Non una di meno, la rete di donne e femministe che ha dato vita a numerose iniziative contro la piaga del femminicidio e la violenza di genere, rilancia anche sui nuovi diritti scrivendo “un piano” di rivendicazione e di azione. Tra i vari punti del piano emerge con forza la proposta di un reddito di autodeterminazione: “Un reddito che noi definiamo di autodeterminazione, incondizionato e universale, slegato dalla prestazione lavorativa, dalla cittadinanza e dalle condizioni di soggiorno. Un reddito che serva come garanzia di indipendenza economica, e dunque concreta forma di sostegno, per le donne che intraprendono percorsi di fuoriuscita da relazioni violente (intrafamiliari e lavorative); più in generale, come strumento, per tutte e tutt@, di prevenzione rispetto alla violenza di genere, di autonomia e liberazione dai ricatti dello sfruttamento, del lavoro purché sia, della precarietà, delle molestie. In tal senso si ritiene assolutamente inadeguato il Reddito di Inserimento (REI) appena varato dal Governo, perché lontano dai principi dell’universalismo, dell’individualità e dell’autodeterminazione: mera misura (peraltro irrisoria) di contrasto alla povertà, rivolto alla famiglia – come sappiamo primo luogo di origine della violenza – e non alla persona, condizionato a un percorso di “inclusione lavorativa”, spesso utile solo alle aziende e alle amministrazioni per sfruttare manodopera a basso costo, quando non a titolo gratuito.”
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