentemente, la tipologia che ci sembra enunciata nella maniera migliore è la seguente: lavoro con remunerazione monetaria, lavoro domestico e lavoro volontario5. Se il lavoro con remunerazione monetaria fosse l’unico lavoro, allora le donne (soprattutto le donne, sicuramente) che svolgono lavoro domestico non starebbero lavorando. E’ un punto che ci permette di allacciarci con il secondo malinteso. Non svolgere un lavoro con remunerazione monetaria non equivale a non star facendo nulla. E’ una possibilità, però può essere perfettamente possibile che si stia svolgendo lavoro domestico o lavoro volontario. Riflettiamo sul fatto che esistono molti “lavori” per i quali si percepisce in cambio una remunerazione (spesso molto generosa) e che sarebbe facile condividere l’opinione che l’utilità sociale (sebbene si tratti di un termine molto usato e difficile da precisare) degli stessi sia inesistente o perfino controproducente. Si pensi, per esempio, alle occupazioni che hanno a che vedere con gli eserciti (molti dei quali hanno rivolto le armi contro il loro stesso popolo) o con determinate cariche simboliche, e molto ben pagate, tanto del settore privato che di quello pubblico, ecc.
Esposto questo breve preambolo, andiamo a vedere direttamente l’accusa di parassitismo che sarebbe stimolato da una instaurazione del RB. Per parassitismo intendiamo ciò in cui incorre chi ottiene un beneficio facendone ricadere il costo, parzialmente o totalmente, su un’altra persona. Questa critica non è un’esclusiva del RB. Qualsiasi misura a beneficio della popolazione più povera o con livelli di reddito più bassi, si è sempre meritata l’accusa di “stimolare il parassitismo” da parte delle destre politiche e accademiche (con alcune eroiche eccezioni) e di quelle padronali. Giustamente il RB permetterebbe, per la prima volta nella storia della nostra specie, che tutti siano messi nelle condizioni di poter fare quello che prima hanno potuto fare solamente in pochi, la parte più ricca della popolazione, e cioè la possibilità di vivere senza fare nulla in cambio. Ma, obietterà qualche critico insoddisfatto, è giusto che “l’uomo che non lavora, non mangi”, come dice la “Seconda Lettera ai Tessalonichesi” di Paolo di Tarso. Come abbiamo già scritto da un’altra parte6: nel nostro mondo, chi non disponga di terre o di capitali non può scegliere di non lavorare per qualcun altro, ammesso che la possibilità di “non morire di fame” si possa considerare propriamente un’alternativa. L’instaurazione di un RB garantisce la reciprocità7; la sua assenza la impedisce. Attualmente, solo una piccola parte della popolazione può scegliere tra lavorare in cambio di una paga o non farlo. Con il RB ci sarebbe una possibilità aperta per tutta la cittadinanza. Il principio paolino “chi non lavora, non mangia” è in vigore solo per i poveri, non per tutti i componenti della società, in nessun caso per i ricchi. Ci sono ricchi che mangiano e non lavorano.
2.2 Sono migliori i sussidi condizionati diretti ai poveri.
Un ‘altra delle critiche si focalizza nell’attacco alla universalità del RB. Si opina, da parte dei sostenitori di questa critica, che sono più giustificabili i sussidi diretti a coloro che “più ne hanno bisogno”. Questa critica è apparsa quasi nello stesso momento della rinascita contemporanea della proposta. Il RB presenta dei vantaggi tecnici rispetto ai sussidi condizionati diretti ai “più poveri”, che possiamo riassumere nei seguenti punti:
A) I sussidi non universali presentano altissimi costi amministrativi, in proporzione al preventivo totale del programma condizionato. Il RB rappresenta una semplificazione amministrativa, come hanno riconosciuto anche alcuni dei suoi critici. Non c’è bisogno di aggiungere che questa caratteristica del RB può essere cruciale in vista di una effettiva razionalizzazione delle politiche sociali e di redistribuzione della ricchezza.
B) Il RB viene garantito ex-ante, i sussidi condizionati, nel caso in cui sia possibile accedervi, ex-post. Ciò trasforma il RB in una misura che essenzialmente previene l’esclusione.
C) Il RB permette di sfuggire alle cosiddette “trappole della povertà e della disoccupazione”. Queste trappole sono dovute al fatto che gli importi monetari dei sussidi condizionati non sono cumulabili (con ciò vogliamo dire che sono sussidi complementari a un reddito già esistente e fino ad una soglia stabilita). Da qui deriva l’assenza di stimoli ad accettare occupazioni a tempo parziale o con una paga insignificante. Tecnicamente lo possiamo definire nel seguente modo: l’imposta marginale che si applica a ciascuna unità monetaria che non sia quella del sussidio condizionato è in molti casi del 100%, cioè si perde una unità monetaria di prestazione sociale per ogni unità monetaria di entrata salariale percepita. Le trappole della povertà e della disoccupazione, detto rapidamente, si manifestano quando la riscossione dei benefici, fiscali o di altro tipo, è condizionata alla verifica, da parte delle autorità, della sufficienza delle entrate percepite nel mercato del lavoro. A differenza dei sussidi condizionati, il RB non stabilisce un tetto, a parte il definire solamente un livello di base a partire dal quale le persone possono cumulare qualsiasi altra entrata.
D) L’incondizionalità del RB porta con sé anche la promessa di sradicare o attenuare le diverse pratiche assistenziali fondate sul clientelismo, e sulle sue numerose e nocive conseguenze: la formazione di una burocrazia parassitaria, formale o informale, e il rafforzamento delle relazioni di dipendenza.
E) C’è da dire ancora, alla fine, che il RB permette di evitare i danni psicologici e morali legati alla stigmatizzazione sociale di chi percepisce un sussidio condizionato.
2.3 Il RB è stato pensato solo per i paesi ricchi
Questa è una critica la cui unica parte di verità risiede nel fatto che gli studi più numerosi e approfonditi sul finanziamento del RB sono stati realizzati nei paesi ricchi (si veda nel paragrafo seguente un esempio recente). Ciò si è verificato perché nei paesi ricchi ci sono maggiori possibilità fiscali per finanziare un RB. Fino a qui c’è la parte diciamo “giusta” della critica. Ma nulla di più. Già da alcuni anni, in paesi che non possono essere considerati in alcun modo appartenenti al blocco dei paesi ricchi (Timor Est8, Sudafrica, Argentina9, Brasile10, per portare quattro esempi, ma comunque non sono i soli, si inizia a mostrare interesse per la proposta del RB. Molte delle virtù del RB risultano ancora più interessanti nelle zone dove esistono più povertà, oppressione e miseria. Evidentemente, un RB a Timor Est non potrà essere della stessa quantità che in Canada o in Svezia. E in Marocco sarà differente, per esempio, rispetto alla Germania. Il criterio “almeno fino alla soglia di povertà” è un buon indicatore approssimativo della quantità di RB che permetterebbe di vivere nelle diverse aree geografiche. La forma di finanziamento, sebbene nei paesi ricchi e anche in quelli dotati di un sistema impositivo minimamente sviluppato debba essere intimamente legata alla politica fiscale, può essere molto differente a seconda delle risorse e delle possibilità di ogni paese.
2.4 Il RB è molto costoso e difficile da finanziare
Il finanziamento è uno degli aspetti del RB sul quale si sono fatti più passi avanti negli ultimi anni. Sono state realizzate diverse inchieste in ambiti geografici distinti. Fra queste, ne esporremo molto brevemente una che conosciamo particolarmente bene, avendo partecipato alla sua elaborazione11. Lo studio si base su un grande campione di 210.000 dichiarazioni dell’IRPF (Impuesto sobre la Renta de las Personas Fisicas, la nostra IRPEF, ndt) della Catalogna. La proposta di finanziamento del RB consiste in una riforma in profondità dell’attuale IRPF. Lo studio opta per questo tipo di percorso perché si è avuto accesso a dati individualizzati di questa imposta, ma anche perché l’IRPF è particolarmente utile, in particolare, per valutare la risultante redistribuzione del reddito. L’immensa base di dati permette una conoscenza esaustiva dei redditi netti suscettibili di essere gravati fiscalmente. Le principali caratteristiche della proposta sono: si istituisce un RB universale corrisposto direttamente a tutte le persone in modo incondizionato; il RB sostituisce qualunque altro tipo di reddito o pensione pubblica di quantità inferiore (nel caso che l’ammontare precedente sia più alto, il RB si implementa fino a raggiungere il citato ammontare); la cifra annuale di RB è di 6.000 euro per gli adulti e di 3.000 euro12 per i minori di 18 anni13; si istituisce una tassazione unica14 nominale del 55,2% per tutti i redditi superiori al RB, il quale è completamente esente da imposte. Questo 55,2% nominale è una tassazione realmente corrispondente a questa percentuale oppure è una tassazione effettiva, cioè molto diversa a secondo della decina di reddito (la decina si ottiene ordinando la popolazione secondo i livelli di reddito e dividendola quindi in dieci parti). In pratica, se calcoliamo la tassazione effettiva (cioè la percentuale che effettivamente si paga dopo il passaggio al RB) per decine di reddito, risulta che dal 10% al 50% della popolazione con meno reddito si ritroverà con una tassazione negativa (dal -117% al -4%, rispettivamente); nelle fasce dal 60% al 90% le tassazioni effettive oscilleranno dal 3,2% al 25,8%. Sebbene il 55,2% nominale sembri una tassazione molto elevata, la tassazione effettiva è molto minore, ad eccezione dei più ricchi (quando il RB rappresenta una porzione molto piccola del reddito totale, come risulterebbe nel caso dei più ricchi, la tassazione nominale e quella effettiva tendono a coincidere).
Con queste caratteristiche, il modello conduce ai seguenti risultati: La riforma si autofinanzia, vale a dire che con la tassazione unica indicata e la riforma specificata, il RB non dovrebbe essere finanziato da altre imposte; la redistribuzione di reddito che ne risulta è molto più egualitaria che non la situazione di partenza, vale a dire quella attualmente esistente; il 70% della popolazione catalana ci guadagna, rispetto alla situazione di partenza, con la riforma; Il 15% più ricco ci perde e il resto rimane più o meno nella stessa situazione.
Sebbene questo studio sia basato, come menzionato, su un grande campione di 210.000 dichiarazioni di reddito della Catalogna, la sua metodologia è perfettamente applicabile all’intero regno di Spagna cambiando solamente, è ovvio, i dati di base.
Come diciamo altrove15 questo esempio non è esportabile così com’è nei paesi con finanze pubbliche modeste, come quelli latinoamericani. Non solo per la scarsità delle risorse, ma anche per la minore capacità ed efficacia fiscale e di gestione dei rispettivi governi. Per questo motivo in Argentina, per esempio, i sostenitori del RB16 propongono un programma di adempimento per tappe, iniziando dai minorenni. Si pensa anche alla possibilità di finanziare un RB per i paesi con meno risorse, a partire da iniziative internazionali come lo stanziamento di un fondo pubblico costituito in base alla “Tobin tax”. In iniziative come questa la fratellanza internazionale tra i popoli dovrebbe venire attivamente in soccorso della perizia tecnica e del buon senso economico dei mezzi adottati.
3. Giustificazione normativa: repubblicanesimo e Reddito di Base.
Il repubblicanesimo ha una tradizione millenaria, ben radicata nell’area mediterranea classica, comune e giustamente associata ai nomi di Efialte, Pericle, Protagora o Democrito (nella versione democratico-plebea) e a quelli di Aristotele o Cicerone (nella versione antidemocratica). Nel mondo moderno riappare nelle sue due varianti: quella democratica, che aspira alla universalizzazione della libertà repubblicana e alla conseguente inclusione della maggioranza di poveri negli ambiti della cittadinanza, e anche al governo di questa maggioranza di poveri; e quella antidemocratica, che aspira all’esclusione dalla vita civile e politica di coloro che si guadagnano da vivere con le proprie mani, e al monopolio del potere politico da parte dei proprietari ricchi. Nomi associati alla rinascita moderna del repubblicanesimo: Marsilio da Padova, Machiavelli, Montesquieu, Locke, Rousseau, Kant, Adam Smith, Jefferson, Madison, Robespierre e Marx. Quali che siano le differenze fra loro rispetto ad altre questioni, tutti condividono perlomeno due convinzioni.
La prima: essere libero significa non dover chiedere permesso a qualcun altro per vivere o sopravvivere, per esistere socialmente; chi dipende da un altro per vivere è soggetto alla sua interferenza arbitraria e, proprio per questo motivo, non è libero. Chi non ha assicurato il “diritto all’esistenza” perché non possiede proprietà, non è soggetto di diritto privato – sui iuris -, vive alla mercè di altri e non è capace di coltivare, ne tanto meno di esercitare, la virtù civica, proprio perché le relazioni di dipendenza e subalternità lo determinano come un soggetto di diritto alieno – alieni iuris -, un “alienato”.
L’altra: siano molti (democrazia plebea) o pochi (oligarchia plutocratica) coloro ai quali spetta la libertà repubblicana, quest’ultima , fondata sempre sulla proprietà e l’indipendenza materiale che ne deriva, non potrebbe restare in vigore se la proprietà fosse così diseguale e iniquamente distribuita da porre pochi individui nella condizione di sfidare la repubblica, contendendo con successo all’insieme dei cittadini il diritto a determinare il bene pubblico. Come notoriamente osservò Machiavelli, quando il grosso della proprietà è diviso fra un pugno di gentilhuomi (di nobili), non c’è spazio per istituire nessuna repubblica e la vita politica può contare solo sulla speranza nella saggezza di un principe assolutista17.
Nella tradizione storica repubblicana18, il problema della libertà si fonda in questi termini: X è libero repubblicanamente se: non dipende da un altro per vivere, vale a dire, se ha un’esistenza sociale autonoma garantita, se possiede qualche tipo di proprietà che gli permette di sostenersi adeguatamente, senza dover chiedere quotidianamente permesso ad altri.; nessuno può interferire arbitrariamente (cioè, illecitamente o illegalmente) nell’ambito dell’esistenza sociale autonoma di X (nella sua proprietà);la repubblica può interferire lecitamente nell’ambito dell’esistenza sociale autonoma di X, sempre che X sia in una relazione politica di eguaglianza con tutti gli altri cittadini liberi della repubblica, con la stessa idoneità di quelli a governare e a essere governato; qualsiasi interferenza ( di un individuo o dell’insieme della repubblica) nell’ambito dell’esistenza sociale privata di X che danneggi questo ambito fino a far perdere a X la sua autonomia sociale, ponendolo alla mercè di terzi, è illecita; la repubblica è tenuta a interferire nell’ambito dell’esistenza sociale privata di X, se questo ambito privato permette a X di mettere in discussione con possibilità di successo il diritto della repubblica a definire il bene pubblico;
X è sostenuto nella sua libertà civico-politica da uno zoccolo duro – più o meno grande – di diritti costitutivi (non puramente strumentali) che nessuno gli può togliere, ne può lui stesso alienarli (venderli o regalarli) di sua volontà, senza perdere la sua condizione di cittadino libero.
L’insieme delle prerogative di X resta caratterizzato dalla tradizione repubblicana di modello storico-istituzionale: l’insieme delle prerogative di X non è un insieme di prerogative qualsiasi, ma il particolare insieme di prerogative, istituzionalmente configurato, composto da quei titoli di proprietà che conferiscono a X un’esistenza sociale autonoma, non civilmente subalterna.
E’ caratteristica della tradizione storica repubblicana pensare che la libertà politica e l’esercizio della cittadinanza siano incompatibili con le relazioni di potere, mediante le quali i proprietari e i ricchi esercitano dominium sopra coloro che, non essendo completamente liberi, sono soggetti a ogni tipo di interferenza; sia nell’ambito della vita domestica, sia nelle relazioni giuridiche proprie della vita civile, come i contratti di lavoro o di compravendita di beni materiali19. La piena cittadinanza non è possibile senza indipendenza materiale e senza un “controllo” sull’insieme delle proprie prerogative. I repubblicani democratici considerarono questa consegna come uno dei principali obiettivi della politica e progettarono ogni sorta di meccanismo per garantirla; i non democratici la intesero come un prerequisito della libertà politica, escludendo coloro che non erano sui iuris (soggetti) della vita politica attiva. In base al principio che l’idoneità a votare è ciò che qualifica il cittadino, e che tale capacità presuppone l’indipendenza di chi non vuole essere solo parte, ma anche membro della comunità, in quanto esercita le funzioni insieme agli altri per sua libera scelta, alcuni repubblicani non democratici, per esempio Kant, credettero necessario tracciare una distinzione tra cittadini passivi e attivi. Come riteneva il repubblicano di Konigsberg, tutti quelli che devono essere comandati, o posti sotto la tutela di altri individui, non posseggono indipendenza civile. Non la posseggono i minorenni, le donne e i servitori, perché non possono mantenersi da soli; neanche i lavoratori a giornata, né tutti coloro che non possono mettere pubblicamente in vendita il prodotto del proprio lavoro e dipendono da contratti o accordi meramente privati di schiavitù temporanea, che scaturiscono dalla volontà unilaterale del sui iuris 20.
L’attuale definizione liberale di proprietà, quella che nel XVIII secolo Sir Blackstone definì come “il dominio esclusivo e dispotico che un uomo esige ed esercita sulle cose esterne del mondo, con esclusione totale di qualsiasi altro individuo nell’universo”, che il diritto romano considerava come il diritto assoluto – dominium – del proprietario che non poteva essere interferito da nessuno, e che alcuni teorici giusnaturalisti immaginarono come un diritto naturale, è, senza dubbio, soltanto una delle formule storiche che esaminano le relazioni sociali intorno agli oggetti, ma che costituisce la base degli attuali codici civili21. Un altro concetto, la proprietà intesa come “controllo” sulla risorsa posseduta, controllo che conferisce indipendenza e autonomia morale e politica, è il concetto di proprietà che interessa al repubblicanesimo. E non è altro che quello che permette lo sviluppo della “libera individualità (…) che fiorisce (…) là dove il lavoratore è libero proprietario privato delle proprie condizioni di lavoro ch’egli stesso maneggia: quando il contadino è libero proprietario del campo che coltiva e così l’artigiano dello strumento che maneggia da virtuoso. (…) Esso è compatibile solo con dei limiti ristretti, spontanei e naturali, della produzione e della società” 22. In questa tradizione, l’indipendenza conferita dalla proprietà non è una faccenda di mero interesse privato, ma di grande importanza politica, tanto per l’esercizio della libertà quanto per il realizzarsi dell’autogoverno repubblicano, quindi avere una base materiale assicurata è indispensabile per la propria indipendenza e idoneità politica23.
4. Reddito di base e di cittadinanza: una proposta per il secolo XXI.
Alla fine del XVIII secolo e agli inizi del XIX, i repubblicani democratici avevano di fronte due possibilità per poter materializzare questa concezione della libertà: generalizzare la piccola proprietà agraria, oppure “una sorta di diritto di esistenza sociale garantito pubblicamente (Robespierre), o un’entrata materiale assegnata senza condizioni a tutti i cittadini per il semplice fatto di esserlo (Tom Paine), ciò che ora chiamiamo reddito di base garantito24” .
Nel mondo attuale dei primi anni del XXI secolo la povertà aumenta senza sosta. Le differenze tra i paesi ricchi e quelli poveri sono sempre maggiori, così come le differenze fra ricchi e poveri all’interno dei paesi poveri. Ciò che sicuramente è meno conosciuto, o messo in sordina, è il fatto che le differenze fra ricchi e poveri all’interno dei paesi ricchi stanno aumentando negli ultimi anni. E non soltanto negli Stati Uniti, dove il 5% delle famiglie più ricche controlla il 59% della ricchezza nazionale, mentre il 40% più povero dispone solamente dello 0,3%25. La Germania, il paese economicamente più forte d’Europa, il paese con la classe operaia più protetta dallo Stato, è anche un luogo dove negli ultimi anni i ricchi guadagnano di più e i poveri sono più poveri. Il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi il 47% di tutto il patrimonio accumulato dalle famiglie (che se fosse ripartito in parti uguali risulterebbe un importo di 133.000 euro a nucleo familiare), due punti percentuali in più dal 1998, quando la SPD e i Verdi andarono al governo. Allo stesso tempo, il 50% della popolazione più povera dispone di meno del 4% del totale26.
Pochi giorni prima della riunione del febbraio 2005 tenuta dai ministri delle finanze dei sette paesi più ricchi del mondo, Nelson Mandela ha dichiarato: “La povertà è opera dell’uomo e può essere superata e sradicata attraverso l’azione degli esseri umani. Superare la povertà non è un gesto di carità. E’ un atto di giustizia. E’ la protezione di un diritto fondamentale dell’essere umano, il diritto alla dignità e a una vita decente. Finché ci sarà povertà non ci sarà vera libertà”.
Le grandi disuguaglianze sociali sono la causa della mancanza di libertà. Le grandi sproporzioni nella ricchezza, le immense sacche di povertà, la fame che convive geograficamente con la più insultante opulenza, provocano mancanza di libertà per la grande maggioranza. Uguaglianza e libertà non sono due variabili fra cui scegliere, se di più di una o meno di un’altra e viceversa. Le grandi disuguaglianze creano un profondo problema di libertà per la grande maggioranza. Chi non ha garantita l’esistenza materiale deve chiedere permesso a un altro per poter vivere27. Di che libertà dispone il lavoratore che non sa se il prossimo mese, o forse la prossima settimana, conserverà quel posto di lavoro che gli fornisce il sostentamento quotidiano? Di che libertà dispone la donna dipendente materialmente dal marito o dall’amante, che la maltratta, la domina e, a volte, arriva ad assassinarla? Di che libertà dispone il disoccupato che vive marchiato con le stigma del sussidio pubblico, se vive in un paese europeo, o di carità, se vive in un paese povero e ha poca fortuna? Non sono liberi, come non lo è quella persona che non ha diritto all’esistenza materiale garantita e deve chiedere permesso a un altro per vivere.
E’ frequente l’accusa di “mancanza di alternative” lanciata dagli esperti vicini al potere a tutta la critica di fondo al sistema economico capitalista. Il massimo che questi arrivano ad ammettere è che la qualità di alcune critiche è eccellente ma inutile dato che, ancora una volta, “mancano le alternative”. La proposta del RB ha lasciato confuso più di un mediocre giornalista presuntuoso, e forse lo ha anche convinto, a forza di ripetere la cantilena. Un buon RB di cittadinanza, inteso come strumento per garantire le condizioni materiali di esistenza, aumenterebbe la libertà dei cittadini; renderebbe i poveri e gli espropriati più autonomi, più capaci di far sentire la propria voce, di resistere in maniera più articolata ai processi di espropriazione che hanno luogo ovunque in nome della globalizzazione. Renderà loro possibile vivere senza chiedere permesso.
Traduzione a cura di Sabrina Del Pico
Maria Julia Bertomeu Universidad Nacional De la Plata, Argentina.
Daniel Raventos Universidad de Barcelona e presidente della associazione Red Renta Básica. Tra le pubblicazioni La Renta Básica. Por una ciudadanía más ibre, más igualitaria y más fraterna. Ariel Ciencia Política, Barcelona, 2001. Barcelona Spain.
Note:
(1) Si veda, per esempio, Jordi Acarons, Alex Boso, Josè Antonio Noguera e Daniel Raventòs, La Renda Basica de Ciutadania, Barcellona, Mediterranea, 2005.
(2) Si veda, per un approfondimento più dettagliato, Daniel Raventòs, El derecho a la existencia, Barcellona, Ariel, 1999.
(3) Maria Julia Bertomeu, Antoni Domenach e Daniel Raventòs, “La propuesta de la Renta Basica de ciudadania”, Le Monde Diplomatique edizioni argentina, cilena e colombiana, numeri 73, 54 e 37.
(4) La proposta di RB ha precedenti molto lontani nel tempo. Per un riepilogo dei precedenti storici del RB si veda Yannick Vonderborght e Philippe Van Parijs, L’allocation universelle, Parigi, La Découverte. Tra i pionieri possiamo trovare, tra gli altri, Thomas Paine (1737-1809), Thomas Spence (1750-1814); più recentemente Bertrand Russell (1872-1970) e Gorge D.H. Cole (1889-1959), Primo titolare della cattedra di teoria politica di Oxford. Comunque, per evitare confusioni, vogliamo sottolineare che la formulazione contemporanea che, con poche varianti, segue la definizione che abbiamo illustrato, ha poco meno di 20 anni.
(5) Per le definizioni relative e un’analisi particolareggiata si veda, Daniel Raventòs, “Trabajo(s) y Renta Basica”, in Joaquin Arriola e Albert Garcia, Trabajo, producciòn y sostenibilidad, Barcellona-Bilbao, CCCB-Bakeaz, 2002.
(6) Daniel Raventòs, “El salario de toda la ciudadania”, Claves de Razon Pratica, num. 106, 2000.
(7) In merito al dibattito sulla reciprocità e il RB, si veda (in merito all’atteggiamento contrario al RB) Stuart White, “Liberal Equality, Explotation, and the Case fora n Unconditional Basic Income”, Political Studies, 45, 1997. E, dello stesso autore, Stuart White, “Fair Reciprocità and Basic Incombe”, in Andrei Reeve e Andrew Williams (Editori), Real Libertarianism Assessed. Political Theory after Van Parijs, Hampshire, Palgrave MacMillan, 2003. Per un punto di vista favorevole, si veda Karl Widerquist, “Reciprocità and the Guaranteed Incombe”, relazione presentata al VII Congresso del BIEN.
(8) Si veda David Casassas, Daniel raventòs e Julie Wark, “Oil in Troubled Waters”, 2004, scaricabile su http://www.nodo50.org/redrentabasica/textos/index.php?x=299.
(9) Si veda http://www.ingresociudadano.org.
(10) Si veda, per esempio, http://www.ingresociudadano.org/Novedades/brasil/08-01-04.htm.
(11) Si veda il terzo capitolo di Jordi Arcarons, Alex Boso, José Antonio Noguera e Daniel Raventòs, op. cit.
(12) Vale a dire, di 7.200 3.600 dollari, circa, al cambio di inizio 2006 1 euro = 1,2 dollari.
(13) In realtà, si tratta di cifre e tipologie impositive un po’ diverse da quelle dello studio pubblicato (vedi nota 1) poiché si sta risistemando l’inchiesta iniziale.
(14) Sappiamo che una tassazione unica suscita molti dubbi perché si presenta come meno progressiva che un’imposta per fasce di reddito. Il modello di microsimulazione che si sta commentando permette di incorporare diverse fasce contributive. Con un RB esente da imposte, siamo dell’opinione che il dibattito su fasce contributive o tassazione unica perda gran parte del contenuto tradizionale. Nello studio citato, l’indice Kakwani, che misura la progressività di un’imposta, si vede chiaramente che il risultato conseguente alla riforma sarebbe più progressivo. Però, insistiamo ancora, non c’è nessuna incompatibilità formale nel difendere un finanziamento del RB attraverso diverse fasce contributive.
(15) In Maria Julia Bertomeu, Antoni Domenech e Daniel Raventòs, “La propuesta de la Renta Basica de ciudadania”, op. cit.
(16) Buona parte dei quali sono raggruppati nella Red Argentina de Ingreso Ciudadanio, una delle 11 sezioni ufficiali del Basic Incombe Earth Network in 3 continenti. www.redaic.org.
(17) Su questo punto: Maria Julia Bertomeu, Republicanismo y propriedad, El Viejo Topo, Barcellona, aprile 2005.
(18) Sul tema della libertà repubblicana: Antoni Domenech, El eclipse de la fraternidad, Barcellona, Critica, 2005; Bertomeu,M.J. e Domenech, A.: Algunas observaciones…, op. cit.; Bertomeu, M.J., Republicanismo y propriedad, op. cit.
(19) Sul tema della proprietà nella tradizione storica repubblicana, da Aristotele ai giorni nostri, si veda: Antoni Domenech, El eclipse de la fraternidad, op. cit.
(20) I. Kant, Metafisica dei costumi.
(21) Dal punto di vista giuridico, il concetto liberale di proprietà è stato sviluppato dal Codice Napoleonico; nell’art. 544 definisce la proprietà come “il diritto di godere e disporre delle cose nella maniera più assoluta”. Ciò significa che racchiude i seguenti diritti fondamentali: quello di godere, che implica l’uso di una cosa (jus utendi) e percepirne i frutti (jus fruendi) e di disporre (jus abutendi) della cosa, vale a dire di trasferirne la proprietà a un terzo. Per una trattazione estesa del tema, si veda Fernando Trazegnis, “La transformacion del derecho de propriedad”, Derecho, Pontificia Universidad catolica del Perù, n° 33, Lima, 1978.
(22) Karl Marx: “Tendenza storica dell’accumulazione capitalistica”, Il Capitale, Libro I, capitolo XXIV.
(23) Su questo punto: Frank Michelman: “Possession vs Distribution in the Costitutional Idea of Property”, Iowa Law Review, luglio 1987, vol. 72, n° 5, 1319-1350.
(24) Si veda Antoni Domenech, “El socialismo y la herencia de la democrazia repubblicana fraternal”, El Viejo Topo, num. 205, aprile 2005. Anche, dello stesso autore, El eclipse de la fraternidad, op. cit.
(25) Nel paese più potente della Terra, nell’anno 1992 i presidenti direttori esecutivi (Chief Executive Officer) delle grandi imprese guadagnavano 82 volte il salario medio di un lavoratore manuale, nell’anno 2004 la relazione era di 400 a 1. Invitiamo chiunque legga queste righe e che percepisca un salario più o meno normale a fare il semplice calcolo di moltiplicare per 400 questa cifra per farsi un’idea della terribile sproporzione (un salario mensile di 1.000 euro si trasformerebbe in uno di 400.000 euro, ecc.).
(26) Questi dati sono stati presi da: http://www.inequality.org/facts.html, e da El Pais, 4-3-2005.
(27) Per utilizzare la geniale espressione di marx nella Critica al programma di Gotha: “Solo nella misura in cui l’uomo si relaziona in quanto proprietario con la natura – che è la prima fonte di tutti i mezzi e gli oggetti del lavoro – solo nella misura in cui la tratta come cosa sua, sarà il lavoro la fonte del valore d’uso, cioè della ricchezza. (…) l’uomo che non possegga altra proprietà che la sua forza lavoro, in qualunque situazione sociale e culturale, dovrà essere schiavo degli altri uomini, proprietari delle condizioni oggettive del lavoro. Potrà lavorare solo col loro permesso, cioè potrà vivere solo col loro permesso.”