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Così è in Italia il lavoro precario

di Andrea Fumagalli

Nel capitalismo contemporaneo la condizione di mobilità della forza lavoro è accompagnata dalla predominanza della contrattazione individuale. Sono le individualità nomadi a essere messe al lavoro e il primato del diritto privato sul diritto del lavoro induce a trasformare l’apporto delle individualità, soprattutto se caratterizzate da attività cognitive, relazionali e affettive, in individualismo contrattuale.

La connaturata mobilità del lavoro si trasforma così in precarietà soggettiva del lavoro. In questo contesto, la condizione di precarietà assume forme nuove. Il lavoro umano nel corso del capitalismo è sempre stato caratterizzato da precarietà più o meno diffusa a seconda della fase congiunturale e dei rapporti di forza di volta in volta dominanti. Ma si è sempre parlato di precarietà della condizione di lavoro, in quanto lo svolgimento di un lavoro prevalentemente manuale implicava in ogni caso una distinzione tra il tempo della fatica e il tempo del riposo, cioè tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro (o tempo libero). La lotta sindacale del XIX e del XX secolo è sempre stata tesa a ridurre il tempo di lavoro a favore del tempo di non lavoro. Nella transizione dal capitalismo industriale-fordista a quello cognitivo, il lavoro digitale e immateriale si è sempre più diffuso sino a definire le modalità principali della prestazione lavorativa. Viene meno la separazione tra uomo e la macchina che regola, organizza e disciplina il lavoro manuale Nel momento stesso in cui il cervello e la vita diventano parte integrante del lavoro, anche la distinzione tra tempo di vita e tempo di lavoro perde senso. Ecco allora che l’individualismo contrattuale, che sta alla base della precarietà giuridica del lavoro, tracima nella soggettività degli stessi individui, condiziona i loro comportamenti e si trasforma in precarietà esistenziale.

Nel capitalismo contemporaneo e  cognitivo, inoltre la precarietà tende a diventare strutturale e generalizzata. E’ condizione strutturale interna al nuovo rapporto tra capitale e lavoro immateriale, esito della contraddizione tra produzione sociale e individualizzazione del rapporto di lavoro, tra cooperazione sociale e gerarchia.

La precarietà è condizione generalizzata perché anche chi si trova in una situazione lavorativa stabile e garantita è perfettamente cosciente che tale situazione potrebbe terminare da un momento all’altro in seguito a un qualsiasi processo di ristrutturazione, delocalizzazione, crisi congiunturale, scoppi della bolla speculativa, ecc. Tale consapevolezza fa sì che il comportamento dei lavoratori/trici più garantiti sia di fatto molto simile a quello dei lavoratori/trici che vivono oggettivamente e in modo diretto una situazione effettivamente “precaria”. La moltitudine del lavoro è così o direttamente precaria o psicologicamente precaria.

Da qui la considerazione che nell’attuale capitalismo cognitivo, gli interventi a sostegno del reddito e l’esigenza di una riformulazione dello stesso intervento di welfare diventano sempre più interventi a sostegno del mercato del lavoro. Diritti di cittadinanza, quali la garanzia di un  reddito continuativo, e diritti del lavoro – quali salario minimo, riduzione del numero  delle tipologie contrattuali e rispetto della dignità umana – sono in realtà due facce della stessa medaglia, che vanno a definire i contorni di una nuova conflittualità sociale e moltitudinaria.

Articolo scritto sulla situazione della precarietà in Italia in vista dell’EuroMayDAy 2007

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