Intervento di Giuseppe Allegri del BIN Italia sulla campagna e la proposta di iniziativa popolare per il reddito minimo garantito in Italia.
Il dibattito che la proposta referendaria ha aperto tra le realtà che si occupano maggiormente del lavoro precario, autonomo di seconda generazione, a partita iva, per ora non ha generato grande spinta nel ricercare possibili punti in comune che leghino le iniziative per il reddito alla battaglia per l’abrogazione delle modifiche introdotte sull’art.18 e all’articolo 8 sulla contrattazione aziendale. Se ne parla, ma ancora serpeggia una certa disillusione sulla possibilità effettiva di tornare a legare tra loro gli obiettivi di lotta che caratterizzano il lavoro subordinato con contratto a tempo indeterminato a quello, in realtà sempre subordinato, ma frutto della nuova organizzazione del lavoro determinata dalla legge Biagi. Uno dei possibili punti di incontro potrebbe essere, ma appunto il condizionale è d’obbligo, proprio la campagna referendaria che si articolerà da ottobre a dicembre. La tematica del reddito minimo garantito, che affronta in maniera radicale la questione della precarietà e della nuova composizione del lavoro post statuto dei lavoratori, ad esempio è già al centro di una iniziativa di raccolta firme per la presentazione di una legge di iniziativa popolare. Alla domanda “perché non far convergere questa iniziativa con quella dei referendum, creando in ogni territorio dei comitati unitari per la raccolta delle firme”, gli interlocutori che abbiamo sentito rispondono in maniera diversa. Gianni Rinaldini, che fa parte del comitato referendario che ieri si è costituito presentando i quesiti in cassazione, si dice totalmente d’accordo. Beppe Allegri, che qui di seguito spiega la natura della proposta di legge di iniziativa popolare sul reddito, si dice possibilista ma non si sbilancia. Sembra che tutti stiano attendendo che “parta una proposta”. Di sicuro il fatto che in questo paese troppe volte si sia determinata una separazione tra diritti e diritti in tema di lavoro, considerando possibile solo il ripristino di quelli acquisiti e la sola enunciazione di quelli che invece sono da conquistare ex novo, ha favorito processi di disgregazione, di debolezza per tutti, di corporativismo e scarsa visione complessiva del processo capitalistico che oggi impone la sua egemonia. ( n.d.r. )
Peppe Allegri: dal giugno scorso (e fino al prossimo dicembre) è attiva la campagna per la raccolta di 50 mila firme per una proposta di legge di iniziativa popolare che introduca il reddito minimo garantito in Italia, unico Paese nell’attuale Unione europea, insieme con la Grecia, a non prevedere una qualche forma di garanzia di un reddito di base.
Da mesi un’ampia, pluralistica e assai aperta rete di associazioni, comitati, movimenti, partiti e singole persone si sta mobilitando, e invita alla mobilitazione, poiché ritiene sia «arrivato il momento, non più rinviabile, affinché una proposta di legge sul reddito minimo garantito venga inserita nell’agenda politica di questo Paese», come si legge sul sito della campagna www.redditogarantito.it
È l’urgenza di rispondere al concreto rischio di default sociale di un Paese, in cui tutte le statistiche ci parlano di insopportabili tassi di disoccupazione, a partire da quella giovanile, oramai al 36%, e oltre 9 milioni di persone al disotto della soglia di povertà e quindi di fatto in una condizione di esclusione e marginalità sociale.
Ma il reddito minimo garantito, che in questa congiuntura rischia di diventare una misura contro la povertà, è invece inteso dai promotori della campagna «come un argine contro la ricattabilità, il lavoro nero, il lavoro sottopagato e la negazione delle professionalità e della formazione acquisita. Significa in buona sostanza non vendersi sul mercato del lavoro alle peggiori condizioni possibili. Da argine può diventare un paradigma per la costruzione di un Welfare che includa e promuova, garantisca autonomia, libertà di scelta»; insomma dire un NO individuale e collettivo ai ricatti, prevedendo nuove tutele e garanzie.
Prima di tutto il reddito minimo garantito è una misura contro la precarietà diffusa e i processi di precarizzazione cui sono costretti oltre sei milioni di lavoratrici e lavoratori flessibili, intermittenti, indipendenti, autonomi, di fatto esclusi da qualsiasi tipo di garanzia sociale minima (da malattia e maternità, alla garanzia di un reddito nelle transizioni lavorative). Per questo è in favore di «tutti gli individui (inoccupati, disoccupati, precariamente occupati) che non superino i 7200 euro annui», sulla falsa riga della legge della Regione Lazio, n n. 4/2009, sul reddito minimo garantito.
L’introduzione di un reddito minimo garantito è quindi un primo necessario passo per affermare una nuova idea di società e cittadinanza, dentro e contro il dominio del capitalismo finanziario: un Welfare più universalistico, inclusivo, attivo e garantista, per sconfiggere le diseguaglianze, redistribuire le ricchezze e promuovere l’autodeterminazione individuale e collettiva.
Per questo intorno alla campagna per il reddito minimo garantito si è andata definendo una plurale e aperta coalizione sociale che include associazioni come Emmaus e Cilap EAPN Italia (Collegamento italiano di la lotta alle povertà), che si occupano di povertà ed esclusione sociale, insieme con associazioni e movimenti come European Alternatives, Tilt, Antigone, Popolo Viola, Basic Income Network Italia, etc.; reti di lavoratrici e lavoratori intermittenti, flessibili, indipendenti, precari-e come CPU (Coordinamento Precari Università), Rete San Precario Milano, Diversamente Occupate, Associazione Atdal Over-40, etc.; quindi partiti della sinistra come SEL, Prc, Pdci, liste civiche (unaltracittà lista di cittadinanza di Firenze, ad esempio), sezioni di Brescia e Alto Adige del NIDIL CGIL e soprattutto decine e decine di associazioni, circoli, gruppi, collettivi diffusi in tutta Italia, da Trapani a Trieste. Ci sono poi una serie di adesioni individuali che vanno da giuslavoristi a ricercatrici, intellettuali, giornaliste e operatori sociali, sindaci e assessori, fino a un paio di Europarlamentari del PD come Francesca Balzani e Sergio Cofferati.
È il quadro di una assai variegata coalizione sociale che lavora ad allargare sempre più la partecipazione a questa campagna, per raccogliere ben più di 50mila firme in favore del reddito minimo garantito entro il 6 dicembre 2012. Perché l’obiettivo di questa campagna è sì quello di presentare una proposta di legge di iniziativa popolare, ma anche quello di imporre all’ordine del giorno un’uscita positiva dalla crisi, a partire dalla previsione di scelte di politiche pubbliche che tutelino le persone contro i danni esistenziali, economici e sociali dell’infinita crisi europea e globale.
Per questo è bene che chi ancora non si è mobilitato aderisca e rilanci la campagna per il reddito minimo garantito in Italia, con forme e modalità che vorrà, per farla vivere in un Paese sempre più impoverito e incapace di trasformazione.