Sebbene la Colombia si vanti di essere un membro dell’OCSE, è ancora un paese profondamente povero e disuguale. Mentre quasi tre quarti della nostra popolazione è a rischio di povertà, il 10% più ricco ha il 42,4% di tutto il reddito e il 40% più povero solo il 10%. Questo scenario ha impatti differenziati che colpiscono ancora più duramente i gruppi vulnerabili, come le donne povere . Tanto per mostrare alcuni dati, nel 2020 si è registrato il tasso di disoccupazione più alto degli ultimi anni: per le donne è passato dal 13,6 al 20,7%, mentre per gli uomini la variazione è stata dall’8,2 al 12,8%.
Con queste tendenze, la femminilizzazione della povertà diventa un fatto tangibile. Non solo perché ogni 100 uomini in povertà ci sono 104 donne nella stessa situazione. Ad esempio, nel 2019 la partecipazione al mercato del lavoro non era solo molto più bassa nelle donne con redditi più bassi (37,6%) rispetto alle donne con redditi più elevati (63,6%), ma il divario tra uomini e donne in termini di partecipazione al mercato del lavoro era molto maggiore nelle famiglie a reddito più basso (23,3 punti percentuali) rispetto a quelle a reddito più alto (13,7 punti percentuali) . Lo stesso si può osservare con la disoccupazione. Le donne con meno risorse nel 2019 avevano un tasso di disoccupazione molto più alto (27,8%) rispetto alle donne con più risorse (4,5%), ma anche il divario tra uomini e donne in termini di disoccupazione era molto maggiore nelle famiglie a reddito più basso (12,1 punti percentuali). ) rispetto alle famiglie a reddito più elevato, dove questo divario è quasi inesistente.
L’emergenza da Covid19 ha colpito molto più duramente i poveri, in particolare le donne povere. Ad esempio, la disoccupazione è aumentata molto di più per le donne provenienti da famiglie a basso reddito (aumentate di 21,09 punti percentuali) rispetto alle donne provenienti da famiglie a reddito più elevato (aumentate solo di 1,88 punti percentuali).
In questo contesto, i concetti e le visioni del femminismo ispirano la costruzione di politiche sociali che mettano al centro del dibattito le disuguaglianze subite dalle donne, nonché la necessità di guidare qualsiasi intervento sotto gli imperativi della cura e del sostegno. Da questo punto di vista esploriamo un percorso che, sebbene possa essere considerato utopico, è possibile: quello del reddito di base.
Il percorso del reddito di base
In un nuovo libro della raccolta Diritti umani per l’uguaglianza socioeconomica , le avvocata Nina Chaparro e María Ximena Dávila e gli economisti Diana León e Alejandro Rodríguez affrontano il dibattito sulla necessità di un reddito di base in Colombia. Vale a dire che la popolazione dei settori più poveri e/o vulnerabili, o una sua parte, ha un trasferimento monetario periodico e incondizionato per far fronte alla povertà e alla disuguaglianza.
Secondo il libro “Reddito di base femminista: dall’utopia al bisogno urgente” , un reddito di base aiuterebbe a ridurre la disuguaglianza economiche. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale (FMI), in paesi come il Messico o il Sud Africa, un reddito pro capite annuo del 25% del reddito medio può significare una riduzione di oltre 10 punti percentuali sull’incidenza di povertà e 5 punti GINI. Sebbene i costi fiscali possano rappresentare tra 2 e 3 punti percentuali del PIL, sono comunque inferiori a quelli necessari ai paesi sviluppati per implementare un reddito di base della stessa entità.
Tuttavia, il reddito di base potrebbe anche generare un maggiore equilibrio nel rapporto tra dipendente e datore di lavoro, nonché la libertà per i lavoratori e le lavoratrici, spesso immersi in condizioni di lavoro indegne, di cercare opzioni migliori rifiutando lo sfruttamento lavorativo.
Tuttavia, gli autori e le autrici sono andati oltre e hanno incorporato una prospettiva femminista nel regime del reddito di base. Come mai? Come spiega il documento, «dalla lotta per la libertà nella riproduzione e nella sessualità, dalla pretesa di una vita libera dalla violenza o dalla critica alla netta e ingiusta divisione tra mondo “produttivo” e mondo domestico, il femminismo porta con sé una delle agende più complete e sfaccettate per cambiare la società e lo Stato”.
Il femminismo per combattere la disuguaglianza
In questo senso, affermano le autrici, quando i femminismi alimentano l’idea di un reddito di base, chiedono che questo schema vada oltre un sostegno economico simbolico e, al contrario, sia sufficiente, degno e non ridotto a soli momenti di crisi; invita ad evitare approcci che considerano le donne solo quando sono madri o assistenti ed evitare la divisione del lavoro in base al genere. Questi approcci sono così potenti che “un reddito di base con un cuore femminista è passato dall’essere una proclamazione utopica, una discussione di nicchia, a diventare una delle grida più ricorrenti per alleviare le disuguaglianze accentuate dalla crisi pandemica”.
Infatti, dai movimenti femministi si ritiene che un reddito di base non debba essere incentrato solo sulle donne, ma dovrebbe includere tutti e, se attuato correttamente, può avere impatti unici sulle loro vite. Ad esempio, può aiutare le donne più povere a ottenere un livello minimo di dignità, a ridurre la dipendenza dai loro partner, parenti o datori di lavoro e a prendere decisioni su ciò che considerano importante per il loro sviluppo e benessere.
Ma la prospettiva femminista apre gli occhi anche ai limiti di una politica sociale come questa, ovvero che non può agire da sola, ma ha bisogno di articolarsi con gli altri per avere un potenziale di trasformazione; richiede uno sforzo fiscale da parte dei governi per potersi concretizzare e deve funzionare come un “programma redistributivo” per ottenere un effetto di emancipazione.
Due possibili proposte
Per mitigare la povertà e la disuguaglianza, e allo stesso tempo raggiungere un’effettiva inclusione sociale, sono necessarie politiche pubbliche che includano congiuntamente un approccio socioeconomico e un approccio di genere. Ecco perché, oltre ad analizzare i contributi del femminismo a un regime di reddito di base, gli autori e le autrici di questo documento hanno costruito due possibili proposte di reddito di base in Colombia:
Nella prima, l’importo da prelevare corrisponde al 10% dell’attuale salario minimo mensile legale (SMMLV) del 2021, ovvero 90.853 COP (23,66 USD) erogati mensilmente a ciascuno dei beneficiari. Sebbene questo importo non sia sufficiente per nessuna persona nel paese per acquistare un paniere alimentare di base, è quasi il doppio del reddito medio percepito da ogni persona nel decile di reddito più basso.
Nella seconda proposta, l’importo corrisponde alla soglia di povertà estrema. Cioè, un trasferimento mensile di 145.004 COP (38,39 USD). A differenza della precedente proposta, tale importo è superiore al costo di un paniere alimentare di base per il 55,06% della popolazione. Sebbene questo importo sia ancora basso, soprattutto per le persone con redditi più elevati, può essere una somma di denaro significativa per le persone senza lavoro, le famiglie molto povere e con un’elevata dipendenza economica.
Con l’attuazione della prima proposta, oltre 4,4 milioni di persone uscirebbero dalla povertà e con l’ultima più di 7,5 milioni lo farebbero. In questi scenari, la Colombia raggiungerebbe un tasso di povertà monetaria del 33,8% o 27,38% e una riduzione di 5,2 (proposta uno) e 7,9 (proposta due) punti GINI.
Come renderlo possibile?
Gli autori e le autrici menzionano alcuni attributi essenziali per il funzionamento di una qualsiasi delle due proposte. La prima cosa è che i costi di un reddito di base richiedono uno sforzo fiscale da parte del governo nazionale, a maggior ragione considerando che la Colombia ha una riscossione delle tasse molto debole. Per questo è necessaria una progressiva riforma fiscale per aumentare la pressione fiscale nel lungo periodo e per aumentare le aliquote di tassazione dell’Irpef, in particolare quelle appartenenti all’1% più ricco del Paese, nonché altre tipologie di riforme come la riadozione di una tassa progressiva sulla ricchezza, migliori tasse sulla terra, etc.
L’altra cosa è che le due opzioni di reddito di base non possono eliminare i servizi sociali che già esistono in Colombia. Piuttosto dovrebbe fa rparte di un più ampio ecosistema del welfare. Le proposte non dovrebbero essere incentrate su criteri diversi dal reddito, il che significherebbe che qualsiasi cittadino o residente con status di immigrazione formale potrebbe esserne un beneficiario. Dovrebbe essere un reddito di base con una prospettiva di lungo periodo, che non si esaurisce nel contenimento di una crisi, e i suoi trasferimenti sarebbero calcolati a livello individuale, non familiare, che riconosca l’unicità di ogni individuo.
La Colombia è ancora lontana dal realizzare un programma di questo tipo, ma averlo come obiettivo è molto importante.
Scarica il libro (in spagnolo) Reddito di base femminista: dall’utopia al bisogno urgente