di Giuseppe Allegri *e Sandro Gobetti **
Nelle settimane del primo periodo di lockdown e lotta alla pandemia globale da SARS-CoV-2 e dalla connessa CoViD-19, il 71 per cento di circa 12mila cittadini europei, consultati all’interno di un’ampia ricerca accademica, si dichiarò favorevole all’introduzione di un reddito di base per tutti i cittadini europei. Un vero e proprio Universal Basic Income (reddito di base universale), una erogazione monetaria individuale,da intendersi come strumento di sicurezza sociale universale per proteggere gli individui dagli effetti economico-sociali della crisi sanitaria, ma anche dai cambiamenti dei sistemi di produzione e lavoro, nell’economia di piattaforma, digitale e automatizzata.
I curatori di quella ricerca, Timothy Garton Ash e Antonia Zimmermann, titolarono il loro paper di presentazione dell’inchiesta osservando che nella crisi, gli europei sostengono posizioni radicali, in tema di ricerca di maggiore benessere sociale e lotta ai cambiamenti climatici. Più di due terzi degli oltre 12mila intervistati (tra i 16 e i 69 anni, dei 27 Stati membri UE e del Regno Unito) si dichiaravano quindi favorevoli a una misura di protezione universale come un reddito di base individuale, che è tuttora percepito da ampi settori delle classi dirigenti e forze politiche come una misura utopistica, come notavano gli stessi curatori della ricerca, mentre sembra incontrare sempre più consenso nelle diverse opinioni pubbliche, come testimonia il fatto che, negli stessi mesi, alla Commissione che si occupa di petizioni popolari del Bundestag è stata presentata una proposta di legge per un reddito di base sottoscritta da quasi mezzo milione di cittadini tedeschi. Siamo perciò dinanzi a una possibile grande sfida europea per il dialogo tra porzioni di opinione pubblica e classi dirigenti proprio a partire dalla questione sociale continentale e dalla necessità di trovare una misura universale di protezione, tutela e garanzia della vita delle persone nell’epoca in cui diviene sempre più urgente pensare un Welfare innovativo, inclusivo e di qualità.
Per un reddito di base, già nella crisi della società salariale
Torna quindi di attualità il tema di un reddito di base/Basic Income/revenu de base/renta básica che attraversò l’Europa già nella crisi del welfare state e della società salariale nel corso degli anni Ottanta e Novanta del Novecento, quando una larga parte di studiosi dibatteva della necessità di un “reddito di esistenza” (André Gorz), un Basic Income (Guy Standing) pensato anche come possibile Euro-Dividendo (Philippe Van Parijs) nell’Unione europea, un “dividendo sociale” (James Meade), una allocation universelle (Jean-Marc Ferry e ancora Philippe Van Parijs, il maggiore teorico in tema di reddito), un “reddito di cittadinanza” (Andrea Fumagalli), fino agli interventi di Claus Offe e Alain Caillé, raccolti insieme ad altri, nel volume non a caso titolato La democrazia del reddito universale (https://www.bin-italia.org/wp-content/uploads/kalins-pdf/singles/la-democrazia-del-reddito-universale.pdf).
Come in quel frangente di oramai un trentennio fa, intorno al 1989 europeo e globale, il tema più generale è quello di coniugare idee e politiche pubbliche consequenziali alla necessità di intendere il welfare come investimento collettivo, che parta dalla lotta alla povertà e all’esclusione sociale, per edificare istituzioni che tornino ad ampliare gli spazi di inclusione sociale, promuovendo benessere sanitario, economico, relazionale delle cittadinanze e respingendo i rischi di una ulteriore polarizzazione della società tra inclusi ed esclusi, sempre più ricchi e sempre più poveri, cittadini nazionali e non, stanziali e migranti, in un pericoloso crinale che fomenta l’eterna lotta tra poveri, invece che l’invenzione di strumenti istituzionali per condividere la ricchezza sociale prodotta, come il reddito di base, appunto.
Reddito di base, sicurezza e autonomia: il caso Finlandia
La proposta del reddito di base si nutre di esperienze passate, di analisi del presente e si proietta nel futuro, attraversando i Continenti, grazie alle numerose sperimentazioni (presentate in Gobetti, Santini, Reddito di base. Tutto il mondo ne parla), tra le quali assume un ruolo di primo piano quella realizzata in Finlandia nel 2017-2018. Promossa dal governo, ha coinvolto duemila persone disoccupate, estratte a sorte nelle liste dei fruitori di sussidi, che hanno ricevuto un reddito mensile di 560 €. L’Istituto finlandese per la protezione sociale, Kela, pubblica risultati e analisi della sperimentazione, sulla spinta di Olli Kangas, padre putativo di questo progetto e direttore di ricerca al Kela stesso[1]. La gran parte degli analisti nota che proprio dai primi report dei risultati di questa sperimentazione potrebbero uscire risposte utili e necessarie per pensare in modo più equo e inclusivo le nostre società nell’epoca (post-)pandemica, a partire da tre punti emersi dalle condizioni vissute dai fruitori finlandesi del reddito di base: diminuzione di stress causato da insicurezza economico-finanziaria; maggiore fiducia nelle proprie aspettative future; crescita di condizioni di autodeterminazione ed autonomia individuale. Quanto di più distante dagli ottusi pregiudizi che sembrano ossessionare il parodistico dibattito italiano, tra reciproche e deliranti accuse di “Sussidistan” e “divani” dove poltrirebbero i fruitori di misure di welfare.
L’imperativo socioeconomico di un Basic Income System
Tutto questo proprio nel momento in cui da più parti si concorda sulla necessità di ripensare le politiche di sicurezza sociale in chiave espansiva, nella prospettiva di quella politica dell’interdipendenza propria di una visione ecosistemica della cura, di fronte alla perdurante crisi pandemica che secondo l’economista Guy Standing impone l’imperativo economico di un Basic Income System, che permetta un generale ripensamento della distribuzione del reddito, per ripartire «in modo più equo quanto produciamo», anche per evitare di perseverare nel riproporre misure settoriali, frammentarie, parziali ed escludenti come le 19 (sarà un caso?) diverse forme di “ammortizzatori sociali” contenute negli atti normativi adottati dal secondo Governo Conte durante la pandemia.
In questo senso, il Basic Income Network Italia sostiene, dalla scorsa primavera, l’oramai improrogabile necessità di ampliare l’accesso al “reddito di cittadinanza” (D.L. 4/2019 convertito in l. 26/2019), per potenziare in senso personalistico, individuale, e universalistico questa misura, come garanzia di un vero e proprio diritto all’esistenza degna, ancor più in questa crisi sanitaria, che è anche sociale, con circa 17 milioni di persone a rischio povertà ed esclusione sociale.
Per un reddito di base nell’Europa pandemica
In questi mesi, fino al settembre del prossimo anno, è attiva al livello euro-unitario l’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE)per raccogliere un milione di firme intorno alla proposta di introdurre “redditi di base incondizionati” nei 27 Stati UE, perché ritenuta una misura cruciale per poter conseguire gli obiettivi della dignità umana, della libertà e dell’eguaglianza che compaiono nei Trattati e negli atti normativi e di indirizzo dell’Unione europea.
È questo un campo di confronto, dibattito pubblico e mobilitazione, a partire da quella digitale, che permette di intervenire sul livello nazionale per “estendere il reddito di cittadinanza” e quindi di collocare la questione sanitaria e quella sociale al livello continentale, perché, come ha recentemente ricordato la Presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen, «la riposta dell’UE deve essere più forte. […] Nessuno Stato membro uscirà in sicurezza da questa pandemia se non insieme a tutti gli altri».
Ecco così il tema di una risposta coordinata da parte delle istituzioni dell’Unione europea, che, accanto all’ipotesi di un lockdown continentale sincronizzato, dovranno azzardare anche un ragionamento per l’introduzione di una misura europea di sicurezza sociale, mentre la stessa Commissione sta pensando a direttive sul salario minimo e sul reddito minimo/di base.
E allora a noi torna in mente, come punto di partenza, l’idea di introdurre un Euro-Dividendo, un dividendo di base per ampliare la cittadinanza sociale europea, da tempo discussa da Philippe Van Parijs, il quale, in un suo recente intervento sulla Rivista Il Mulino (n. 1/2018, Il reddito di base: un’utopia indispensabile), ci ricorda, con spietata lucidità che «oggi è giunto il momento di elaborare e proporre un’alternativa all’utopia neoliberale della sottomissione totale delle nostre vite individuali e collettive al mercato, e un’alternativa all’utopia paleosocialista della sottomissione totale delle nostre vite allo Stato. Di questa utopia il reddito di base è un elemento centrale».
*coordinatore del comitato scientifico del Basic Income Network Italia, autore del volume ‘Il reddito di base nell’era digitale’.