Il reddito e il lavoro: volutamente titolo così questa mia riflessione, che poi sarà sostanzialmente sul reddito minimo garantito, perché è la nuova relazione tra questi due elementi, che sono i cardini della società capitalistica, che va messa a fuoco se si vuole provare a inquadrare nei suoi vari aspetti il tema, oggi divenuto di attenzione generale.
Non c’è dubbio che le forme di rapporto tra il lavoro e il reddito, per come le abbiamo conosciute, sono state, e sono, fortemente messe in discussione da quella rivoluzione conservatrice che, non a caso si e’ detto, rompe il compromesso sociale storicamente realizzato.
Sta di fatto che ci troviamo di fronte a fatti nuovi rispetto a quelli che vedevano il lavoro come quella merce speciale da cui l’ attività produttiva capitalistica poteva estrarre un plusvalore ma che poi poteva, nella storia del capitalismo reale, essere riconosciuto come soggettività con cui si realizzava un compromesso volto allo sviluppo sociale.
Nell’era della globalizzazione invece il lavoro torna ad essere ricondotto ad una condizione servile, quasi di stampo feudale, parcellizzato e precarizzato. Ci si appropria della sua dimensione fisica ed intellettuale, invadendone sempre più gli elementi biologici, del tempo, delle attitudini, tendenzialmente arrivando addirittura a separare la sua disponibilità dalla erogazione di reddito, fosse anche nelle forme della pura garanzia di sua riproduzione di cui parlava Marx. Quando si parla di un carattere utopico per il reddito cosiddetto di cittadinanza, bisognerebbe far notare che il capitalismo sta quasi realizzando la sua utopia di far lavorare senza pagare reddito!
Non e’ un caso quindi che anche uno degli elementi cardine del carattere progressivo del capitalismo e cioè il valore emancipatorio del lavoro, per cui l’accesso al lavoro ha corrisposto alla fuoriuscita dalla povertà e, specie in Europa, all’accesso ai benefici del welfare, sia ormai contraddetto da una realtà in cui il lavoro povero e’ sempre più percentualmente significativo.
Inoltre, centrale per i suoi effetti sul sistema, la realizzazione del dominio della finanziarizzazione ha prodotto una sorta di capacità astrattiva del capitale di immaginarsi come soggetto partenogenico, cioè capaci di autoprodursi, in una sorta di crasi D in D+ che salta il passaggio marxiano nella M, l’attività di produzione di merci, che viene incorporata nel capitale stesso.
Da ultimo, i limiti ambientali dello sviluppo chiedono di ripensare un rapporto col lavoro, e tra il lavoro e il reddito, che sia alternativo a quella mercificazione integrale, anche del vivente, che viene messa in campo dal capitalismo.
Ho premesso questi abbozzi di riflessione per dire che la questione, di cui si parla ormai con insistenza, di una diversa relazione tra reddito e lavoro, con l’ introduzione di un reddito di base garantito per tutte e tutti è di grandissimo spessore e può essere l’avvio della ricostruzione di un nuovo punto di vista autonomo da quello del capitale.
Questo però è tutt’altro che scontato. Nel concreto infatti c’è il rischio che il tema del reddito minimo venga agito strumentalmente da quanti vogliono ulteriormente determinare lo scompaginamento degli elementi sopravvissuti di riconoscimento dei diritti collettivi e individuali del lavoro. La discussione sul basic incom, il reddito minimo, per altro a volte intrecciata a quella, ora un po’ meno di moda, sulla Flexicurity, tende per alcuni, e tra loro una parte significativa delle tecnocrazie europee, a rappresentare una sorta di grimaldello per scardinare le idee fondanti del vecchio compromesso sociale, come quella che il lavoro normale è quello a tempo indeterminato, che va promossa l’occupazione come attività fondamentale della esistenza dello Stato, che è giusto garantire la continuità lavorativa e che il lavoro è un soggetto che deve poter vincolare la impresa e il mercato.
Chi vuole liberarsi da tutto questo a volte si serve anche dell’esca di un minimo vitale, spesso assai al disotto del vitale a differenza di come era inizialmente la Flexicurity nella sua forma nordeuropea. Di fatto l’idea dei minimi, per il reddito ma anche per il welfare, lasciando tutto il resto al mercato è la chiave di lettura della riforma del modello sociale europeo su cui spingono le tecnocrazie.
Questo non significa che il tema del basic incom non possa essere al contrario quell’elemento chiave di rilancio di una nuova autonomia della coalizione potenzialmente alternativa al capitalismo odierno di cui dicevo. Per questo va assunto come centrale e agito correttamente.
Cosa significa, almeno per me? Che va posto in relazione ad una nuova idea del lavoro, della economia e della società. Ad esempio connettendolo al rilancio del valore della contrattazione collettiva come elemento caratterizzante di una nuova dimensione europea. Concretamente disegnando il riconoscimento, per contratto e per legge, di livelli salariali europei tendenti ad armonizzarsi verso l’alto con procedure cogenti, cui legare il diritto a un reddito di cittadinanza. Per chi? Dico chiaramente per tutte e tutti. Una sorta di reddito di esistenza però connesso al contratto come espressione della soggettività collettiva che aiuta ed accompagna il diritto individuale.
Ciò per altro e’ connesso ad una nuova dimensione del lavoro che è indispensabile creare a fronte dei limiti ambientali di un certo tipo di sviluppo e all’emergere di nuovi bisogni sociali e di relazione. Che possono veder accompagnare alle forme lavorative, nuove forme di volontariato e di dono che non siano sfruttamento e disimpegno del pubblico mascherati ma sperimentazione di una nuova frontiera. Ricordo appena che Andrè Gorz parlò diversi anni fa, proprio in uno scenario di questo tipo, di un reddito derivante da un doppio assegno, uno legato al settore di produzione e l ‘altro per le nuove attività.
Questa discussione è tutt’altro che astratta, anzi. A livello europeo, oltre che esserci forme di reddito di sostegno in quasi tutti i Paesi, tranne Grecia e Italia, la questione è aperta sul doppio crinale di cui ho parlato. Quello mistificatorio della raccomandazione sulla Flexicurity, che vide un dibattito al Parlamento Europeo di qualche anno fa, bocciare l’ intenzione di promuovere come normale il lavoro flessibile. E quello che agisce sugli elementi che ho descritto di una nuova relazione positiva tra lavoro e reddito, come nel caso di una risoluzione approvata sempre dal PE nel 2010 e che non a caso partiva dalla evidenza del dilagare del lavoro povero oltreché di una nuova generale condizione di povertà. E’ lo stesso ragionamento che ha portato qualche settimana fa un’ altra istituzione europea, il Consiglio d’Europa, a realizzare una Conferenza molto bella sulle cause strutturali della povertà in questa Europa, ponendo al centro delle soluzioni proprio una idea corretta di reddito di base.
E’ stato molto grave dunque che invece la Commissione Europea abbia bocciato il primo testo di ICE, Iniziativa dei Cittadini Europei, una sorta di legge di iniziativa popolare europea per la quale servono un milione di firme in almeno 8 Paesi, che chiedeva il reddito indiscriminato. Per capire il valore della parola indiscriminato basti pensare a come le leggi tedesche, fatte per altro da Schroeder, la Hartz vier, prevedano forme vessatorie per l’accesso ai sussidi. La Commissione ha detto che non è materia di competenza! Incredibile in una Europa che massacra pensioni e salari! Ora e’ stato presentato un testo più generico che ha avuto via libera.
In Italia, come si sa, vi è un testo di legge di iniziativa popolare di varie associazioni che ha un valore positivo anche se contiene qualche punto che richiede una chiarezza di attuazione.
Dunque una partita importante e decisiva, quella del diritto al reddito, che va messa al centro della ricostruzione di una idea di futuro. Se il capitale ha avuto la forza di proporsi, nella sua forma finanzia rizzata, come pura astrazione indiscutibile, il diritto all’esistenza è la ripresa di una capacità dei soggetti negati di farsi loro sì concretamente irriducibili.
Pubblicato su: Inchiesta online