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Poveri, questi sconosciuti per Renzi

di Roberto Ciccarelli

La Caritas striglia il governo Renzi: il bonus degli 80 euro, il taglio della Tasi e il Jobs Act sono «avanzamenti marginali» nella lotta all’indigenza

Welfare. La Caritas striglia il governo Renzi: il bonus degli 80 euro, il taglio della Tasi e il Jobs Act sono «avanzamenti marginali» nella lotta all’indigenza e confermano la disattenzione della politica italiana verso i più deboli. Poletti e De Vincenti: il governo si impegna per un «Piano nazionale di contrasto all’esclusione sociale» da finanziare in legge di stabilità

La Cari­tas boc­cia il governo Renzi sulle poli­ti­che di con­tra­sto alla povertà. «Il poco non è meglio del niente»: è il motto usato dall’organismo pasto­rale della Cei per stig­ma­tiz­zare l’atteggiamento del Pre­si­dente del Con­si­glio, come anche dei suoi pre­de­ces­sori. Nel secondo rap­porto sulla povertà, pre­sen­tato ieri a Roma, la Cari­tas sostiene che non basta il bonus degli 80 euro per sol­le­vare le sorti di chi si trova nell’indigenza.

La prin­ci­pale misura adot­tata da Renzi a esclu­sivo bene­fi­cio del lavoro dipen­dente ha avuto un impatto mar­gi­nale sulle persone in povertà asso­luta che, dall’inizio della crisi, sono aumen­tate da 1,8 milioni a 4,1 milioni del 2014. Più signi­fi­ca­tivo, ma insuf­fi­ciente, è stato l’effetto dei 9,4 miliardi di euro annui stan­ziati per il prov­ve­di­mento su quelle in povertà rela­tiva dove è più fre­quente la pre­senza di lavoratori.

Gli altri inter­venti di Renzi – bonus bebé, quello per le fami­glie nume­rose e l’Asdi isti­tuito dal Jobs Act e riser­vato solo agli ex lavo­ra­tori – sono stati defi­niti «avan­za­menti mar­gi­nali» che non si disco­stano «in misura sostan­ziale» dagli inter­venti pre­ce­denti e con­fer­mano la «tra­di­zio­nale disat­ten­zione della poli­tica ita­liana nei con­fronti delle fasce più deboli». Anche l’abolizione della Tasi, o la ridu­zione dell’Irpef, inci­de­ranno poco o nulla su que­sti nuclei che per lo più sono inca­pienti. «La rica­duta sugli indi­genti sarà irri­le­vante dato che la gran parte è incapiente.Tra il 5% di fami­glie con il red­dito più basso, tutte in povertà asso­luta, meno del 10% del totale paga l’Irpef» pre­cisa la Caritas.

Una stri­gliata che ha inner­vo­sito non poco il governo che ha tut­ta­via rin­no­vato l’impegno di un Piano nazio­nale di con­tra­sto alla povertà. Tale piano dovrebbe adot­tare il Red­dito di inclu­sione (Reis) pro­po­sto dall’Alleanza con­tro le povertà di cui la Cari­tas fa parte insieme alle Acli e a Cgil-Cisl-Uil. Si tratta di una misura nazio­nale rivolta a tutte le fami­glie che vivono la povertà asso­luta in Ita­lia e non agli indi­vi­dui in dif­fi­coltà eco­no­mica, disoc­cu­pati, pre­cari o fami­glie mono­ge­ni­to­riali come è invece il red­dito minimo fermo in com­mis­sione lavoro al Senato, anche per la dif­fi­coltà delle forze poli­ti­che pro­po­nenti (Sel e Movi­mento Cin­que Stelle) a tro­vare un accordo sull’unificazione delle rispet­tive pro­po­ste in un solo testo.

Nel mezzo resta la cam­pa­gna di Libera e del Bin-Italia sul «red­dito di dignità» che sta cer­cando di tro­vare punti di con­tatto tra le pro­po­ste e ha lan­ciato, tra l’altro, la mani­fe­sta­zione nazio­nale del 17 otto­bre con­tro la povertà e per il red­dito minimo. Il costo eco­no­mico di que­sta misura oscilla dai 14 ai 21 miliardi di euro annui (stime Istat) e pre­sup­pone una riforma del Wel­fare in senso uni­ver­sa­li­stico e della cassa inte­gra­zione in deroga. Il Reis, invece, è un sus­si­dio aggiun­tivo che andrebbe a razio­na­liz­zare quelli esi­stenti, nella spe­ranza di aumen­tare la spesa sociale tagliata dra­sti­ca­mente negli anni dell’austerità. Per il diret­tore di Cari­tas, don Fran­ce­sco Soddu, il Reis «è da pre­fe­rire al red­dito minimo per­ché è una misura sta­bile, incre­men­tale, soste­ni­bile e sus­si­dia­ria». Que­sta dif­fe­renza dev’essere tenuta in conto per­ché segnerà il dibat­tito nei pros­simi mesi, in attesa della defi­ni­zione della legge di sta­bi­lità. Il governo si appro­prierà di una misura giu­sta, ma insuf­fi­ciente rispetto al dram­ma­tico qua­dro sociale e occu­pa­zio­nale descritto anche dal rap­porto della Cari­tas, decli­nan­dola nella for­mula del «Sia», il soste­gno di inclu­sione attiva voluto da Letta e non para­go­na­bile al Reis della Cari­tas e tanto meno al red­dito minimo. Così Renzi potrà dire di avere fatto qual­cosa per i poveri, sot­traendo al Movi­mento Cin­que Stelle e alle sini­stre un’arma dia­let­tica effi​cace​.La Cari­tas rischia così di essere strumentalizzata.

In que­sto sce­na­rio poli­tico si inse­ri­sce il rap­porto sulla povertà che riba­di­sce una realtà nota: insieme alla Gre­cia, l’Italia è l’unico paese euro­peo a non avere uno stru­mento uni­ver­sale di con­tra­sto della povertà. L’esigenza di una simile misura è diven­tata insu­pe­ra­bile con il boom della povertà. L’Istat ha dimo­strato che nell’ultimo anno c’è stato un incre­mento nullo della povertà che non riguarda più solo il Meri­dione (dove è aumen­tata dal 3,8% al 9%) ma anche il Nord (dal 2,6 al 5,7%) e il Cen­tro Ita­lia (dal 2,8 al 5,5%). Il rap­porto Cari­tas riper­corre la via ita­liana all’austerità e chia­ri­sce, in maniera ine­qui­vo­ca­bile, le respon­sa­bi­lità di tutti i governi dal 2008 a oggi. Men­tre aumen­ta­vano i poveri, la poli­tica ha tagliato il 90% del fondo nazio­nale per le poli­ti­che sociali locali. Ciò ha costretto i comuni a tagliare la spesa sociale del 2,7% tra il 2007 e il 2013, peg­gio­rando la qua­lità dei ser­vizi pub­blici e la loro con­so­li­data inca­pa­cità di inno­varsi. Que­sto si è tra­dotto nell’aumento della pres­sione fiscale sui con­tri­buenti: nel 2011 le riscos­sioni pro-capite dei comuni ammon­ta­vano a 505,5 euro, nel 2014 sono diven­tate 618,4. La Corte dei conti ha sti­mato un aumento del 22%. Quando ci si lamenta della qua­lità dei ser­vizi locali, biso­gna tenere pre­sente que­sta realtà dei fatti.

L’incapacità della poli­tica ita­liana di rime­diare alla tra­di­zio­nale fram­men­ta­zione dei sog­getti isti­tu­zio­nali (governo, regioni e comuni) che hanno com­pe­tenza sulle poli­ti­che sociali ha peg­gio­rato la situa­zione. Dall’entrata in vigore della legge qua­dro sui ser­vizi sociali nel 2000, que­sta inca­pa­cità ha mol­ti­pli­cato le dise­gua­glianze tra Nord e Sud, tra i comuni e ancor più tra le regioni, mor­ti­fi­cando la capa­cità di garan­tire l’accesso dei cit­ta­dini ai diritti sociali. Il rap­porto Cari­tas ha regi­strato un’inversione di ten­denza nel rifi­nan­zia­mento della spesa sociale con il governo Letta e quello Renzi. Dal 2014 que­sta spesa è pas­sata da 766 milioni di euro a 984, ben lon­tani comun­que dai valori di ini­zio crisi. Nel 2008 era pari a 3 miliardi e 169 milioni di euro. Sul fondo per le poli­ti­che sociali Renzi ha pre­vi­sto una dra­stica ridu­zione che lo por­terà dai 317 milioni del 2014 ai 14,6 milioni nel 2016.

La Cari­tas apprezza le posi­zioni espresse dal mini­stro per il Wel­fare Poletti, l’impegno del Movi­mento 5 Stelle, di Sel e di diversi par­la­men­tari del Pd come della Lega e di altri par­titi. «Deci­sivo sarà l’orientamento del pre­si­dente Renzi che, da quando è a palazzo Chigi, non ha ancora assunto una posi­zione pub­blica pre­cisa sulla lotta alla povertà».

Tratto da Il Manifesto 16 settembre 2015

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