Va considerata seriamente la strada della richiesta popolare di intervento in questo settore. Il Trattato di Lisbona prevede che con un milione di firme si possano invitare gli organi europei ad un’iniziativa di tipo legislativo. Come ” atto politico” una raccolta di firme consistente avrebbe già oggi il valore di una campagna di massa, tale da indurre Commissione e Parlamento a rilanciare con più forza le politiche di coesione sociale nel vecchio continente. Il sostegno europeo non presuppone allo stato la formazione di una più larga burocrazia sovranazionale , ma solo un‘opera di controllo e l’individuazione delle fonti di finanziamento. Sarebbe la premessa, certo, di profonde innovazioni anche nel “governo” dell’economia europea, che però avrebbero tutto il tempo di essere elaborate e di trovare, soprattutto, il necessario consenso istituzionale.
Partiamo dalle Carte
Con la vittoria sulle forze nazifasciste il tema della dignità dell’uomo ha trovato, nel secondo dopoguerra, una nuova energia costituzionale, tanto da aver fatto parlare di un ritorno al giusnaturalismo. Ne sono conferma sul piano nazionale la Costituzione di Bonn che poggia su questo valore (art. 1) e su quello internazionale la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che menziona la dignità sia nel preambolo “Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo” . Sul piano sociale gli artt. 22 e 25 della Dichiarazione richiamano la necessità della garanzia di risorse sufficienti per condurre una vita decorosa, così come il patto ONU del 1966 sui diritti socio-economici (mai accettato però da USA e G.B). Tuttavia queste prime affermazioni dello ius existentiae si trovano in Testi che, pur di altissimo contenuto morale, sono in genere ritenuti puramente indicativi e nel complesso non chiarificano il rapporto tra tale diritto e quello al ” lavoro”, se insomma ci si rivolge al cittadino o al disoccupato momentaneo e/ involontario.
Il tema del basic income conosce un più deciso decollo solo all’interno della discussione che si dipana con gli anni 70 sulle condizioni istituzionali di sfondo di una società giusta, promossa con le tesi del filosofo di Harvard John Rawls in “Una teoria della giustizia”, con il quale il mondo accademico fu immesso prepotentemente nelle tematiche del cosiddetto neo-contrattualismo.
Prescindendo dalle posizioni di Rawls (mutate nel tempo) lo sforzo di questa corrente nel suo insieme per fissare i presupposti, anche di ordine sociale, di una cittadinanza democratica autentica, moralmente giustificabile, finiva per porre al centro dell’attenzione non solo le istituzioni del welfare state, ma il suo principale scopo: la cosidetta freedom from want, la tutela di un ” minimo vitale” per proteggere la dignità di ognuno e così assicurare condizioni accettabili di eguaglianza di opportunità e quindi di partecipazione al gioco sociale e democratico. Questa linea di riflessione filosofica-istituzionale si è spesso saldata con gli studi sul welfare state europeo (dalle opere di T. H. Marshall ai teorici della ” demercificazione” dei bisogni primari del Nord europa) e lo ius existentiae ha cominciato ad essere, con sempre maggiore coerenza, declinato come un diritto fondamentale caratterizzante la sfera della cittadinanza, più che quella lavorativa. Un fundamental right che certamente arricchisce il patrimonio di tutele del lavoratore, ma che ha come titolare il cittadino in quanto appartenente ad una comunità politica. Se la necessità di una garanzia ” pubblica” di “minimi ” adeguati ad una vita dignitosa deriva anche dalle patologie della società del lavoro e dall’essere le regole di quest’ultima in tensione con principi costitutivi della sfera pubblica come l’eguaglianza di opportunità, allora contraddittoriamente non si può subordinare la prima sfera alla seconda e proteggere il cittadino solo perché lavoratore in difficoltà.
Su questa scia di pensiero, incontratasi con altre tesi di autori diversi, economisti, sociologi, filosofi e rappresentanti politici di caratura internazionale, si è formata l’Associazione mondiale per il basic income (BIEN). Tra gli strumenti di questa rete mondiale la pubblicazione in USA dei ” basic income studies”, e sicuramente il ricchissimo dibattito prodotto dalle diverse ramificazioni nazionali, tanto che oggi il BIEN ha sedici nodi affiliati rappresentanti altrettanti paesi nel mondo. Si tratta quindi di un movimento di pensiero multidisciplinare (dalla filosofia, all’economia, dalla sociologia, al diritto), da sempre ad ispirazione cosmopolita, che ha prestato una grande attenzione anche agli aspetti costituzionali e giuridici della questione. Da ultimo nel 2008
con la Dichiarazione di Monterey ( purtroppo poco conosciuta in Europa, ma che ha ricevuto il consenso di molti Stati sud-americani) si è cercato, a distanza di 60 anni dalla Dichiarazione universale, di formalizzare il diritto ad un reddito ” di base” come un ” diritto umano emergente” , espressione di istanze primarie che, in un contesto di globalizzazione economica ormai irreversibile, devono e possono essere tutelate solo su di un piano planetario.
Sotto questo profilo l’immagine di un “reddito minimo” in Europa sembra aver fatto molta strada essendo richiamata in molti documenti comunitari, a carattere programmatico e di indirizzo (Raccomandazioni della Commissione o Risoluzioni del P.E.), o più propriamente normativo (Carta di Nizza, Carta sociale europea, Carta dei lavoratori comunitari).
Durante la seconda Convenzione europea la proposta di formalizzare lo ius existentiae (nella forma della “garanzia dei mezzi” adeguati ad una vita dignitosa) non riuscì a imporsi; tuttavia esistono due linee di sviluppo istituzionale e giuridico lungo le quali comunque si è consolidata una pretesa in tal senso, in prospettiva giustiziabile e momento di orientamento delle politiche sociali dell’U.E.
La centralità e le opportunità dell’Europa
Per quanto riguarda la Lisbon agenda, con le politiche europee dell’occupazione (Trattato di Amsterdam) nella Strategia Europea per l’Occupazione (European Employment Strategy – EES) e dei processi connessi al cosiddetto metodo aperto di coordinamento(OMC). A partire dal 2000 i documenti comunitari pongono l’accento sul lavoro “di qualità” (more, but better jobs), sulla flessibilità in ascesa e quindi su iniziativa del lavoratore, sulle politiche di sostegno nel mercato alla forza lavoro attraverso la formazione permanente e continua (Lifelong Learning), la valorizzazione delle capabilities individuali, l’opera di indirizzo dei servizi pubblici per l’impiego, la protezione generalizzata dal rischio di disoccupazione e il mantenimento dei livelli di reddito nelle transazione lavorative. Per quanto si mantenga una notevole ambiguità negli atti dell’U.E. tra l’adesione ad ideologie liberiste ed ad istanze funzionaliste e tecnocratiche e la prospettiva invece di un allargamento della filosofia del garantismo in campo sociale ad aspetti non strettamente connessi ad un rapporto lavorativo in corso (come nel Rapporto Supiot “Au-delà de l’emploi. Transformations du travail et devenir du droit du travail en Europe”, del 1999), il metodo aperto di coordinamento (OMC) riesce ad organizzare quantomeno un comune terreno di discussione e di confronto tra le diverse esperienze europee. Nelle procedure dell’OMC vengono allora privilegiate quelle esperienze soprattutto scandinave (ma non solo) che hanno compiuto il salto in un sistema di flexicurity nel quale la garanzia di un reddito minimo (nella duplice forma dell’assicurazione per tutti dei mezzi necessari ad una esistenza libera e dignitosa e di sostegno al reddito tra un impiego ed un altro) è uno dei pilastri del rinnovamento e dell’universalizzazione degli apparati del welfare state.
Questo lento e controverso processo ha subito una improvvisa e drastica accelerazione dopo l’elaborazione del tanto discusso Green paper ( del 2006) sulla modernizzazione del diritto del lavoro che ha provocato una straordinaria partecipazione (in genere con accenti critici) della società civile europea che da un lato è riuscita a mettere la sordina alle proposte più discutibili dell’originario testo e dall’altro ha portato finalmente nel dicembre del 2007 all’approvazione unanime di alcuni principi comuni di flexicurity che contemplano il reddito minimo nei modi prima accennati. Da quella data le politiche dell’occupazione dei singoli stati (che vengono coordinate a livello europeo) dovranno indicare in che modo rispettano i principi comuni e comunque quali siano i percorsi che stanno seguendo per valorizzarli. Si deve notare che nel 2008 la Commissione europea si è fatta più decisa nello stigmatizzare i paesi che trasgrediscono platealmente alle indicazioni europee in materia di lotta all’esclusione sociale ( il cui primo pilastro è la copertura universalistica dei bisogni vitali).
Su un piano più strettamente giuridico il reddito viene in considerazione come diritto sociale fondamentale, direttamente protetto e riconosciuto dall’Unione. Con le due Carte sociali europee, quella del Consiglio d’Europa e quella de lavoratori comunitari del 1989 il diritto è esplicitamente formulato e come tale è ripreso dalla Carta di Nizza (Art-.34). La formulazione del Testo di Nizza è espressivamente non molto felice, ma il suo reale contenuto è piuttosto chiaro ed univoco. E’ stabilita una connessione strettissima con la dignità ( principio architrave della Carta) e si aggiunge una integrazione con il diritto all’assistenza. Il destino dell’articolo è legato al destino della Carta nel suo complesso che il Trattato di Lisbona rende ufficialmente obbligatoria . Va sottolineata in realtà una applicazione consistente ” anticipata” della Carta da parte delle Corti, ad ogni livello, d’Europa, ma il Bill of rights diventerà molto più forte ed incisivo come strumento di tutela giuridica una volta completato il processo di ratifica del Trattato. Alcuni studiosi ritengono che con questo passaggio le legislazioni nazionali sarebbero sindacabili laddove non proteggono, quanto al loro contenuto essenziale, i diritti previsti dalla Carta. Anche in Sud-america la Corte interamericana dei diritti dell’uomo ha condannato il comportamento degli Stati che non tutelano la dignità dei loro cittadini, andando persino oltre la formulazione letterale della Dichiarazione dei diritti umani interamericana. Per la Carta di Nizza il diritto è individuale e incondizionato e spetta ai cittadini e non ai soli ” lavoratori”, così come sono incondizionati i sostegni previsti per i disoccupati dalle convenzioni dell’ILO. Comunque con l’art. 34 il reddito di base è divenuto già un diritto sociale fondamentale.
Nella crisi si apre però una ulteriore prospettiva: per combattere il social dumping e per realizzare la coesione sociale a livello dell’U.E. (obiettivi che già rientrano nei Trattati). L’Europa potrebbe assumere la responsabilità diretta attraverso risorse proprie di un reddito di base europeo (con gli unionbonds e/o l’utilizzazione dei fondi che oggi sono destinati alla politica agricola comune). Sarebbe un passaggio decisivo verso una solidarietà davvero europea (l’unica che può reggere le sfide della crisi internazionale) che però implica in tendenza un bilancio comune, una fiscalità unitaria, un governo sovranazionale non solo dell’economia etc.
Anche se oggi mancano ancora strumenti di governance europea cruciali per questa materia, si realizzerebbe comunque un salto verso una situazione più avanzata, un accenno importante verso la definizione di cittadinanza europea e di solidarietà comune.
Le opportunità dei cittadini europei: farsi ascoltare, prendere parola.
Sta a noi cittadini europei pretendere questo passaggio, con un’azione politica concentrata sul P.E. (appelli, petizioni, richieste di Risoluzioni), partecipando ai processi di governance europei, aprendoli ulteriormente all’intervento attivo della società civile europea non istituzionalizzata, prendendo sul serio la questione del reddito garantito e impedendo ai singoli Stati di boicottare le indicazioni di matrice sopranazionale, cercando al tempo stesso di pretendere che le best practises siano replicate nei paesi che hanno ancora sistemi di protezione sociale arretrati e non inclusivi, come l’Italia. Partecipare in questi sedi di discussione serve soprattutto ad imporre l’idea di un’ incondizionatezza del reddito garantito, opponendosi ad ogni misura che mira a interpretarlo come mero ammortizzatore sociale o come una spinta al reimpiego anche forzato del lavoratore in temporanea difficoltà attraverso dispositivo di controllo e pressione che con Foucault possiamo definire di tipo ” governamentale”. Sotto questo profilo le iniziative della cosiddetta “Europa minore” o anche ” orizzontale”, le reti di regioni, Comuni ed Enti locali, hanno larghi spazi di sperimentazione ed innovazione potendo dar luogo a forme originali ed autonome di messa in opera concreta della strategia europea sull’occupazione, cercando di valorizzare al meglio le linee guida europee e nazionali.
E’ quanto accaduto in concreto, con la legge laziale sul reddito minimo garantito (che la nostra Associazione, il Bin Italia, ha visto come un importante momento di svolta nelle politiche sociali di questo paese, nonostante le difficoltà della crisi economica e la finanzi abilità di una tale legge sul piano regionale), che va ben al di là della cornice nazionale nel settore, prestando quella tutela “minima” che il nostro paese ancora non riconosce ed in dissenso con quanto è stato proposto nel Libro Bianco del Ministro del Welfare Sacconi.
Va infine considerata seriamente la strada della richiesta popolare di intervento in questo settore. Il Trattato di Lisbona prevede che con un milione di firme si possano invitare gli organi europei ad un’iniziativa di tipo legislativo. Come ” atto politico” una raccolta di firme consistente avrebbe già oggi il valore di una campagna di massa, tale da indurre Commissione e Parlamento a rilanciare con più forza le politiche di coesione sociale nel vecchio continente. Il sostegno europeo non presuppone allo stato la formazione di una più larga burocrazia sovranazionale , ma solo un‘opera di controllo e l’individuazione delle fonti di finanziamento. Sarebbe la premessa, certo, di profonde innovazioni anche nel “governo” dell’economia europea, che però avrebbero tutto il tempo di essere elaborate e di trovare, soprattutto, il necessario consenso istituzionale.
Il dibattito in Italia tra i movimenti sociali.
In Italia, il dibattito sul tema delle protezioni sociali e in particolare sull’utilizzo di strumenti quale il reddito sociale o di base in questi ultimi anni è stato trasversale ed ha coinvolto non solo i partiti politici e le istituzioni ma anche pezzi consistenti della società civile e del mondo dell’economia.
Partiamo dal dibattito e dal ruolo svolto dai movimenti sociali nel corso degli ultimi anni. Una gran parte delle organizzazioni del sindacalismo di base, dei movimenti per il diritto alla casa, dell’associazionismo sociale e degli studenti, ha dato vita ad una serie di iniziative anche a carattere nazionale per la rivendicazione del reddito garantito. In particolare, al di là delle tantissime iniziative intraprese in questi ultimi dieci anni, tra cui quella più nota come MayDay che ormai è divenuto un appuntamento europeo per il 1 maggio che lega diritti del lavoro e diritti sociali, gli appuntamenti del 2003 e del 2004 hanno visto oltre 50.000 persone manifestare a Roma esclusivamente per il diritto al reddito ed hanno segnato la centralità del dibattito. Questo ha ruotato intorno al riconoscimento di un diritto nuovo che affrontasse la questione del reddito nelle trasformazioni del mondo del lavoro con particolare riferimento al tema della precarietà. Il riconoscimento di un diritto al reddito, come base, soglia minima di cui beneficiare, parte proprio dalla rottura del ricatto che la precarietà impone, nell’accettazione di un lavoro purchè sia, e del riconoscimento della produzione oltre il lavoro formale, facendo riferimento alle nuove forme del lavoro e della produzione immateriale. Una valorizzazione dunque della partecipazione alla società, che deve essere riconosciuto anche sotto il punto di vista economico. All’interno di questo dibattito, che ha visto confrontarsi diverse tradizioni, quella post operista, quella sindacalista, quella più legata ad una sinistra radicale, le posizioni sono diverse, così che si riscontrano diverse accezioni del riconoscimento di un diritto al reddito. Ma la posizione più netta è quella di chi sottolinea l’importanza di un diritto che preveda l’incondizionatezza, senza collegamento all’obbligo al lavoro, e dell’universalità. In questo senso deve essere quindi riconosciuto come diritto individuale e garantito sia nella forma ‘diretta’ (attraverso delle erogazioni monetarie) che ‘indiretta’ (beni e servizi primari) in quanto concezione di un nuovo diritto comune. Per alcuni questo è uno strumento di “liberazione” dal lavoro salariato e facilitatore di una nuova e diversa partecipazione alla società riportando il lavoro come bene comune piuttosto che come coercizione individuale alla partecipazione alla società, per altri questo si esprime a partire dal “rifiuto del lavoro precario” e del ricatto insito di queste nuove forme del lavoro e verso una nuova idea di welfare; per altri ancora è un mix delle due cose e si deve incardinare più come strumento per combattere la disoccupazione e le nuove povertà. Come sempre, il dibattito interno ai movimenti sociali è ricco di visioni e tesi interessanti. Alcune organizzazioni interne a questo vasto schieramento sociale, hanno dato vita e partecipato anche alla stesura di alcune proposte di legge nazionale, come la cosiddetta pdl Cento-Salvi (DDL C 2575) frutto di una campagna che ha visto raccogliere oltre 60.000 firme per una legge di iniziativa popolare che però non ha mai visto luce. Anche sul piano locale, come ad esempio per la legge regionale del Lazio, alcune delle realtà sociali sopra menzionate hanno partecipato ai tavoli di lavoro che hanno prodotto la proposta di legge finale.
Le proposte istituzionali
Intorno al tema del reddito si sono mosse però anche le forze istituzionali e rappresentanti anche di diversi schieramenti. In particolare sul piano nazionale vi sono state alcune forze politiche eo singoli deputati sensibili al tema che hanno presentato proposte. Anche in questo caso vi sono proposte diverse dettate da culture politiche diverse. Rifondazione Comunista proponeva una retribuzione sociale (DDL C872 del 2001 a firma Bertinotti), legata in particolare alla lotta alla disoccupazione e all’inserimento lavorativo. Il ddl sembra assomigliare più ad una proposta di salario minimo garantito e molto condizionata all’obbligo del lavoro. La concezione dell’obbligatorietà al lavoro in verità è comune a molti schieramenti istituzionali. Potremmo definire queste tesi a partire da due tematiche: la lotta alla disoccupazione e la lotta alla povertà. In tutte e due i casi queste forme di carattere assistenzialista convergono dentro una logica di inserimento lavorativo e quindi condizionate da obblighi specifici. La proposta Cento-Salvi, sopra menzionata, che invece prevede una serie di interventi molto più vicini ad una idea di reddito di base che viene comunque indicata come strumento di lotta alla disoccupazione, la proposta dell’Ulivo (DDL C 3134) destinata in particolare ai giovani disoccupati, nonché alla legge 328 che si occupa principalmente di assistenza sociale. Và detto che l’Italia ha sperimentato per un certo periodo, con il governo D’Alema, il Reddito Minimo di Inserimento. Una sperimentazione nazionale che ha coinvolto numerosi comuni italiani del nord, centro e sud Italia. Questa sperimentazione ha in particolare tentato di contrastare spesso le forme di povertà estrema e di evidente disagio economico e sociale. A questa sperimentazione il successivo governo Berlusconi aveva fatto seguire la proposta di un Reddito di Ultima Istanza che però non ha avuto alcun seguito se non quello di interrompere la sperimentazione dell’RMI avviata gli anni precedenti. L’Italia oggi è insieme alla Grecia e l’Ungheria, l’unico paese in Europa a non avere forme di protezione sociale di tipo europeo come il reddito minimo.
Il tema del reddito ha attraversato anche i governi regionali, che a seguito delle competenze legislative introdotte dalla modifica del Titolo V della costituzione hanno cominciato a produrre studi di fattibilità, aperto dibattiti in merito al tema del reddito, sperimentato forme diverse. In particolare la Regione Campania ha avviato per prima un intervento in tal senso. Va detto però che se anche la legge campana è stata chiamata “reddito di cittadinanza” in verità questa è stata una misura di intervento assistenziale destinato alle fasce più povere ed emarginate e finalizzato ai redditi familiari. Malgrado i limiti della legge campana, nonché dei fondi a disposizione per un intervento strutturale, questa sperimentazione ha comunque funzionato per la continuazione del dibattito intorno al tema del reddito. Nel Lazio a marzo 2009 è stata approvata la legge regionale per il “reddito minimo garantito”. Una misura che intende contrastare sia le difficoltà economiche delle fasce più povere che intervenire come forma di contrasto alla precarietà lavorativa e alla disoccupazione. Quello che la caratterizza è proprio quella dicitura “minimo garantito” che riapre dunque il dibattito sulla necessità di un diritto di base, garantito. Questa legge ha comunque alimentato un forte dibattito nel Lazio, tanto che le proposte arrivate nelle commissioni erano ben sette e fatte da diversi schieramenti politici. Ci sono altre regioni che hanno iniziato questo dibattito, il Friuli e la Basilicata che prevedono ad esempio forme di assistenza per l’inserimento lavorativo; il Piemonte con sostegni per l’occupazione destinati a chi perde lavoro; la Sardegna che ha nella scorsa legislatura visto alcuni consiglieri proporre una legge sul reddito minimo; la Puglia che ha avviato un dibattito sul tema; la Lombardia in cui è stata fatta una proposta di legge di iniziativa popolare promossa da alcune organizzazioni sociali consegnata al consiglio regionale e non ultima l’Umbria che ha presentanto una proposta di legge simile a quella laziale. In diverse forme e sfociando in proposte diverse, la questione del sostegno al reddito è comunque divenuto una delle centralità del dibattito politico che in alcuni casi è divenuto anche nazionale come dimostra la proposta di assegno ai disoccupati fatta dall’ex leader del PD Franceschini o da molti studiosi di settore che reclamano la necessità di una riforma del welfare a partire dall’introduzione di un reddito minimo. Non esiste ad oggi, in Italia, nessun modello a cui riferirsi e le diverse iniziative intraprese spesso sembrano non assomigliarsi affatto. Rimane il fatto che il tema del reddito, sia inserito in un contesto prettamente assistenziale e familistico, sia di contrasto alla povertà, sia di lotta alla precarietà e alla disoccupazione è divenuto comunque uno dei temi della discussione presente e futura. Riapre la necessità della discussione dei nuovi diritti e in particolare della redistribuzione della ricchezza prodotta. Anche il settore dell’economia ha fatto emergere personalità che si sono espresse positivamente in questi ultimi anni. Citiamo, a titolo esemplificativo, le tesi di Tito Boeri della Fondazione De Benedetti che propone un reddito minimo garantito a fronte di una maggiore libertà per le imprese di rendere flessibile il lavoro. Tesi contrastata da sindacati e alcuni partiti politici, ma che vede il mondo dell’imprenditoria disporsi, in molti casi, positivamente verso misure di sostegno al reddito o reddito minimo.
Rilanciare il dibattito per un’utopia concreta
Le diverse forme con cui si affronta questo tema stanno facendo affiorare notevoli difficoltà nel produrre esperienze significativamente rilevanti e propedeutiche ad un reddito garantito, ad un basic income vero e proprio, universale ed incondizionato. L’aspetto culturale innanzitutto, che focalizza chi ragiona intorno a questo strumento, in un binomio: da un lato come intervento destinato al lavoro (misure di workfare) condizionato al punto di divenire puro controllo sociale; dall’altro come intervento di assistenza prettamente familiare e finalizzato al sostegno della famiglia e non destinato agli individui e sicuramente finalizzato solo a misure di contrasto alla povertà (attraverso il cosidetto means test); Insomma il dibattito intorno a questo tema è trasversale ed anche se ad oggi non vi sono sintesi possibili in merito a proposte unitarie o a modelli univoci e condivisi, per l’Italia sicuramente si può aprire una stagione in cui il tema del reddito diventi, oltre che confronto politico, realtà praticabile. La nascita del Bin Italia, il nodo italiano della rete mondiale per il basic income ha di fatto rimesso in moto non solo il dibattito italiano intorno a questo tema, ma ha saputo unire le diverse competenze e sensibilità che credono questo strumento necessario per le società future. Le sensibilità sociali e politiche si sono fatte più attente sul tema del sostegno al reddito, vanno dipanate le matasse delle argomentazioni e quindi delle filosofie che ne indicano la praticabilità. Proprio attraverso il libro “Reddito per tutti: un’utopia concreta” il Bin Italia e gli autori coinvolti, ci dicono che è possibile oggi affrontare il tema nelle sue diverse sfaccettature. La ricchezza del dibattito nazionale ed internazionale e gli attori coinvolti in giro per l’Europa e per il mondo, dimostrano che questo tema può essere affrontato cosi sul piano economico che sul piano politico, sul piano sociale e sul piano del diritto, insomma che la ricchezza del dibattito prodotta oggi può essere messa al servizio di vere e proprie sperimentazioni in grado di proporre una nuova idea di giustizia sociale a partire dal reddito di base. Il Bin Italia raccoglie, propone e rilancia parte di questo dibattito, proveniente e destinato sia sul piano nazionale che internazionale e si propone come luogo di scambio, di interconnessione sia delle diverse letture e tesi intorno al reddito, sia delle diverse competenze che gli associati mettono a disposizione per una nuova idea di società e di giustizia sociale a partire dalla centralità del reddito garantito per tutti.
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Altri testi ed articoli sulle riviste: Infoxoa; DeriveApprodi; Posse;