Da qualche giorno piovono indiscrezioni sull’imminente provvedimento governativo (un decreto legge?) sulle prestazioni che sostituiranno l’abrogato(con la legge di bilancio) RDC, cui- pare- verranno affiancate anche norme di facilitazione del contratto a termine, oltre i limiti stabiliti dal cosidetto “ Decreto dignità” e la cancellazione di molti obblighi gravanti sulle imprese derivanti dal recepimento della direttiva del 2019 sula trasparenza che potrebbero costarci una procedura di infrazione. Qualcuno avrebbe visionato la bozza tecnica (per la Ragioneria?) ed avrebbe contato già 40 articoli: dalle informazioni che trapelano (ANSA, Corriere, Sole24ore, la Stampa, Repubblica etc.) non tutto è chiaro e i piani governativi sembrano ancora in fase di assestamento, dopo una precedente fuga di notizie, con l’abbandono alle ortiche dell’idea di sostituzione del RDC con la cosidetta Mia (misura di inclusione attiva).
Basandosi su quanto emerge si può dire che il vecchio RDC si frammenta di tre misure diverse GIL,PAL e GAL. La prima (Garanzia per l’inclusione) , che è quella centrale e nella quale la fantasia compassionevole e pedagogica si è più sbizzarrita di più per contenere e limitare in vario modo i contorni ( anche in termini di sostegno alla cittadinanza bisognosa) del RDC. Per accedere al GIL infatti il nucleo familiare deve avere al suo interno un minore o un anziano (oltre 60 anni) o un disabile oltre a dover rientrare in severi limiti reddituali e patrimoniali escludendo così in radice le famiglie mono-parentali. Per il nucleo abilitato in base a questa particolare composizione la GIL opera in sostanza come il RDC ma rispetto a quest’ultimo i parametri reddituali e patrimoniali sono resi draconiani: l’ISEE non deve superarre i 7.200 euro (invece di 9.600 per il RDC), il reddito complessivo del nucleo i 6.000 euro (con integrazione a seconda dei componenti del nucleo), non si devono avere proprietà di valore superiore ai 30.000 euro, ma -mentre per il RDC era neutra la proprietà della casa d’abitazione- ora arriva la sconcertante novità che la casa d’abitazione non deve avere un valore IMU superiore ai 150.000. Inoltre il requisito di residenza in Italia è abbassato rispetto al RDC a 5 anni ma rimane discriminatorio per i non italiani che hanno certamente gravi difficoltà nel superarlo e non è in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia che ha considerato ammissibile la prova del legame con il territorio dello stato membro per l’erogazione delle prestazioni non contributive solo per residenze minime di due o tre anni. Ammesso che il nucleo superi questi sbarramenti (per le dichiarazioni false interviene un inasprimento sensibile delle pene) il GIL abilita ad un sostegno di 500 euro mensili (più 280 euro per coloro che hanno affitti da pagare) per 18 mesi ma è rivista al ribasso la cosidetta scala di equivalenza per i componenti del nucleo (con quale vantaggio nel computo per i disabili) . I sussidiati dal GIL sono quindi (come avveniva per il RDC) avviati o ai centri per l’impiego per stipulare un patto lavorativo o ai servizi sociali per quello di inclusione sociale. Quindi il GIL sorregge (come nel RDC) una doppia strada di percorsi obbligati: se non si partecipa alle attività formative e di reinserimento di decade così come si decade se non si accetta una offerta di lavoro. Qui si scatena la volontà coercitiva del legislatore (anche se titubante sino ad oggi) perché l’offerta di lavoro può essere anche di un mese o a tempo parziale ma almeno del 60% del tempo pieno (nel RDC doveva essere di almeno dei mesi nel tempo determinato o a tempo indeterminato). Da quel che si emergerebbe l’offerta di lavoro dovrebbe, nel merito dell’attività proposta, essere “congrua” cioè coerente con il bagaglio professionale formale ed informale del soggetto (che la normativa del 2015 collega a tutti i casi di condizionalità nelle prestazioni ai non occupati, che non sembra il governo voglia abrogare) ma questo limite è solo teorico e varrebbe solo per attività come quelle suggerite per tutti i poveri “ sussidiati” dal Ministro dell’agricoltura, come le operazioni di raccolta nelle campagne. Per lavori che presuppongono un minimo di qualificazione e di addestramento l’assunzione per un mese o per pochi mesi non ha senso alcuno, mancando il tempo materiale per l’inserimento nel processo produttivo. I soggetti in carico ben difficilmente potranno rifiutare offerte di lavoro di durata così esigua (dalle indiscrezioni non è chiaro neppure a quanta distanza dalla propria abitazione) perché potrebbero perdere il sussidio dovendo dimostrare (davanti a chi: il giudice del lavoro?) che non sono coerenti con il loro bagaglio professionale e le loro competenze. La proclamata attivazione delle persone si converte così in un drammatico spreco di risorse umane, di dequalificazione forzata, che impoverisce la società e mortifica le persone. Più semplice la PAL (Prestazione di accompagnamento al lavoro) che spetta a coloro che percepivano il RDC, occupabili, che in sostanza possono continuare a percepirlo nella misura minore di 350 euro sino al 31.12.2023.
Molto confuse e contraddittorie, da ultimo, sono le informazioni sulla terza prestazione della Garanzia per l’attivazione lavorativa (GAL). Secondo alcune delle “ soffiate” si tratterebbe di una sorta di “mini GIL” per nuclei familiari che, pur rispettando i criteri di selezione, non hanno un disabile, un minore o un anziano. La misura, però, può essere attribuita solo a due componenti del nucleo (che sarebbero legittimato a fare la domanda) che ricevono il primo 350 euro mensili, il secondo 175 che siano occupabili e per la durata massima (non rinnovabile) di 12 mesi e non si applicherebbero i coefficienti di equivalenza per il numero di appartenenti al nucleo. In sostanza sembra di capire che nelle famiglie estremamente povere due persone del nucleo ,se occupabili, riceverebbero questi assegni molto bassi, non integrabili ulteriormente, e solo per un anno. La stranezza è che le famiglie povere “assolute”che non hanno un disabile, un minore o un sessantenne i cui membri però non possono lavorare (il che può avvenire per molteplici ragioni anche di emarginazione sociale ) non avrebbero nessun sussidio, il che appare paradossale.
Se queste linee generali fossero mantenute centinaio di migliaia di attuali percettori del RDC ripiomberebbero nella povertà più stringente e si realizzerebbero risparmi che i nostri “spioni” in genere valutano dell’ordine di più di due miliardi, che sembra il vero e prioritario scopo del provvedimento che non ha inventato nulla di originale se non rendere i canali di accesso alle prestazioni più impervi o impercorribili. Inoltre si genererebbe un ricatto pressante sui soggetti presi in carico per accettare posti di lavoro indegni e troppo brevi per assicurare il vantato reinserimento: ancora oscuro è chi sia legittimato all’offerta di questi “lavoretti” se siano i Centri per l’impiego (che notoriamente hanno un numero di addetti pari ad un ventesimo di quelli della Germania ) o se anche le Agenzie del lavoro potranno contribuire a questa caccia al “sussidiato”.
In questa scheda non voglio commentare ulteriormente queste aberranti misure ove venissero confermate ma mi limito a riportare alcuni punti della Raccomandazione del Consiglio UE il 30.1.2023:
“Si raccomanda agli Stati membri di fornire e, ove necessario, rafforzare solide reti di sicurezza sociale che garantiscano una vita dignitosa in tutte le fasi della vita, combinando un adeguato sostegno al reddito, mediante prestazioni di reddito minimo e altre prestazioni di accompagnamento monetarie e in natura, e fornendo un accesso effettivo ai servizi abilitanti ed essenziali. L’erogazione di prestazioni in natura può coadiuvare un solido sostegno al reddito. … Al fine di garantire un adeguato sostegno al reddito, si raccomanda agli Stati membri di fissare il livello del reddito minimo mediante una metodologia trasparente e solida definita conformemente al diritto nazionale e coinvolgendo i pertinenti portatori di interessi. Si raccomanda che tale metodologia tenga conto delle fonti di reddito complessive, delle esigenze specifiche e delle situazioni di svantaggio delle famiglie, del reddito di un lavoratore a basso salario o di un lavoratore che percepisce il salario minimo, del tenore di vita e del potere d’acquisto, dei livelli dei prezzi e del relativo andamento, nonché di altri elementi pertinenti. …Pur salvaguardando gli incentivi alla (re)integrazione e alla permanenza nel mercato del lavoro per chi può lavorare, si raccomanda che il sostegno al reddito delle persone che non dispongono di risorse sufficienti raggiunga un livello almeno equivalente a uno degli elementi seguenti: a) la soglia nazionale di rischio di povertà; oppure b) il valore monetario dei beni e dei servizi necessari, tra cui un’alimentazione adeguata, l’alloggio, l’assistenza sanitaria e i servizi essenziali, secondo le definizioni nazionali; oppure c) altri livelli comparabili ai livelli di cui alla lettera a) o b), stabiliti dalla legge o dalla prassi nazionale.
Si raccomanda agli Stati membri di garantire che tutte le persone che non dispongono di risorse sufficienti, compresi i giovani adulti, siano coperte da un reddito minimo stabilito per legge, definendo: a) criteri di ammissibilità trasparenti e non discriminatori che salvaguardino l’accesso effettivo al reddito minimo a prescindere dalla disponibilità di un indirizzo permanente, assicurando nel contempo che la durata del soggiorno legale sia proporzionata; b) soglie per l’accertamento delle fonti di reddito stabilite in base al tenore di vita di famiglie di diverso tipo e di diverse dimensioni in un determinato Stato membro e che tengano conto in modo proporzionato degli altri tipi di redditi (e patrimoni) del nucleo familiare; c) il tempo necessario per trattare la domanda, garantendo nel contempo che la decisione sia emessa senza inutili ritardi e nella pratica non oltre 30 giorni dalla presentazione della domanda stessa; d) la continuità dell’accesso al reddito minimo fintanto che le persone che non dispongono di risorse sufficienti soddisfano i criteri e le condizioni di ammissibilità stabiliti dalla legge, prevedendo nel contempo riesami periodici dell’ammissibilità e garantendo l’accesso a misure specifiche e proporzionate di inclusione attiva per le persone in grado di lavorare; e) procedure di reclamo e di ricorso semplici, rapide, imparziali e gratuite, garantendo nel contempo che le persone che non dispongono di risorse sufficienti ne siano a conoscenza e abbiano un accesso effettivo a tali procedure; f) misure volte a garantire che le reti di sicurezza sociale rispondano a vari tipi di crisi e siano in grado di attenuare efficacemente le conseguenze socioeconomiche negative di tali crisi.
Si raccomanda agli Stati membri di incoraggiare o agevolare il pieno utilizzo del reddito minimo: a) riducendo gli oneri amministrativi, anche mediante la semplificazione delle procedure di domanda e la fornitura di indicazioni passo per passo a coloro che ne hanno bisogno, prestando nel contempo attenzione alla disponibilità di strumenti digitali e non digitali; b) garantendo l’accesso a informazioni facilmente fruibili, gratuite e aggiornate sui diritti e sugli obblighi connessi al reddito minimo; c) rivolgendosi alle persone che non dispongono di risorse sufficienti per sensibilizzarle e agevolare l’utilizzo del reddito minimo, in particolare tra le famiglie monoparentali, anche attraverso il coinvolgimento dei pertinenti portatori di interessi a livello nazionale, regionale e locale; d) adottando misure per combattere la stigmatizzazione e i pregiudizi inconsci legati alla povertà e all’esclusione sociale; e) adottando misure per migliorare o sviluppare metodologie di valutazione e valutando periodicamente il mancato utilizzo del reddito minimo in base a tali metodologie e, se del caso, le relative misure di attivazione del mercato del lavoro, individuando gli ostacoli e mettendo in atto misure correttive “.
Non c’è chi non veda la plateale violazione di queste prescrizioni che il decreto legge emanando (se venissero confermate le indiscrezioni) comporterebbe. La Commissione europea nella sua Proposta di Raccomandazione (poi recepita in sostanza dal Consiglio) sottolineava che vi sono già strumenti che consentono di piegare gli stati che non combattono la povertà ed il rischio di esclusione sociale; gli indicatori sul punto sono già pertinenti nel processo di sorveglianza macroeconomica incentrati sul semestre europeo e sui poteri che gli organi di Bruxelles hanno per richiamare all’ordine i paesi renitenti. La riduzione della povertà figura tra gli obiettivi strategici dell’Unione per il 2030 ed è la base per la sostenibilità sociale del sistema europeo. Dice la Commissione che gli stati che aumenteranno il tasso di povertà e di esclusione sociale rischiano seriamente di essere estromessi dai Fondi di coesione: l’Italia se non vorrà adeguarsi o avvicinarsi ai paramenti europei per risparmiare due miliardi corre il rischio molto serio di perderne decine.