La questione del reddito minimo di cittadinanza torna ad affacciarsi nel dibattito politico grazie alla proposta di legge presentata dal sen. Di Giovan Paolo (PD).
Per come predisposto nell’articolato, il reddito minimo di cittadinanza, viene finalmente riconosciuto come diritto sociale, in attuazione di quei principi supremi sanciti nel dettato costituzionale ex art. 2 dignità umana ed ex articolo 3. comma 2 uguaglianza sostanziale che attribuisce alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
Il presupposto di tale manovra vuole essere soprattutto quello di promuovere il diritto al lavoro combattendo lo strozzinaggio della precarietà a cui troppi italiani, in modo particolare giovani e donne, sono soggetti.
Soltanto individuando degli standard minimi, che oltre a permettere una vita dignitosa, permettano di sottrarsi al ricatto di accettare un qualsiasi lavoro a condizioni spesso al limite della legalità perché ancorati ad una situazione di necessità e di bisogno, e se, e soltanto se un individuo viene messo in condizione di perseguire le proprie aspettative formative e lavorative- verrà garantita la possibilità soggettiva di scelta e si potrà allora dire che diritto al lavoro sia stato reso effettivo.
Ma in cosa consisterebbe il reddito minimo di cittadinanza? É innanzitutto un trasferimento monetario elargito dallo Stato che ha lo scopo, di favorire la cittadinanza attraverso l’inclusione sociale ed in particolar modo è rivolto ai lavoratori disoccupati, inoccupati o precariamente occupati o per quei cittadini che vogliano intraprendere di nuovo un percorso lavorativo o cambiare quello già intrapreso da tempo.
Pertanto, stiamo parlando di uno strumento di contrasto alla disuguaglianza e all’esclusione sociale nonché di uno strumento di rafforzamento delle politiche finalizzate al sostegno economico. L’obiettivo della proposta è quello di rimettere nell’agenda politica la questione della giustizia ridistributiva perché questa dipende intrinsecamente dalle scelte politiche del legislatore che ha il dovere di correggere le distorsioni create del sistema economico. Bisogna ridefinire il nostro sistema di welfare per riattivare il capitale umano da troppo latente e sfuggente, che ha bisogno degli incentivi economici e motivazionali per rimettere in circolo quella creatività che può rendere il nostro Paese competitivo al pari degli altri Paesi europei. Un’iniziativa, pertanto, che permetterebbe ai giovani di tornare ad essere protagonisti della vita sociale in un Paese che non ha permesso loro di diventare indipendenti dalla famiglia e di sviluppare quell’ intraprendenza di cui la nostra economia avrebbe tanto bisogno.
Inoltre, l’istituzione del reddito minimo di cittadinanza, non è semplicemente uno strumento per uno Stato a “direzione sociale”, ma toglierebbe dall’Italia dall’imbarazzante posizione di fanalino di coda con il resto dei Paesi europei, poiché già tutti hanno adottato un reddito minimo, anche detto basic income, per combattere l’emarginazione sociale in attuazione dell’art. 34 della Carta di Nizza, avendo forse questi una visione dove l’ uomo partecipa attivamente all’organizzazione dello Stato, e dove a differenza dell’Italia si è capito che soltanto minimizzando le differenze tra le classi sociali si può raggiungere un’effettiva coesione sociale e una piena affermazione dell’individuo prima e del cittadino poi.
Si spera che tale proposta possa essere presto messa all’ordine del giorno di un’Italia in declino e che possa essere un input per dare avvio a degli aggiustamenti strutturali per un welfare più equo e più europeo. Ad essere in gioco in questo particolare momento è l’infrastruttura della nostra società, dove con sempre più forza vengono reclamati quei principi fondamentali, che sempre di meno vengono tutelati dal Governo in carica.