Riceviamo e volentieri pubblichiamo un nuovo contributo al dibattito. Una nuova tesi universitaria dal titolo “Il reddito di cittadinanza per vite e territori ai margini. Un’etnografia critca” realizzata dalla Dott.ssa Maristella Cacciapaglia dell’Università degli studi di Bari Aldo Moro. La tesi è stata presentata per il dottorato di ricerca in Diritti, Economice e Culture del Mediterraneo ciclo XXXIV. Settori scientifici disciplinari: Sociologia dei processi economici e del lavoro; Diritto tributario.
Di seguito pubblichiamo l’introduzione alla tesi:
Per contrastare la povertà offrendo maggiori opportunità di accesso al mercato del lavoro, in Italia è entrata in vigore una nuova misura di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale: il Reddito di Cittadinanza.
Malgrado la denominazione rimandi al citizen’s income invocato negli anni Novanta dai movimenti sociali e oggi riemerso come universal basic income, il Reddito di Cittadinanza italiano è un sostegno economico condizionato da un percorso personalizzato di inserimento lavorativo e di inclusione sociale. Di conseguenza, esso va associato al dibattito che riguarda i cambiamenti del Welfare State, per cui la cittadinanza sociale del secolo scorso tende oggi ad essere economica, condizionata cioè alla partecipazione degli individui nel mercato del lavoro (Paz-Fuchs 2008).
Eppure, nell’immaginario collettivo, il Reddito di Cittadinanza è un reddito da divano, che sostituisce – più che lega – il lavoro con il welfare. Il dibattito pubblico che lo riguarda è incentrato sulle criticità e sulle irregolarità della policy, senza al contempo fare chiarezza sulla natura neoliberale di una misura varata da un governo populista, senza includere la voce dei beneficiari quali protagonisti indiscussi dei processi messi in moto o senza prendere in considerazione il contesto in cui abita chi lo richiede e in cui spesso si ritrova la possibilità di costruire una vita senza welfare (Wilson 1987).
Parafrasando Anselmo, Morlicchio e Pugliese (2020), oggi, solidarietà e compassione sono merce sempre più rara: l’assunto che il povero sia un falso povero sembra dominare tanto il senso comune quanto le forze politiche progressiste del Bel Paese, soprattutto nei confronti di chi è in una condizione del genere nel Mezzogiorno. I poveri sono raramente meritevoli di assistenza, ad eccezione di quelli colpiti dalla recente crisi pandemica, ma quella tra deserving poors e undeserving poors è una distinzione che rimanda all’Inghilterra del 1834 (Saraceno 2019).
Anche il dibattito tecnico-scientifico ha sin da subito rivolto una certa attenzione al Reddito di Cittadinanza, superandone le ambiguità in questo caso. Ne è emerso un dibattito ampio e multi-disciplinare, ancora in corso e in crescita, i cui temi ricorrenti sono numerosi e intrecciati tra di loro come il confronto con le altre misure (es. Saraceno 2018; Gori 2019; Gallo, Luppi 2019), le distorsioni e le esclusioni della policy (es. Ferrera 2019; Gori 2019; Saraceno 2019; Morgese 2019), la governance multi-livello e complessa (es. Caiolfa 2019, Mandrone, Marocco 2019, Spattini 2019; Rossini 2019) o la questione del lavoro per chi vive in una condizione di povertà (es. Mesini 2018; Saraceno 2018; Pulignani, Ciarini 2018; Lucifera 2019; Anselmo, Morlicchio, Pugliese 2020; De Minicis, Marucci 2021). Ci sono stati anche diversi studi circa l’implementazione e la valutazione del Reddito di Cittadinanza (es. Corte dei Conti 2021; Cavalca 2021; Lodigiani, Maino 2021), tra cui quello del comitato tecnico-scientifico nominato dal Ministero del Lavoro (2021). Tuttavia, in questi studi non è molto centrale l’esperienza vissuta da chi ha percepito il Reddito di Cittadinanza, men che meno questo tipo di esperienza viene analizzata da una prospettiva critica. In particolare, gli studi sull’implementazione e sulla valutazione del Reddito di Cittadinanza non sono quasi mai associabili ad una etnografia critica della policy o ad una valutazione di quarta generazione (Gulba, Lincoln 1987).
A partire da queste premesse e proseguendo nella direzione di Thompson (1978), cioè spostando l’attenzione dalle leggi, dalle statistiche o dagli amministratori alla gente, si propone un’etnografia
critica incentrata sulla voce dei beneficiari del Reddito di Cittadinanza in un’area marginale, ossia sulla voce di quei soggetti che vivono in una condizione di doppia marginalità – personale e territoriale, nella società. Dalla loro prospettiva, ciò che si vuole comprendere è duplice:
• La condizione simbolica, materiale ed esistenziale in cui vivono tutti i giorni, legata particolarmente alla storia di vita lavorativa;
• La loro esperienza, quale immersione empatica nella vita di chi è coinvolto nei processi di un reddito minimo e condizionato fondamentalmente al lavoro retribuito, le cui traiettorie di vita
possono essere interessate dagli esiti della policy.
L’obiettivo finale è quello di offrire uno spaccato conoscitivo sia delle dinamiche individuali – che si sostanziano in preferenze individuali, valori o risorse soggettive – sia di quelle che intrecciano
soggetti, contesti e politiche.
Si ritiene opportuno notare come lo scopo della ricerca sia descrittivo ed esplicativo, ma non valutativo, volendo andare oltre la conta delle richieste presentate e ammesse, delle offerte di lavoro individuate dai navigator, di quelle rifiutate dai percettori del reddito o dei corsi di formazione attivati. Ciononostante, parte dei risultati può confluire in valutazione di quarta generazione (Guba, Lincoln 1987).
Un’altra precisazione rimanda ai confini che si sono scelti per questa ricerca. Si vuole analizzare il Reddito di Cittadinanza come politica attiva del lavoro e di integrazione al reddito. Per questo, si
coinvolgono solamente i beneficiari occupabili, pur ampliando il concetto dell’occupabilità così come inteso dalle istituzioni. Per esempio, oltre ai lavoratori poveri e i cosiddetti NEET, vengono qui considerati anche i lavoratori informali o i disoccupati di lungo periodo.
I processi di attivazione e di (eventuale) cambiamento sono situati, avendo luogo in un’area territoriale – quella di Taranto in questo caso – con specifiche caratteristiche che condizionano le dinamiche soggettive o quelle del mercato del lavoro. Il contesto coincide infatti con una città industriale in crisi, caratterizzata da tassi di disoccupazione e livelli di vulnerabilità sociale che sono al di sopra della media nazionale. Da diverso tempo ormai, il lavoro dignitoso lì disponibile è così raro – è “una mamma dal cielo” – che in molti lo hanno scambiato per la propria salute, per quella dei loro cari e per quella degli altri cittadini. Diversi processi di rigenerazione urbana e riconversione economica sono oggi in corso in città, ma essi risultano particolarmente complessi ed esclusivi (Cacciapaglia,Greco 2020)1.
Trattandosi di una riflessione sociologica che è anche attenta alla variabile geografica dei suddetti processi, la ricerca analizza inoltre il ruolo degli attori coinvolti dalla policy ovvero le istituzioni e le organizzazioni del territorio come i centri per l’impiego, le imprese, i servizi sociali del Comune e il Terzo Settore.
“Proprio come tutto deve accadere in un qualche luogo, così deve accadere in un certo momento” (Becker 1998). In questo caso, ci si colloca in un arco di tempo poco precedente e successivo allo scoppio della crisi pandemica da COVID-19, e cioè da novembre 2019 a novembre 2021.
Per il presente studio, si ipotizza ciò che segue:
• I beneficiari sono portatori di diversi capitali, che dipendono anche dal contesto in cui vivono. Con questi diversi capitali si confrontano rispetto alla policy, dando luogo ad interpretazioni ed esiti diversi.
• I soggetti coinvolti sono in grado di mettere in atto strategie adattive, fondate su negoziazione e apprendimento, e di modificarle in relazione a vincoli e opportunità.
• Le offerte di lavoro sono limitate se non assenti in relazione a variabili sia soggettive sia oggettive in determinati contesti più che altrove, ma il solo sostegno economico non basta per fuoriuscire dalla condizione di vulnerabilità in cui si trovano.
• I beneficiari vivono in una condizione di vulnerabilità sociale particolarmente dettata dalle opportunità lavorative a loro accessibili nel contesto in cui vivono e dalla loro storia lavorativa. Gli stessi, allora, considerano paradossali i meccanismi di condizionalità e di controllo previsti dalla policy e riferiti al paradigma dell’attivazione obbligatoria e orientata al lavoro formale e retribuito.
Considerata la natura degli obiettivi proposti, ma anche il valore esplorativo ricercato, si sceglie di utilizzare metodi qualitativi quali l’osservazione partecipante, le interviste semi-strutturate e le storie di vita. Metodi quantitativi sono altresì utilizzati a supporto dell’analisi delle condizioni in cui vertono i destinatari del Reddito di Cittadinanza, comprese quelle relative al contesto in cui vivono quotidianamente.
La prima parte di questo studio – quella teorica – analizza dapprima le forme di politiche attive del lavoro per le fasce più vulnerabili della popolazione, che sembrano riconfigurare il Welfare State in un Social Investment State o in un Workfare State. Dopodiché, considerando il ruolo centrale che il lavoro formale e retribuito riveste in ambedue i modelli, ci si concentra sui cambiamenti nella società post-fodista riferiti al lavoro, che lo rendono oggigiorno un fattore vulnerante più che abilitante. Per correre ai ripari di questi cambiamenti, in alcuni casi si propone un reddito minimo che è universale e incondizionato, mentre in altri casi se ne propone uno che è selettivo e pure condizionato al lavoro formale e retribuito: è quanto viene approfondito nel terzo capitolo della parte teorica. In seguito, viene analizzata la scelta italiana di un reddito minimo non universale e condizionato.
La parte empirica della tesi, che riguarda l’esperienza del Reddito di Cittadinanza a Taranto, si apre con la presentazione della metodologia della ricerca. Successivamente, si immergono i lettori nel contesto prescelto e si presentano loro i beneficiari del Reddito di Cittadinanza oltre gli stereotipi.
L’esperienza dei beneficiari rispetto ai meccanismi e agli esiti della policy, quale punto focale del presente lavoro, viene invece presentata nell’ottavo capitolo.
Infine, nelle riflessioni conclusive della tesi, le varie evidenze emerse vengono discusse per indirizzare i lettori verso nuove linee di ricerca e soprattutto per ripensare insieme alcune proposte di policy. Come insegna bell hooks, “non è mai una teoria dai piedi freddi, [ma] un invito ad andare al di là di quel che sembra, a mettere in discussione proprio la rappresentanza e i suoi seducenti inganni figurali.” 2
Note:
1 https://www.che-fare.com/almanacco/societa/lavoro/taranto-ilva-acciaio-cittadini/
2 Sono le parole di Maria Nadotti che introducono il libro di bell hooks “Elogio del margine – Scrivere al buio”.