Riteniamo che una misura del genere sia imprescindibile per costringere gli Stati e gli organi dell’Unione europea ad una gestione della crisi economica internazionale e, più in particolare, del vecchio continente che sia improntata all’equità ed alla giustizia sociale e che non travolga principi basilari dello stesso modello sociale europeo, come la tutela della dignità essenziale delle persone sancito come valore fondante la stessa Unione all’art. 2 del Trattato ( TUE) e come diritto fondamentale agli articoli 1 e 34 terzo comma della Carta di Nizza. Nel prefigurare ed elaborare una prima proposta, da discutere con tutte le associazioni, partiti, sindacati, ONG interessati a questo obiettivo ci siamo ispirati alla Risoluzione adottata dal Parlamento europeo nell’Ottobre del 2010, sia per l’impostazione della Risoluzione che per il merito delle proposte, condivise da una maggioranza amplissima di consensi ( 540 voti a favore, 19 contro). Il Parlamento ha infatti sottolineato l’urgenza che tutti gli Stati membri introducano schemi di garanzia del reddito minimo, per coloro che sono a rischio di esclusione sociale, che attribuiscano ad ognuno almeno il 60% del reddito mediano riferito a ciascun paese (oltre a misure aggiuntive come aiuti o tariffazioni agevolate per gas, luce, affitti e trasporti o per spese straordinarie ed urgenti); inoltre si è riaffermato con forza che tale misura costituisce un diritto fondamentale e che, quindi, vanno evitate forme di controllo e stigmatizzazione sociale per coloro che lo percepiscono, incompatibili con quella dignità personale che il reddito minimo garantito, invece, vuole salvaguardare per tutti. Anche se in tutti i paesi europei , salvo Italia e Ungheria, misure del genere sono previste l’esigenza di una normativa (direttive) di fonte sopranazionale si impone per le seguenti ragioni:
a) in primo luogo, come detto, alcuni paesi non prevedono questa forma essenziale di tutela sociale e, in mancanza di una regolamentazione obbligatoria sopranazionale, altri potrebbero rinunciarvi, sotto l’incalzare della crisi;
b) in alcuni stati la disciplina prevista non attribuisce un ” reddito adeguato” ai bisogni primari del soggetto; situazione che potrebbe generalizzarsi posto che la gravità della situazione economica sta spingendo i governi a tagliare proprio questo genere di costi, che invece sono la base della civile convivenza e costituiscono in “primo pilastro” della giustizia sociale
c)infine alcune regolamentazioni statali prevedono controlli ed obblighi a carico dei beneficiari che sono incompatibili con la natura di diritto sociale fondamentale, sancito anche nel Bill of rights dell’Unione; in tale modo il reddito minimo garantito finisce con l’essere una misura di workfare piuttosto che una misura innovativa ed inclusiva di welfare, in un contesto continentale di grave scarsità di occasioni lavorative e produttive.
Per questo riteniamo che vi sia un interesse generale del cittadino europeo all’approvazione di una direttiva vincolante in questa cruciale materia, che dia anche un segnale di un’Europa più sociale, inclusiva e democratica di quella sinora attuata.
Abbiamo pertanto cercato di prefigurare uno schema di direttiva (in via molto generale perché, dopo la raccolta di firme, sarà responsabilità della Commissione europea tradurre l’iniziativa popolare in una vera e propria proposta) recependo, come detto, l’orientamento del Parlamento e cercando di trovare nelle disposizioni del Trattato la base giuridica necessaria ( a pena di inammissibilità) per il lancio dell’ICE. Per questo abbiamo consultato una rete di giuristi in modo da esaminare attentamente ogni obiezione, anche tecnico giuridica; naturalmente si tratta solo di un primo giro di opinioni che dovrà essere condiviso, approfondito e migliorato nelle future discussioni da tenersi nella società civile democratica europea nei prossimi mesi.
Clicca qui per leggere Il pamphlet prodotto da European Alternatives è per ora in inglese.