Nei prossimi giorni verrà presentato all’ufficio di presidenza della Camera dei deputati, la proposta di legge di iniziativa popolare sul reddito minimo garantito. La raccolta delle firme ha impegnato nei mesi scorsi diverse organizzazioni sociali e politiche, tra cui il Prc. Abbiamo intervistato Sandro Gobetti, di Bin Italia, Basic Income Network Italia
Perché avete deciso di consegnare ora le cinquantamila firme a sostegno della proposta di legge?
Tenuto conto che l firme sono state raccolte in sei mesi la consegna delle firme è diventata un atto urgentissimo oltre che dovuto non solo per la condizione sociale dei precari. Attendiamo di consegnare queste firme da ormai tre mesi, a causa di tutte le scadenze politiche che si sono frapposte. Abbiamo ritenuto che non si poteva più aspettare e rischiare di vanificare tutto il lavoro fatto con considerazioni varie su governo sì e governo no. Le consegneremo alla Camera, all’ufficio di presidenza. Un invito che facciamo fin da ora ai parlamentari è di incontrare chi porterà le firme e di dar vita quanto prima a una Commissione speciale. Spesso le leggi iniziativa popolare, infatti, finiscono nel dimenticatoio.
Rispetto a quando avete iniziato la raccolta delle firme, la crisi economica come ha cambiato la situazione sociale?
C’è stato un netto e forte peggioramento. Bin Italia a dicembre dell’anno scorso scrisse, come il Sole 24 ore che titolò ‘Fate Presto’, una lettera con lo stesso slogan, rivolta a Monti. A distanza di un anno purtroppo vediamo che la situazione è peggiorata. Quasi il 29,9% della popolazione italiana è a rischio di povertà. Se non implementiamo la misura nei prossimi cinque anni la metà della popolazione vivrà sotto la soglia di povertà. Molti analisti che parlavano di precarietà come forma di lavoro legata al postfordismo oggi parlano di precarietà come una delle nuove forme di povertà.
La fase di raccolta delle firme è stata a modo suo un piccolo laboratorio politico…
La proposta di legge e la campagna di raccolta firme ha avuto il sostegno e l’adesione di 170 tra associazioni, partiti della sinistra e soggetti vari. La delegazione che porterà la proposta e le firme in Parlamento è formata da almeno una trentina di persone. La campagna è stata molto plurale e trasversale, ed è stata segnata da una grande partecipazione popolare. Nella campagna abbiamo notato alcuni elementi interessanti, tra cui la disponibilità delle persone a parlare di questo tema e a firmare. Un elemento che ci ha stupito e che segnala la fine di alcuni tabù culturali. Abbiamo avuto persone, come nel quartiere di Casalbertone a Roma, che hanno firmato dicendo “voglio lasciare a mio nipote almeno una firma per il suo futuro”. Un modo molto pragmatico per trasmettere un patrimonio di lotta che ha conquistato un diritto. Il tema del reddito è molto più compreso dalla gente che non dalle organizzazioni politiche. Abbiamo sviluppato almeno 260 iniziative in 200 città diverse. E tutto fuori dai media mainstream e dalla loro sponsorizzazione. Un segnale di mobilitazione dal basso che noi stessi non pensavamo di poter garantire.
Molte altre organizzazione, tra mondo della politica e del sindacato, hanno avanzato proposte sul reddito minimo. E’ un bene o no?
Le altre proposte incidono, non c’è dubbio, dal punto di vista generale perché incentivano la discussione e portano avanti in qualche modo la rottura del tabù. Il tema non è più relegato in una nicchia. Dall’altra parte bisogna capire bene i criteri introdotti, però. Grillo, per esempio, sul termine reddito di cittadinanza mostra un po’ di superficialità. Non si può sostenere, come fa lui, che il reddito viene ritirato se uno non accetta il lavoro. Ci sono molti casi in cui il lavoro non arriva. I criteri vanno descritti e definiti nella loro complessità. Il rischio è di andare verso un reddito minimo di inserimento, perché il punto di vista da cui si parte è quello lavorista. Insomma c’è il rischio che l’obbligo ad accettare un lavoro porti verso un panorama di lavori a bassa qualifica. Il mondo del lavoro è cambiato e anche le condizioni sociali. Non parliamo delle condizioni individuali.
Infine, qual è il profilo della vostra proposta?
La legge innanzitutto intende affrontare un diritto basico ovvero che la di sotto di una certa soglia non bisogna stare. E questa soglia è di 600 euro mensili. Poi, ovviamente, questa soglia determina un’apertura ad altri diritti, tipo un tetto sulla testa e ad altre misure come in Europa i trasporti gratuiti e la cultura. Stiamo parlando quindi del cosiddetto reddito indiretto, ovvero una erogazione economica minimamente dignitosa. C’è poi la questione della congruità, ovvero il rifiuto del lavoro offerto se non è congruo con l’esperienza lavorativa passata. Vengono poi formulate delle deleghe al governo sul salario minimo orario, che trae spunto dal fatto che milioni di persone non stanno più nei contratti nazionali ed hanno ormai un confronto individuale con la controparte padronale. In questa delega al governo c’è anche l’idea dell’accorpamento delle misure di welfare per fare in modo da formare un plafond di diritti inespugnabile ed universale.
Articolo pubblicato su Controlacrisi.org il 9 aprile 2013