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Il reddito garantito oltre la crisi globale

di Rachele Serino

Può il basic income costituire una risposta adeguata per allontanare le nubi di una congiuntura internazionale sempre più segnata dai drammi della crisi economica, della guerra permanente, della devastazione ambientale? Un reddito per tutti può essere in relazione con un tema come la giustizia?

 

Può il basic income costituire una risposta adeguata per allontanare le nubi di una congiuntura internazionale sempre più segnata dai drammi della crisi economica, della guerra permanente, della devastazione ambientale? Un reddito per tutti può essere in relazione con un tema come la giustizia?

La forza degli argomenti a sostegno del basic income crediamo non si esaurisca con le tante argomentazioni che evidentemente emergono in tempi di così drammatica crisi economica e finanziaria; crediamo anzi, che sia proprio in tempi come questi che si debbano attraversare territori più accidentati ma capaci forse di dare ancora più slancio, connettendosi ad esempio con quegli approcci teorici che, pur non partendo esplicitamente dall’istituzione e dal riconoscimento del «diritto a esistere» riescono comunque ad arricchirne la portata sociale e politica. Portata non indifferente nemmeno sul piano della più alta tra le aspirazioni umane, la libertà.

Ragionamenti molto concreti circa l’intreccio tra etica ed economia ad esempio ci sono stati forniti da Amartya Sen, che nei suoi studi sulle capabilities non ha mancato di mettere bene in evidenza come le libertà sostanziali (libertà di/libertà da) siano strettamente vincolate alle condizioni sociali ed economiche: «lo sviluppo consiste nell’eliminare vari tipi di illibertà che lasciano agli uomini poche scelte e poche occasioni di agire secondo ragione; eliminare tali illibertà sostanziali è un aspetto costitutivo dello sviluppo».

Al tempo della frammentazione dei legami solidi della modernità, della ridondanza di informazioni e inconsistenza dei beni acquisiti, anche la riconoscibilità del proprio essere nel lavoro viene messa in crisi; condizioni di povertà, di marginalità e di privazione producono la riduzione di capacità combinate, e quindi della propria libertà. Specularmente, ogni intervento di welfare, dovrebbe focalizzarsi sulla complessa condizione delle persone che vivono, insieme a una riduzione del reddito, una drastica riduzione e/o perdita di possibilità e di competenza ad agire.

Ancora più oltre si spinge Martha Nussbaum rilevando come indicatori di benessere di una società elementi quali il potere di ridere, giocare, immaginare, amare e soffrire, vivere nella natura. Indicatori che esprimono la complessità di un pensiero per cui la libertà non coincide con la mera mancanza di coercizione ma arriva fino alla predisposizione di risorse istituzionali affinché tutti abbiano le stesse capacità di partenza. La logica della precarizzazione e frammentazione infatti cerca di mistificare un lato della medaglia, ovvero quello in cui l’umanità è allo stesso tempo capace di compiere scelte in autonomia, ma anche bisognosa materialmente e socialmente. Ignorare la condizione di bisogno quindi significa privare le persone della possibilità di scegliere ed in ultima analisi condizionare lo sviluppo della socialità e delle società.

L’approccio di questi due autori, pure lontani dai modelli welfaristici di qualunque matrice, converge con il basic income in particolare su due ordini di argomenti: le riflessioni intorno al tema della libertà di scelta e quelle sulla interdipendenza.

Anche così emerge una delle ragioni forti a favore del basic income, cioè la sua capacità di riequilibrare i rapporti di potere asimmetrici e di riconoscere il diritto di ogni individuo ad avere una dotazione di base che consenta lo sviluppo delle capacità e sciolga i lacci della dipendenza e del destino.

La possibilità di scegliere diventa quindi un indice universale ed in questo sta lo scontro con un sistema economico che pretendere invece di dettare strade, mete, gusti e di stabilire anche chi, dove e quanti possono e/o devono usufruire delle risorse.

Mentre la retorica ideologica della flessibilità del mercato a qualunque costo sembra non rallentare il suo cammino, allo stesso tempo alimenta il bisogno di guardare al basic income come a quella proposta che sempre di più sembra essere capace di portare ovunque dignità e possibilità e così facendo aprire porte che oggi sembrano chiuse da guardiani violenti e ciechi.

E’ quindi sui contenuti della giustizia il terreno di scontro e di crescita di una proposta come quella del basic income. Quando un bene primario, come la possibilità di vivere la propria vita, viene a mancare perché messo in crisi e in pericolo e al suo posto si forma una voragine, non possiamo che cercare: cercare nella cultura che cambia senza andare avanti, nell’economia che cresce ma non fa crescere né la gioia né il senso di sicurezza, nella vita che sembra tutto un mercato, in una umanità stretta fra il troppo e il troppo poco (cibo, lavoro, relazioni), e cercando ci si apre la strada di quel comune che si esprime sempre e comunque a dispetto della realtà.

«Una parola è morta quando l’hai detta, dicono alcuni. Io dico invece che incomincia a vivere proprio quel giorno» (E. Dickinson). Il nostro compito in questa fase è stato – e vogliamo che continui a essere – quello di ripetere, amplificare, portare in giro in ogni luogo le parole reddito per tutti, perché crediamo che contengano un principio vitale e necessario. Un principio che acquista forza sempre più nella consapevolezza di quelli che guardano al mondo come ad un bene di tutti e che per questo chiedono di essere parte di quel bene, mettendo in comune le risorse per uno sviluppo delle possibilità.

Tratto dalla rivista Pane e Acqua

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