Di seguito una prima corrispondenza da Montreal:
Il 15 ° Convegno Internazionale del Bien (Basic Income Earth Network) si sta concludendo a Montreal, in Canada. E’ iniziato il 27 giugno con una relazione iniziale svolta da Antonio Prado, direttore dell’Economic Commission for Latin America and the Caribbean (ECLAC) sugli effetti della crisi economica sulla crescente inegualità sociale a livello mondiale.
La recente crisi economica globale, e la risposta in termini di austerità degli organismi nazionali e internazionali di governo, ha, infatti, notevolmente aumentato la disuguaglianza economica, la povertà, l’insicurezza economica e l’esclusione sociale in tutto il mondo. Gli individui e le famiglie sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli più sviluppati (che non coincidono più con quelli occidentali) stanno vivendo un incremento di vulnerabilità e di impotenza nei confronti di un’economia apparentemente fuori controllo. Molti ritengono che sia giunto il momento di ripensare radicalmente la nostra risposta alla crisi e la precarietà che ne deriva, nonchè l’organizzazione strutturale del tessuto economico nelle nostre società.
Partendo da queste premesse, il Convegno Bien 2014 si è proposto di esplorare il ruolo che un reddito di base universale e incondizionato potrebbe svolgere come elemento di re-democratizzazione delle nostra economie. Il convegno riunisce accademici, attivisti, politici, rappresentanti politici, ONG: un occasione per discutere e dibattere le questioni derivanti dall’introduzione di un reddito di base.
Di seguito una seconda corrispondenza:
Il convegno del Bien 2014 ha visto la partecipazione di più di 300 persone, con proposte e visioni molto diverse tra loro. Ciò non sorprende. L’associazione Bien, infatti, vede al suo interno membri con posizioni politiche molto diverse tra loro che coprono l’intero arco parlamentare dalla destra alla sinistra. E non può essere altrimenti perché la tematica di un reddito di base incondizionato o condizionato, di un reddito minimo, di un dividendo sociale, reddito di cittadinanza, reddito di esistenza (tutte definizioni che rimandano a concezioni diverse), proprio per le diverse declinazioni, è entrato nell’agenda politica di quasi tutti gli schieramenti politici: dai conservatori, ai liberali, dalla sinistra riformista a quella radicale, ai verdi. Forse le uniche formazioni politiche che rimangono escluse sono quelle espressamente razziste e localiste (ad esempio la Lega Nord in Italia). Ad esse, si aggiungono i sindacati che in quasi tutto il mondo (con la significativa eccezione della Corea del Sud) vedono con molta diffidenza tale proposta.
Un esempio di tale differenze di vedute viene dall’analisi del rapporto tra il reddito di base e la crescita economica. Come è noto, più volte si è sottolineato (anche in vari articoli pubblicati sul sito del Bin-Italia) come l’introduzione di un reddito di base in grado di ridurre l’incertezza economica, diminuire la polarizzazione dei redditi e aumentare la domanda aggregata possa costituire un potente strumento di fuoriuscita della crisi economica e favorire la ripresa di una crescita economica. Tale impostazione è stata ribadita anche a Montreal in vari interventi. Ma allo stesso tempo, altri interventi sostenevano che l’introduzione di un reddito di base avrebbe favorito un processo di decrescita, grazie al fatto che nuove produzioni eco-compatibili, non ad alto valore aggiunto e meno mercificabili (quindi con minore impatto sul Pil) si sarebbero sviluppate.
Si tratta di due visioni che hanno entrambe una loro logica interna e le opposte conclusioni derivano dai presupposti di partenza e dal tipo di definizione di reddito di base che viene adottata.
La posizione keynesiana pro-crescita, intende, infatti, il reddito di base sia come strumento per aumentare l’occupazione che come fattore di crescita della domanda. Da questo punto di vista, tale reddito di base va a costituire l’asse portante di modello di welfare che ridefinisce un novo patto sociali tra produttori. E come tale, tale reddito non può essere né universale, né incondizionato.
La versione più “green”, invece intende il reddito come strumento di liberazione dall’accumulazione capitalistica a favore di produzioni di tipo alternativo. Da questo punto di vista, l’erogazione del reddito di base deve per forza essere incondizionata, anche se non subito universale.
Le differenti impostazioni derivano dalla diversa concezione del reddito di base. Il punto più controverso è infatti la “condizionalità” o meno della proposta di reddito. Sul tema numerosi siano stati gli interventi, non tanto nelle singole relazioni, ma quanto nei dibattiti che ne conseguivano.
Diversi sono i pro e i contro.
A vantaggio dell’incondizionabilità si pongono due argomenti molto forti. Il primo è di natura etica-filosofica (la disciplina che più è rappresentata all’interno dei membri del Bien) e si basa sulla constatazione che se il reddito è un diritto fondamentale degli uomini, ovviamente non può che essere incondizionato. I diritti dell’uomo o sono inviolabili o non lo sono. Il secondo argomento è di natura economica e si basa sull’evidenza che è oggi la vita a essere la base del processo di valorizzazione e di accumulazione: una valorizzazione che in buona parte viene sempre più espropriata a vantaggio di pochi e a danno dei molti. Se il reddito di base viene quindi inteso come remunerazione di quella attività di vita, produttrice di valore, che non viene certificata come tale, allora non può essere mera assistenza. Se il reddito è remunerazione è per definizione incondizionato.
Si tratta di due argomentazioni teoriche che tuttavia trovano difficoltà ad affermarsi. E da ciò derivano le opinioni contrarie a un reddito del tutto incondizionato. Esse fanno perno su questioni culturali e politico-strategiche. L’idea di un reddito come diritto fondamentale cozza contro una morale comune che è ancora molto basata sull’etica del lavoro, un’etica che è surrogata sia da elementi religiosi che dall’ideologia utilitarista e neo-liberista. Anche laddove il neo-liberismo o i dettami religiosi non vengono presi in considerazione, è ancora molto diffusa (soprattutto tra le forze sindacali e di molta sinistra) l’idea che è tramite il lavoro (senza mai specificare quale e in che modo) che si può attuare la piena realizzazione del genere umano. Tale blocco culturale giustifica poi la contrarietà politica e ne rende difficile l’applicazione. Quale politico o quale partito avrà il coraggio e l’ardire di farsi promotore di una proposta che con molta probabilità incontrerà l’opposizione probabile della maggioranza dei votanti, soprattutto in un contesto in cui l’attività politica è diventata “mercificata” (ovvero volta solo ad ottenere un consenso/profitto)? A seguito di ciò, ecco allora che è preferibile aprire a forme di reddito più o meno condizionato: così non si rischia!
Al riguardo, nel dibattito che ha illustrato il progetti pilota di un reddito minimo incondizionato nella regione Madhya Pradesh dell’India (dato solo alle donne e in modo incondizionato), Guy Standing insieme a Renana Jhabvala ricordano un’assemblea in uno dei villaggi interessati del progetto, in cui, dopo ore di discussione sulla necessità o meno di vincolare il reddito all’obbligo di curare e istruire i figli, due donne del posto si alzano e affermano: “Ma dovete mettere per iscritto l’obbligo alla cura dei nostri figli? Ma con chi credete di avere a che fare? Con delle madri cretine e snaturate? Già ora ci prendiamo cura dei nostri figli, nelle condizioni che sapete, miserevoli e senza reddito. Con il reddito continueremo a farlo e meglio. Non c’è bisogno di nessuna condizione scritta”.
E infatti il progetto pilota indiano è il primo che prevede, pur nella sua parzialità, un reddito minimo del tutto incondizionato!
Basic Income e crescita? Basic income o reddito minimo garantito e strumento di sovversione?
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