Parte la campagna “Ci vuole un reddito!”. Una trentina di realtà sociali e sindacali romane lancia un appello alla mobilitazione contro la dismissione del “reddito di cittadinanza” voluta dal governo Meloni e per la sua estensione universale. L’Unione sindacale di base torna nelle piazze il 14 marzo.
«Il governo sta lavorando alla destrutturazione di una misura come il “Reddito di cittadinanza” già di per sé incompleta e insoddisfacente. Se le indiscrezioni saranno confermate ora stiamo parlando di un piccolo sussidio in ogni senso: economicamente, per numero di beneficiari assai ridotti, piccolo anche dal punto di vista temporale visto che sembra duri un anno. Viste le condizioni sociali, quello che propone il governo è niente, semplicemente nulla» sostiene Alberto Campailla, di Nonna Roma, una rete di mutuo soccorso che sostiene molte famiglie in condizioni di povertà a Roma.
Insieme a una trentina di sindacati, associazioni e centri sociali Nonna Roma ha promosso la campagna «Ci vuole un reddito!» (a questo link le modalità per partecipare) che si oppone all’abolizione del “reddito di cittadinanza” e chiede di trasformarlo in una misura universale e non condizionata. Tutto il contrario di quanto sembra intenzionato a fare il governo Meloni.
La campagna aspira a diventare un movimento e nasce da una trentina di realtà romane: associazioni di volontariato, laiche e cattoliche, sindacati, i centri sociali e spazi di mutualismo, studenti e movimenti per la casa. Il 25 marzo ci sarà un incontro online propedeutico a un’assemblea pubblica in presenza a Roma. E si pensa ad organizzare iniziative e mobilitazioni pubbliche.
«Il governo aveva annunciato che sarebbe intervenuto già a gennaio, ma ancora oggi non c’è ancora una decisione condivisa – sostiene Tiziano Trobia delle Camere del lavoro autonomo e precario (Clap) – Più che un rallentamento, sembra una scelta. Cercare di arrivare alla scadenza di luglio, quando il Reddito sarà tagliato agli “occupabili”, senza soluzioni concrete. Così da spingere almeno una parte degli “occupabili”a lavori a basso salario e a fare accettare la peggiore soluzione a tutti. La bozza segnala che stanno pensando a una misura punitiva e non a una di Welfare. Già il taglio del tetto dell’Isee da 9.360 a 7.200 euro segnalerebbe un grande restringimento della platea. Si pensa all’ingresso delle agenzie private prenderebbero fondi anche per contratti brevi. Si rischia così di intrappolare le persone e di trasformare la misura in un obbligo al lavoro di qualsiasi tipo».
Nella bozza, tra l’altro, c’è la «stretta relazione tra il diritto alla prestazione e l’obbligo ad accettare qualsiasi offerta di lavoro, purché considerata congrua e dentro il territorio della provincia di residenza o delle province confinanti – sostiene nella sua analisi l’Unione Sindacale di Base (Usb) – Questo è un punto che sta particolarmente a cuore ai settori imprenditoriali, che hanno sempre voluto che il sostegno al Reddito diventasse una forma di coercizione per spingere i settori più poveri ad accettare lavori sottopagati. Di fronte all’aumento dei prezzi e ad un peggioramento delle condizioni di vita e, contemporaneamente, al proliferare del lavoro sottopagato, cancellare il RdC e introdurre una misura al ribasso, ancora più coercitiva della precedente altro non è che proseguire la guerra contro i poveri». Usb tornerà a mobilitarsi il 14 marzo per la campagna «Uniti per il reddito».