La sinistra rischia di perdere un’occasione. Ridurre l’esito elettorale a Milano e a Napoli, e le prospettive sulla possibilità di fuoriuscire dal berlusconismo, al dibattito sulle nuove alchimie del centrosinistra significa solo una cosa: non rispondere alla domanda che Ulrich Beck rivolse provocatoriamente alle classi dirigenti europee all’indomani delle rivolte nelle banlieues francesi nel 2005: «Dobbiamo finalmente porre all’ordine del giorno queste questioni: come si può condurre una vita sensata anche se non si trova un lavoro? Come saranno possibili la democrazia e la libertà al di là della piena occupazione? Come potranno le persone diventare cittadini consapevoli, senza un lavoro retribuito? Abbiamo bisogno di un reddito di cittadinanza. Non è una provocazione, ma un’esigenza politica realistica».
La sinistra rischia di perdere un’occasione. Ridurre l’esito elettorale a Milano e a Napoli, e le prospettive sulla possibilità di fuoriuscire dal berlusconismo, al dibattito sulle nuove alchimie del centrosinistra significa solo una cosa: non rispondere alla domanda che Ulrich Beck rivolse provocatoriamente alle classi dirigenti europee all’indomani delle rivolte nelle banlieues francesi nel 2005: «Dobbiamo finalmente porre all’ordine del giorno queste questioni: come si può condurre una vita sensata anche se non si trova un lavoro? Come saranno possibili la democrazia e la libertà al di là della piena occupazione? Come potranno le persone diventare cittadini consapevoli, senza un lavoro retribuito? Abbiamo bisogno di un reddito di cittadinanza. Non è una provocazione, ma un’esigenza politica realistica». È su questa alternativa di civiltà rispetto al cupo e risentito dissolvimento al quale le politiche dell’austerità condannano l’Italia e l’Europa che si misurerà la politica della sinistra nei prossimi dieci anni. Al centro di questa alternativa si staglia la prospettiva indicata da Luigi Ferrajoli nell’intervista pubblicata ieri dal manifesto: bisogna arrivare a un reddito per tutti, che garantisca l’uguaglianza e la dignità della persona. Retrocedere rispetto a questo progetto significa rinunciare a immaginare, e a mettere in pratica, una vera, concreta e irrinunciabile soluzione alla crisi globale che diffonde impoverimento e miseria fin dentro il ceto medio garantito del capitalismo avanzato. Il rischio c’è e sarebbe da incoscienti non vederlo.
Continuare a indulgere nel vizio sfrenato della politologia, rinunciando ancora una volta all’immaginazione progettuale di un’altra società, significa condannarsi a non vedere l’unico modo per uscire dai fallimenti politico-istituzionali della Seconda Repubblica. Forse è prematuro celebrare oggi la fine del berlusconismo, ma è altrettanto chiaro che la sinistra dovrebbe iniziare a pensare una «Terza Repubblica». È un progetto ambizioso, certo, ma in questi anni ciò che è mancato è stata proprio l’ambizione a immaginare una radicale trasformazione dell’esistente. In questa prospettiva il reddito incondizionato permetterebbe non solo di riformare il welfare, ma soprattutto di fondare la cittadinanza sociale. Come indicano i promotori del convegno sul reddito che l’associazione Basic Income Network-Italia ha organizzato in questi giorni a Roma, sono questi i punti minimi a partire dai quali può nascere una sinistra finalmente all’altezza delle domande di giustizia e delle istanze di liberazione che i movimenti degli studenti, dei precari, dei nuovi e vecchi disoccupati hanno urlato nelle strade in questo lungo ventennio del loro scontento. In Italia e in Europa.
Pubblicato su: Il Manifesto 9 giugno 2011