Manifesto: il reddito di base nell’attuale situazione di crisi economica
La crisi economica sta colpendo in modo molto più pesante di quello che si pensava solo pochi mesi fa. Attualmente tutte le persone minimamente informate condividono l’opinione che ci troviamo davanti ad una situazione di crisi senza precedenti dal crack del 1929. Ma soltanto poco più di un anno fa erano ancora molti quelli che pensavano che ci trovassimo in una situazione economica cattiva ma di breve durata. Si trattava, secondo questo modo di vedere, di una crisi delle tante che si sono verificate a partire dalla metà del secolo scorso. Tutto indica che non è così.
Le conseguenze sociali di questa crisi economica si stanno aggravando. Sebbene sia impossibile dire con certezza se alla metà del 2009 ci troveremo agli inizi o nel mezzo (al termine, sicuramente no) della crisi, alcune delle sue conseguenze sono già catastrofiche. Specialmente per quei settori della popolazione che stanno perdendo posti di lavoro. L’incremento del tasso di disoccupazione si sta verificando ad una velocità e con una intensità sconosciuta da moltissimi anni. Tutte le previsioni sembrano incapaci di riconoscere i dati reali. Nessuna previsione ha menzionato il fatto che il tasso di disoccupazione arriverà al 17,3% nel primo trimestre del 2009, come sappiamo ora. Esistono previsioni di alcuni ricercatori che arrivano a stimare fino al 30% di disoccupazione per la fine del 2010. In qualunque caso, con i dati riferiti alla metà del 2009, il numero di disoccupati nel Regno di Spagna già supera ufficialmente i 4 milioni. Aggrava la prospettiva futura la consapevolezza che la ripresa economica, quando si verificherà, non potrà riassorbire in poco tempo questo livello di disoccupazione. Nel migliore dei casi saranno necessari molti anni di crescita sostenuta per assorbire i cinque milioni di disoccupati o magari anche di più che ci saranno nel momento culminante della distruzione dei posti di lavoro.
La percentuale di poveri nel sistema economico spagnolo è rimasto più o meno lo stesso nel corso delle ultime decadi. La crisi economica sta comportando un rapido aumento della povertà. Ci sono voluti tassi di crescita economica sostanziosi nel corso degli ultimi lustri per mantenere la percentuale di poveri intorno al 20%, adesso l’attuale situazione farà aumentare la proporzione delle persone che scenderanno sotto la soglia di povertà.
L’impatto generalizzato della crisi ha messo anche in luce le evidenti debolezze di una rete di protezione sociale insufficiente, frammentata e contraddittoria. Per di più il governo si è visto obbligato ad attivare in fretta e furia numerosi provvedimenti d’urgenza di fronte alla crisi che, se possibile, aggravano l’arbitrarietà e le storture del nostro sistema di protezione sociale.
Di fronte ad una situazione come quella attuale crediamo che la proposta del reddito di base, un’attribuzione monetaria incondizionata per tutta la cittadinanza e per le persone residenti, potrebbe portare molti benefici ai settori della popolazione più duramente colpiti dalla crisi. Sebbene sia ovvio che il reddito di base, per gli importanti effetti che potrebbe comportare, non è un mezzo che da solo possa risolvere la crisi, non abbiamo dubbi che potrebbe mitigare le conseguenze più pesanti per quei settori di popolazione. Ma diciamo anche che sostenere il reddito di base in una situazione di crisi economica non significa pensare che non ci sono buone ragioni per sostenerlo anche in periodi di benessere economico. Vogliamo semplicemente affermare che alcune delle caratteristiche del reddito di base che possono avere effetti benefici in situazioni economiche stabili, acquistano se possibile ancora più forza in una situazione di grave crisi economica come quella attuale. Per quali motivi?
Disporre di un reddito di base indeterminato, in caso di perdita del posto di lavoro, potrebbe permettere di affrontare il futuro con minore preoccupazione. Sebbene questa sia una caratteristica del reddito di base in qualunque congiuntura economica, in una situazione di crisi, dove la misura della disoccupazione è molto maggiore e la perdita costante di posti di lavoro cresce in modo sempre più veloce, la già menzionata caratteristica del reddito di base acquista un’importanza sociale maggiore. Instaurare il reddito di base, quando il volume dei disoccupati è in crescita e pertanto le promesse di reinserimento lavorativo o di trovare posti di lavoro suonano come pietose bugie, permetterebbe di garantire, fosse anche in modo austero, la sopravvivenza più immediata.
La povertà non è solamente la privazione dei mezzi materiali di esistenza. La povertà si traduce anche in dipendenza dall’arbitrio o dall’avidità di altri, crollo dell’autostima, isolamento ed emarginazione sociale di chi la subisce. Un reddito di base equivalente almeno alla soglia di povertà sarebbe un modo di farla finita con essa e di lottare contro i suoi effetti in maniera molto diretta. In una situazione di depressione economica nella quale, come è stato detto, la percentuale dei poveri aumenterà in modo significativo, potendo arrivare in breve a una proporzione di un povero ogni quattro abitanti, il reddito di base rappresenterebbe una buona diga di contenimento all’ondata di povertà.
Un reddito di base costituirebbe, allo stesso tempo, un poderoso incentivo alla ricerca di lavoro per tutte quelle persone che lo hanno perso, dato che, a differenza dei sussidi condizionati che esistono ora, non scomparirebbe in quanto tale nel momento in cui si cominciasse a ricevere un salario. Il reddito di base eliminerebbe la così detta “trappola della disoccupazione”, permettendo di affrontare la ricerca di un lavoro con maggiore efficacia e con minori pressioni coercitive per i lavoratori, pressioni che di solito abbondano nella proliferazione di impieghi mal pagati, scarsamente qualificati e poco produttivi. Aprirebbe invece prospettive interessanti per la crescita del lavoro a tempo parziale scelto volontariamente.
Percepire un reddito di base significherebbe una riduzione del rischio al momento di dare avvio a determinate attività di autoimprenditorialità. A grandi linee, esistono due tipi di imprenditori: quelli che dispongono di un sostegno (familiare, il più delle volte) che permette loro di porre le basi di un piccolo progetto imprenditoriale in modo ragionevolmente sicuro, e quelli per i quali l’autoimprenditorialità è l’unica soluzione lavorativa. Nel secondo caso, il rischio nel quale si incorre non è solo quello di perdere l’investimento ma quello di perdere i mezzi di sussistenza, il che comporta che qualsiasi decisione di investimento di solito risulta molto più angosciante. Ma il rischio non finisce qui: in molti casi, la mancanza di un minimo capitale iniziale fa ritrarre i potenziali imprenditori. Il reddito di base, invece, permetterebbe agli imprenditori del secondo tipo di trovare capitali per il piccolo progetto imprenditoriale e, al contempo, di non essere così tanto dipendenti dalla sua riuscita per sopravvivere. In una situazione depressiva il reddito di base, oltre a rappresentare un incentivo, in qualsiasi caso maggiore che senza di esso, per intraprendere percorsi di autooccupazione, comporterebbe una garanzia maggiore per poter fare fronte, anche se parzialmente, all’eventualità di possibile fallimento di un’iniziativa di quel tipo, così come la possibilità di intraprenderne un’altra con più possibilità di quella precedente.
In una situazione di crisi economica sono frequenti gli attacchi ai posti di lavoro e ai salari: Il Fondo Monetario Internazionale, la Banca di Spagna, Il Banco di BilbaoVizcaya Argentaria o la padronale CEOE, fra gli altri organismi, si sono espressi senza remore a favore della moderazione salariale, della libertà di licenziare, dell’abbassamento del costo del lavoro, del taglio delle pensioni e della protezione sociale. Stiamo assistendo ad annunci permanenti e ripetuti di presentazione di procedure di liquidazione o di riduzione degli organici, senza contare le innumerevoli piccole imprese che chiudono direttamente i battenti. Sono frequenti le lotte di resistenza di maggiore o minore intensità per cercare di evitare i licenziamenti e il deterioramento delle condizioni di lavoro. Il ruolo di cassa di resistenza che il reddito di base potrebbe svolgere nelle lotte dei lavoratori per difendere il posto di lavoro si troverebbe ad essere accresciuto. La crisi economica può sfociare in un grave arretramento delle conquiste sociali duramente conseguite. Il reddito di base potrebbe costituire uno strumento efficacie in mano ai lavoratori per resistere a questo arretramento ma anche un’idea suggestiva per il rafforzamento e la ridefinizione delle conquiste sociali, poiché contiene in sé i principi di maggiore individualizzazione, integrazione con il sistema fiscale, progressività, redistribuzione, lotta contro l’emarginazione e universalità della protezione.
La crisi attuale ha reso manifesto che, quando interessa e si stima necessario, si usano enormi quantità di fondi pubblici per cercare di porre rimedio a una situazione provocata da coloro che hanno scommesso senza scrupoli sulla massima redditività della speculazione finanziaria. Il volume delle risorse economiche da mobilitare o la complessità politica ed amministrativa non sono ragioni valide, da sole, per rifiutarsi di prendere in considerazione proposte importanti e di spessore come il reddito di base.
Queste sono alcune delle riflessioni che ci incoraggiano a presentare a organizzazioni sociali, partiti politici, sindacati, movimenti sociali e alla cittadinanza in generale questa proposta sociale, il reddito di base, affinché sia considerata seriamente come un modo per evitare le conseguenze della crisi a quei settori sociali che, oltre ad essere quelli più danneggiati, non sono assolutamente responsabili del suo scatenarsi.
E’ stata appena creata una sottocommissione del Parlamento spagnolo con il compito di esaminare i benefici del reddito di base. E’ un buon momento per esporre le possibilità di questa proposta sociale.
Nella letteratura accademica specializzata si discute da tempo con serietà scientifica di questa idea, si presentano e si discutono le diverse alternative in riferimento al suo finanziamento e alla sua concretizzazione politica. Crediamo che sia giunto il momento di affiancare al rigore accademico e scientifico la volontà politica per procedere nel cammino verso il reddito di base.
La precarietà e l’insicurezza economica si estendono a destra e a manca, fino al punto da coinvolgere settori sociali che, in un passato non lontano, godevano di un grado rilevante di sicurezza socioeconomica. In questo contesto il reddito di base, in quanto rete materiale garantita universalmente attraverso una riforma del sistema fiscale, appare come una via per rafforzare e migliorare la sicurezza materiale dell’insieme della popolazione, condizione necessaria per l’esercizio della cittadinanza.
Maggio 2009
Red Renta Basica