In occasione della pubblicazione di Giuseppe Bronzini “il reddito di cittadinanza” edizioni Gruppo Abele, Giuseppe Allegri propone una recensione del libro ed una ulteriore riflessioni intorno al tema del reddito garantito.
Nell’Unione Europea sono tre i paesi dove manca una forma seppur minima di «basic income»: la Grecia, l’Ungheria e l’ItaliaÈ da segnalare con estrema attenzione il volume di Giuseppe Bronzini, Il reddito di cittadinanza. Una proposta per l’Italia e per l’Europa (Edizioni Gruppo Abele, pp. 146, euro 10), perché non avrebbe potuto esserci momento più adatto per la sua pubblicazione, nel pieno di una crisi che diffonde povertà e insicurezza, con le timide proposte di un governo, come quello Monti-Napolitano, che vorrebbe tenere insieme equità e rigore di bilancio, evocando sacrifici e «riforma del ciclo di vita», ma anche l’introduzione di «un reddito minimo garantito per chi è senza lavoro» (in entrambi i casi è il ministro del Lavoro Elsa Fornero a parlare).
Bronzini (il cui libro viene presentato lunedì alle 17 presso la Fondazione Basso di Roma con la partecipazione di Virgilio Dastoli, Luigi Ferrajoli, Fausta Guarriello, Rachele Serino e Giacomo Marramao) è un giuslavorista, consigliere di Cassazione, noto ai lettori del «manifesto» anche come curatore (con Marco Bascetta) del volume La democrazia del reddito universale (manifestolibri 1997), con interventi di Claus Offe, Alain Caillé e Philippe Van Parijs in favore del reddito di base, universale e incondizionato. Si tratta quindi di un infaticabile teorico e promotore del reddito di cittadinanza sin dagli anni ’90 dello scorso secolo, con la partecipazione alle seminali riviste Luogo Comune e DeriveApprodi, quindi tra i fondatori del Basic Income Network – Italia (www.bin-italia.org/), nodo italiano di una rete globale di associazioni (Bien) per l’introduzione del reddito di base nei sistemi sociali contemporanei.
In questo pamphlet suddiviso in cinque capitoli (cui si aggiungono un agile glossario e una bibliografia di riferimento) Bronzini evidenzia la necessità di garantire il reddito di cittadinanza come nuovo «diritto fondamentale»: uno «ius existentiae che permette di risocializzare il Welfare», «necessario per uscire dalla crisi» e disegnare una nuova articolazione tra «lavoro, libertà e diritti». C’è poi il quadro di riferimento europeo, dinanzi all’«inerzia e ai ritardi del Bel Paese» che con Grecia e Ungheria, detiene il triste primato della totale assenza di un seppur minimo basic income. Così si escludono dalle più elementari forme di solidarietà civile oltre dieci milioni di persone – nativi e migranti – a rischio povertà: disoccupati/inoccupati, precari-e, intermittenti e lavoratori autonomi di seconda e terza generazione, privi di una qualsiasi forma di tutela e garanzia della propria dignità personale, ancor prima che del lavoro. E dinanzi all’inasprirsi della crisi economico-finanziaria non resiste nessuna retorica sull’apartheid tra garantiti e non garantiti, che ingabbia l’Italia da oltre un ventennio. Non si esce dall’iniquità dell’attuale patto sociale riconducendo tutti alla servitù volontaria del contratto unico di lavoro, in cambio di minori garanzie, come continua a proporre Pietro Ichino (che sembra ancora ascoltato da questo governo, nonostante la nomina a viceministro del Lavoro di Michel Martone, messo alla berlina proprio da Ichino nel suo Inchiesta sul lavoro, Mondadori, per aver ottenuto un’improvvida consulenza dalla Civit, Commissione per la Valutazione, l’Integrità e la Trasparenza delle Amministrazioni pubbliche, presieduta dal padre Antonio Martone).
Riprendendo una parola d’ordine comune al giuslavorismo europeo più progressivo si tratta di generalizzare i diritti e non la subordinazione, per dire un no collettivo ai ricatti del lavoro nero, della mancanza di tutele, dei salari da fame, del ritardo delle retribuzioni, dell’invadenza della malavita, della povertà diffusa, che possono essere combattute con la garanzia di un reddito di base (così la Caritas ambrosiana nel presentare il volume di Rosangela Lodigiani e Egidio Riva, Reddito di autonomia, Erickson 2011). Come di recente ha sostenuto Stefano Rodotà, proprio ricordando il libro di Bronzini («La Repubblica», 20 dicembre 2011): «uno sguardo sull´immediato futuro, realistico e lungimirante, esige che si affronti una revisione dei regimi di sicurezza sociale nella prospettiva del riconoscimento di un diritto ad un reddito universale di base». Ecco la sfida cui risponde questo pamphlet, assai utile per sfuggire alle passioni tristi che albergano nel governo dei Professori e dei loro consulenti, al tempo dell’infinita crisi europea e globale: l’imposizione di forme di vita assoggettate al rigore di bilancio, l’uso stancamente retorico del principio di equità, un paternalismo pauperistico, il depressivo richiamo a sacrifici per i soliti noti e politiche pubbliche di austerity, con l’asservimento a un lavoro senza dignità, diritti, garanzie.
Bronzini ci indica che proprio nei momenti di crisi del capitalismo è possibile, e anzi necessario, imporre il rilancio di politiche pubbliche e prevedere un reddito di base, universale e incondizionato, come diritto fondamentale per l’affermazione di nuovi modi del vivere associato: «il tempo di una rivoluzione egualitaria». E che su questa rivendicazione di autonomia e tutela della vita degna sia possibile aprire campagne locali e continentali di trasformazione dei sistemi di Welfare, per rispondere alle domande di giustizia sociale, partecipazione democratica, gestione condivisa dei beni comuni e autodeterminazione esistenziale per le presenti e future generazioni. Lo capiranno i nostri rigorosi governanti nella loro irrefrenabile smania di ennesima riforma del mercato del lavoro?
Il Manifesto 7 gennaio 2012