Il basic income o reddito di base può essere considerato un’alternativa socialista al capitalismo? Ciò che possiamo provare a fare è articolare una serie di principi socialisti e anticapitalisti e usarli per indicare l’allontanamento dal capitalismo in senso socialista, anche senza conoscere la nostra destinazione. Poniamo tre principi di partenza – il rafforzamento del potere del lavoro in relazione al capitale, la de-mercificazione della forza lavoro, e il rafforzamento del potere sociale sull’attività economica. il Basic Income può essere visto come una riforma socialista che investe tutti e tre questi criteri.
Tutto questo può sembrare un’illusione. Il socialismo, in qualsiasi senso della parola, sembra così lontano dall’agenda politica statunitense di oggi. Se sono nel giusto nel dire che un basic income generoso contribuirebbe in modo significativo a rivitalizzare una sfida socialista al capitalismo attraverso la parziale de-mercificazione del lavoro, il conferimento dei poteri ai lavoratori e l’allargamento dell’economia sociale sganciata dal mercato, allora questo può implicare che il basic income è ancora più fuori dall’agenda di quanto potessimo pensare. Ma non vivremo sotto le nubi del trionfalismo capitalista di destra per sempre. Ci saranno episodi di politiche egualitarie persino negli Stati Uniti. E quando tali episodi avverranno, il basic income sarà ai punti alti dell’agenda politica.
Molte delle discussioni sul Basic Income girano attorno a due questioni: la prima riguarda le implicazioni normative del Basic Income in rapporto alle diverse concezioni di giustizia, e la seconda, i problemi pragmatici della sostenibilità del Basic Income, date una serie di considerazioni economiche che comprendono gli effetti sulle tasse, sugli incentivi, sul mercato del lavoro e così via. Queste sono ovviamente questioni importanti ma io ne voglio esaminare una di tipo differente: in che modo può un basic income garantito essere considerato parte di un’aperta sfida socialista al capitalismo?
Ad alcune persone questa potrà sembrare una questione irrilevante, forse persino stupida, poiché, negli ultimi anni, la stessa idea di socialismo ha perso molto della sua attrazione intellettuale e politica. L’idea che ci sia un’alternativa sistemica praticabile al capitalismo, sia nel senso della realizzazione di un progetto di istituzioni economiche alternative, sia nel senso del raggiungimento di un traguardo politico, sembra essere, per molte persone che ancora condividono la tradizionale critica socialista del capitalismo, una forzatura.
Io credo che abbia ancora significato parlare di sfida socialista al capitalismo anche in assenza di un modello chiaro e ben articolato di progetto delle istituzioni socialiste. Ciò che possiamo provare a fare è articolare una serie di principi socialisti e anticapitalisti e usarli per indicare l’allontanamento dal capitalismo in senso socialista, anche senza conoscere la nostra destinazione. È come quando in un viaggio una bussola ci dice la direzione verso cui stiamo andando ma senza una mappa che ci mostri l’intero tragitto dal punto di partenza alla destinazione finale. Questo ha dei rischi, naturalmente: potremmo imbatterci in varchi che non possiamo attraversare, ostacoli imprevisti che ci obbligano a muoverci in una direzione che non avevamo pianificato. Ma, se vogliamo lasciare il mondo sociale nel quale stiamo vivendo, potrebbe anche essere il caso in cui non abbiamo piano migliore che i principi della direzione piuttosto che destinazioni conosciute in anticipo.
Questo modo di pensare in merito al socialismo rigetta la semplice visione dicotomica di capitalismo vs socialismo. Implica che le società capitaliste differiscono in base a quanto sono “socialistiche” – per usare una vecchia espressione della destra – e che, rispetto ai valori e alle aspirazioni di emancipazione dei socialisti, è meglio essere in una società capitalista con forti elementi socialisti che in una società capitalista senza questi elementi. Questo lascia aperta la questione di quanto lontano questi principi possano essere spinti, quanto ristretti siano i confini delle possibilità imposte dal capitalismo e se, ad un certo punto, una rottura più netta con le istituzioni capitaliste sia necessaria o meno per un avanzamento ulteriore. Non so se una lunga sequenza di manovre socialiste, permesse nel capitalismo, all’interno degli spazi istituzionali possa portare in modo cumulativo ad una metamorfosi del capitalismo stesso o se alla fine un tale processo raggiungerà limiti non oltrepassabili. Non so come rispondere a tali domande e presumo che non abbiano realmente delle risposte. Allora, in assenza di una risposta convincente la cosa migliore che possiamo fare è tracciare i principi che producono un senso di cambiamento progressivo senza avere una destinazione certa.
Se siete d’accordo che questo sia un buon modo per ragionare sull’idea di una sfida socialista al capitalismo, la questione allora diventa capire quali sono i principi che ci dicono se ci stiamo muovendo verso la direzione giusta e in che modo il basic income possa contribuire a questo movimento.
Tre principi per una sfida socialista al capitalismo
Ci sono molti principi possibili che definiscono la bussola socialista. Io mi focalizzerò su tre:
1. Il rafforzamento del potere del lavoro in relazione al capitale. Questo è uno dei temi centrali del pensiero socialista, specialmente nella sua incarnazione marxista: il socialismo è un sistema di produzione all’interno del quale la classe operaia è la classe dominante; il capitalismo è un sistema all’interno del quale è la classe capitalista ad essere la classe dominante. All’interno del capitalismo, quindi, i cambiamenti sociali che rafforzano il potere del lavoro possono essere considerati come un avanzamento in direzione del socialismo anche se questo non minaccia nell’immediato il dominio del capitale in quanto tale.
2. La De-mercificazione della forza lavoro. Anche questo è un tema familiare nelle discussioni del socialismo. Una delle caratteristiche del capitalismo è che la gente che non possiede i mezzi di produzione deve vendere la propria forza lavoro nel mercato del lavoro ad un padrone per potersi procurare i mezzi di sussistenza. Questo è a volte attribuito alla mercificazione del lavoro (o forse, più precisamente, della forza lavoro) visto che la capacità di lavorare delle persone è considerata alla stregua di una merce. Nel momento in cui i lavoratori sono in grado di soddisfare i loro bisogni fuori dal mercato, attraverso alcuni processi di misure sociali, la loro forza lavoro è de-mercificata. La mercificazione è quindi una variabile e si può parlare del grado di mercificazione e de-mercificazione della forza lavoro. Se il socialismo è un’economia direttamente orientata alla soddisfazione dei bisogni piuttosto che alla massimizzazione del profitto, allora la de-mercificazione della forza lavoro può essere considerata un movimento in direzione del socialismo.
3. Il rafforzamento del potere della società civile per foggiare le priorità d’uso del surplus sociale e l’organizzazione dell’attività economica. Questo terzo punto è meno familiare e forse più controverso. Implica un contrasto tra ciò che chiamerei Statalismo e Social-ismo. Entrambe sono forme di organizzazione economica non capitalista. Nello Statalismo, è lo stato ad avere il ruolo principale nella distribuzione del surplus sociale a favore di priorità alternative e nella direzione del processo produttivo. Gli esempi più chiari sono stati i sistemi burocratici centralizzati del controllo economico in posti come l’Unione Sovietica. Al contrario, nel socialismo è ciò che viene definito “potere sociale” ad avere questo ruolo. Questa è un’idea molto meno chiara rispetto allo statalismo, e invero molte persone usano il termine “socialismo” per descrivere ciò che qui stiamo chiamando socialismo. L’idea di un socialismo radicato nel potere sociale implica due concetti cruciali. Primo, l’idea che il potere sociale incide sull’uso del surplus sociale significa che, a livello macro, le priorità di investimento sono stabilite attraverso un processo di deliberazione pubblica, democratica e partecipata piuttosto che attraverso l’esercizio del potere economico privato attraverso il mercato o l’esercizio di un controllo burocratico e autoritario da parte dello stato. Secondo, ad un livello micro, le associazioni collettive nella società civile sono direttamente coinvolte nell’attività economica per soddisfare i bisogni. Una produzione orientata sui bisogni non è organizzata attraverso il mercato o dalle burocrazie statali, ma attraverso l’autorganizzazione degli attori sociali. Questo corrisponde a ciò che, in alcune discussioni, viene ascritto come “economia sociale”. Questa comprenderebbe servizi quali l’assistenza sanitaria domiciliare, l’assistenza ai bambini, agli anziani, servizi ricreativi e un’ampia gamma di attività culturali e artistiche. La produzione di questi servizi nell’economia sociale, deve essere chiaro, è sociale e non privata: la questione qui non è spostare i servizi di assistenza ai minori o agli anziani dal mercato o dallo stato alla famiglia. L’economia sociale è costruita attorno alla fornitura pubblica di tali servizi da parte di associazioni piuttosto che dallo stato o dal mercato. Il socialismo quindi combina la discussione democratica sullo stanziamento di ingenti investimenti con l’organizzazione dell’attività economica da parte di associazioni di volontariato autorganizzate. Come per gli altri due principi, la forza del potere sociale sull’economia è una variabile e quindi possiamo parlare di avanzamento in senso socialista quando questo potere cresce.
Basic Income e Socialismo
Se accettiamo questi tre principi – il rafforzamento del potere del lavoro in relazione al capitale, la de-mercificazione della forza lavoro, e il rafforzamento del potere sociale sull’attività economica – come dei criteri per uscire dal capitalismo e muoversi verso il socialismo, la domanda successiva è come le differenti proposte di riforme istituzionali all’interno del capitalismo possono dare un contributo all’uno o all’altro di questi principi. Le riforme dei fondi pensione che hanno dato ai sindacati il potenziale per esercitare il controllo sull’esercizio del potere delle imprese, come argomentato da William Greider, potrebbe, per esempio, essere visto come un contributo in qualche modo al terzo criterio. E rispetto al Basic Income? Io credo che il Basic Income può essere visto come una riforma socialista che investe tutti e tre questi criteri. Naturalmente il grado in cui il Basic Income contribuisce ad un progetto socialista dipende in maniera significativa dal livello del basic income e dalla sua sostenibilità sul terreno prettamente economico. A tale scopo formulerò due supposizioni: primo, che un basic income incondizionato deve essere ad un livello tale da permettere ad una persona di vivere ad un livello dignitoso. Cioè, il livello del reddito è sufficientemente alto che l’allontanamento dal mercato del lavoro capitalista diventa una scelta significativa. Secondo, presumo che un reddito di questo livello non generi problemi di incentivi, sia per i lavoratori che per gli investitori, al punto tale da rendere il basic income non sostenibile nel tempo. Basandosi su queste ipotesi, il basic income potrebbe contribuire ad ognuno dei tre principi di un progetto socialista.
1. Il Basic income e il contrappeso del potere di classe. Un basic income generoso ha la forza di contribuire, nel lungo periodo, al rafforzamento del potere del lavoro di fronte al capitale per tre ragioni. Primo, nel momento in cui, in un’economia capitalista con un basic income il mercato del lavoro diventa più fiacco, la posizione di contrattazione dei singoli lavoratori aumenterà. Secondo, in generale il lavoro è in una posizione contrattuale migliore a livello collettivo quando il mercato del lavoro è fiacco. E terzo, il basic income è una sorta di cassa per gli scioperi incondizionata e inesauribile, la quale contribuirebbe anche a rafforzare il movimento operaio. Anche se il basic income non fosse accompagnato da leggi più favorevoli all’attività sindacale, la capacità dei lavoratori di lottare per i sindacati verrebbe accresciuta comunque. Ora, i sindacalisti hanno più volte sollevato obiezioni contro il basic income per una varietà di ragioni. A volte i sindacalisti si oppongono al basic income per gli stessi motivi per cui sono ostili al welfare: questo è solo un meccanismo attraverso il quale le persone laboriose sono obbligate a mantenere i pigri. Ma c’è anche un argomento più direttamente legato al potere del sindacato: la paura è che, con un basic income, i lavoratori non abbiano più bisogno dei sindacati. Se l’unica funzione dei sindacati fosse di garantire standard di vita minimi, allora questa potrebbe essere una preoccupazione realistica. Ma nella misura in cui i sindacati si occupano anche dell’organizzazione del processo lavorativo, delle condizioni di lavoro, del trattamento imparziale all’interno di vertenze e così via, il basic income non minaccerebbe in nessun modo la funzione dei sindacati. In ogni caso, il valore aggiunto fornito alla lotta dal reddito garantito sembra avere un effetto più grande di qualsiasi riduzione marginale nelle funzioni dell’organizzazione collettiva.
2. La de-mercificazione del lavoro. L’effetto più ovvio del basic income è sulla parziale de-mercificazione del lavoro. Questo è l’aspetto del basic income che ha ricevuto maggiore attenzione. È rappresentato dallo slogan di Philippe van Parijs “Libertà Reale per Tutti”. Se un basic income sostenibile fornisce un livello di vita culturalmente accettabile, allora questo significa che le persone possono soddisfare i loro bisogni primari senza essere costrette ad entrare nel mercato del lavoro.
3. Allargare il potenziale per un’economia sociale. Il basic income, a primo avviso, non sembra avere molto a che fare con il principio socialista di accrescere il potere sociale sull’attività economica. Dopo tutto il basic income è un trasferimento individuale e non ci sono alcune restrizioni su ciò che l’individuo fa con questa somma. In questi termini, sembra una riforma puramente individualista.
Io credo che questo sia un modo molto limitato di intendere le implicazioni del basic income. Abbiamo già visto come il basic income può avere conseguenze collettive nel momento in cui è in grado di accrescere il contrappeso delle forze tra lavoro e capitale. Anche il basic income, aggiungerei, ha il potenziale per creare le condizioni per un’economia sociale più diffusa e dispiegata. L’economia sociale è un modo alternativo di organizzare l’attività economica, distinto sia dall’approvvigionamento del mercato capitalista che da quello statale. La sua caratteristica è una produzione organizzata direttamente dalla collettività per soddisfare quei bisogni non soggetti alla disciplina della massimizzazione del profitto o della razionalità tecnocratica dello stato. Un segmento significativo di tale attività comprende la fornitura di vari tipi di servizi, molti dei quali sono ad alto impiego di manodopera. Uno dei problemi principali che la collettività affronta nell’economia sociale è quello di generare uno standard di vita dignitoso per i fornitori di questi servizi. Questo è naturalmente un problema cronico nelle arti, ma riguarda anche gli sforzi da parte delle comunità di organizzare servizi di effettiva economia sociale per le diverse attività di cura. Il basic income sostanzialmente risolve questo problema. Il basic income può essere visto come un trasferimento potenzialmente imponente del surplus sociale dal settore del mercato capitalista all’economia sociale, dall’accumulazione di capitale a ciò che può essere definito accumulazione sociale – l’accumulazione della capacità della società di autorganizzare l’attività economica orientata sui bisogni.
Da solo, naturalmente, il basic income può contribuire a risolvere solamente uno dei problemi che un’economia sociale si trova a fronteggiare – la rottura del legame tra un tenore di vita dignitoso e la partecipazione al mercato del lavoro capitalista. Il Basic income non fornisce sovvenzioni per le infrastrutture e stimoli di abbandono del lavoro per l’economia sociale. In quanto tale, l’arricchimento della produzione dell’economia sociale attraverso il basic income sembra essere limitato ai servizi ad alto impiego di manodopera. Ma è anche il caso in cui il basic income fornisce un aiuto all’attività politica, all’organizzazione della comunità, ai movimenti sociali, poiché anche queste dipendono, soprattutto, dal tempo e dalle energie delle persone. E questo può aumentare le possibilità di una più ampia serie di riforme che allargheranno finalmente lo spazio di movimento in direzione del socialismo.
Conclusioni
Tutto questo può sembrare un’illusione. Il socialismo, in qualsiasi senso della parola, sembra così lontano dall’agenda politica statunitense di oggi. E, naturalmente, se sono nel giusto nel dire che un basic income generoso contribuirebbe in modo significativo a rivitalizzare una sfida socialista al capitalismo attraverso la parziale de-mercificazione del lavoro, il conferimento dei poteri ai lavoratori e l’allargamento dell’economia sociale sganciata dal mercato, allora questo può implicare che il basic income è ancora più fuori dall’agenda di quanto potessimo pensare. Ancora, non vivremo sotto le nubi del trionfalismo capitalista di destra per sempre. Ci saranno episodi di rinnovamento di politiche progressive ed egualitarie persino negli Stati Uniti. E quando tali episodi avverranno, il basic income sarà ai punti alti dell’agenda non semplicemente perché ha direttamente a che fare con una serie di questioni fondamentali di giustizia sociale ma anche perché può contribuire ad una trasformazione più ampia del capitalismo stesso.
Erik Olin Wright Professor of Department of Sociology University of Wisconsin – Madison
Traduzione a cura di Sabrina Del Pico
Tratto dalla rivista Infoxoa 20 – 2006