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reddito bimba

Per un reddito di base: dagli anni Novanta del Novecento alla pandemia globale

di Giuseppe Allegri

Come siete venuti in possesso di questa esperienza e di questo meccanismo che costituiscono nove decimi del valore della vostra produzione contro un decimo che è il vostro contributo? Li avete ereditati, non è vero? E questi altri, questi disgraziati fratelli impotenti che voi cacciavate, non erano coeredi con voi?

Bellamy, Guardando indietro: 2000-1887

Le comité concourra à notre régénération, à l’inauguration du luxe communal et aux splendeurs de l’avenir et à la République universelle

Fédération des Artistes, Paris, 13 avril 1871

 

All’inizio della pandemia globale e del necessario lockdown per rallentare il contagio da SARS-CoV-2 e all’indomani dell’adozione del D.L. del 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), da parte del Governo presieduto da Giuseppe Conte (il cosiddetto Governo Conte II, basato sulla maggioranza parlamentare M5S-PD), con Nunzia Catalfo al Ministero del Lavoro e delle Polite Sociali, il Presidente dell’INPS Pasquale Tridico in un’intervista di Valentina Conte a La Repubblica del 17 marzo 2020, notò che tale Decreto (cosiddetto) Cura  Italia «è un bazooka necessario. Ma, se posso aggiungere una riflessione da economista, avrei preferito un Reddito di cittadinanza allargato a tutti, senza le condizionalità di quello esistente. Una sorta di basic income, un reddito di base». Del resto, lo stesso Decreto Cura Italia, all’articolo 40 ha provveduto a sospendere per due mesi le condizionalità al lavoro previste nei confronti dei soggetti fruitori dell’esistente Reddito di cittadinanza (RdC), eliminando obblighi e termini delle politiche attive del lavoro. Un primo, timido, necessario passo verso la riduzione di vincoli e condizionalità del RdC, proprio nel senso di un più ampio reddito di base, sempre meno condizionato possibile. Ce lo diceva già Tridico, oltre un anno fa!

Quattordici mesi dopo, sembra allora di essere dinanzi a una difficile e inevitabile occasione: ripensare l’intero sistema di Welfare, a partire da uno strumento di inclusione sociale universale che permetta alle persone di non sentirsi abbandonate nella lotta comune alla diffusione della CoViD-19. Il necessario isolamento dell’intero corpo sociale non deve essere percepito dalla cittadinanza come lontananza da parte delle istituzioni. Le politiche pubbliche, infatti, dovrebbero garantire sempre maggiore inclusione, protezione, sicurezza sociale, proprio in quei momenti di particolare crisi, individuale e collettiva, nella società, come è il prolungarsi di una pandemia globale che stenta ad allentare la sua morsa, seppure la vaccinazione di massa permetterà una sua – parziale – regolazione.

Dagli anni Novanta del Novecento: un reddito di base al di là dell’impiego, finalmente?

Ma la posta è probabilmente ancora più alta. Si tratta allora di approfittare di questa tragica e inedita situazione sanitaria, sociale, economica – la sindemia che viviamo da oltre un anno, appunto – per innescare una immediata prospettiva di ridiscussione e trasformazione sistemica delle garanzie sociali, in parte già avviata nel decennio appena trascorso, dinanzi alla già diffusa esigenza di ridurre le diseguaglianze nell’epoca della rivoluzione digitale, dell’automazione e della robotica a venire, di quella società automatica che già interrogava in modo radicale l’urgenza di tutele sociali universali, pensando il lavoro e le attività produttive oltre la retorica del tradizionale impiego salariato, per di più sempre più impoverito. E oltre venti anni fa, già si diceva au-delà de l’emploi, come recitava una ricerca proposta dalla Commissione europea e portata avanti sul finire degli anni Novanta del Novecento dal giuslavorista Alain Supiot[1]. In quegli stessi anni in cui André Gorz (in Miserie del presente ricchezze del possibile, manifestolibri, 1997) osservava: «proprio quando il postfordismo e l’economia dell’immateriale si basano su una produzione di ricchezze sempre più disconnessa dal lavoro e su un’accumulazione di profitti sempre più disconnessa da ogni produzione, il diritto di ognuno ad avere un reddito sufficiente, il diritto alla cittadinanza piena, il diritto ad avere diritti restano invece connessi all’esercizio di un ‘lavoro’ misurabile, quantificabile, classificabile, vendibile. […] Sicché ogni manifestazione, ogni cartello che proclama ‘vogliamo il lavoro’, proclama la vittoria del capitale su un’umanità asservita di lavoratori che non sono più tali, ma che non possono essere altro. Ecco, dunque, il cuore del problema ed il cuore del conflitto: si tratta di disconnettere dal ‘lavoro’ il diritto ad avere diritti, in particolare il diritto a ciò che è prodotto e producibile senza lavoro, o con sempre meno lavoro» (ndr: corsivo nostro).

Quel diritto ad avere diritti che da Hannah Arendt all’ultimo Stefano Rodotà (Il diritto di avere diritti, Laterza, 2012), pensatore del futuro, ruota intorno all’esigenza di garantire la dignità umana, come spazio di protezione di una degna vita e di promozione di maggiore autonomia, anche a partire dalla previsione di un reddito di base, appunto, quella democrazia del reddito universale che sempre in quegli anni, proprio il 1997, dava il titolo a un volume collettaneo, con interventi tra gli altri di Claus Offe, Philippe Van Parijs, Marco Bascetta, Giuseppe Bronzini, sempre per i tipi di manifestolibri, ora liberamente scaricabile dal sito del Basic Income Network Italia, qui. E l’anno dopo, era il settembre del 1998, ecco arrivare le Dieci tesi sul reddito di cittadinanza, scritte da Andrea Fumagalli e riproposte con una nuova introduzione anche in questo stesso Quaderno per il Reddito, per recuperare il filo rosso di una ultra-ventennale istanza di emancipazione capace di tenere insieme la prospettiva di solidarietà collettiva e politica generativa, a partire proprio dal reddito di base dal post-fordismo all’economia digitale.  

Il tutto in una congiuntura di ulteriore accelerazione di forme del lavoro digitale, a distanza e da remoto, quindi del materialissimo lavoro di cura e della logistica, che se da un lato necessitano di nuove istituzioni metropolitane, territoriali, le Officine Municipali come luoghi di incontro per nuove forme di solidarietà, socialità, convivialità, contro l’acuirsi di esclusione e insicurezza sociale, dall’altra evocano nuove politiche pubbliche di un Commonfare che ripensi il rapporto tra Welfare and Labour, nel senso di un fare in comune diffuso, orizzontale e di innovazione istituzionale di quella cooperazione sociale altrimenti depredata della stessa ricchezza che produce[2].

Giustizia sociale e reale libertà per tutti: verso il reddito di base, anche con Thomas Piketty

In questo senso la visione deve essere sistemica, di una necessaria «giustizia sociale per tutti»[3], fondata su una reale, concreta libertà per tutti, che proprio la previsione di un reddito di base può garantire, nel senso di uno ius existentiae che tenga insieme autodeterminazione dei singoli e solidarietà sociale, in una prospettiva di rifondazione dell’intero sistema di Welfare in chiave universalistica[4].

Da ultimo, proprio dinanzi alla prolungata congiuntura pandemica che siamo costretti a vivere, è lo stesso Thomas Piketty, con un lungo intervento uscito su Le Monde del 18 maggio 2021, economista autore dei celebri Il Capitale nel XXI secolo (2014) e Capitale e ideologia (2020) a sostenere che la crisi sistemica a causa del CoViD ci impone di ripensare gli strumenti di redistribuzione di ricchezza e solidarietà, proprio a partire dalla centralità del Basic Income, messo in connessione con altre politiche pubbliche che prevedano una Job Guarantee e quindi un’eredità universale, per tutti, come patto tra le diverse generazioni che si alternano sulla Terra come casa comune. Del resto, l’idea di una dotazione originaria, di un’eredità comune per usufruire in modo equo delle ricchezze prodotte e ricevute dalle precedenti generazioni (nella prospettiva di condividere la rendita di questo patrimonio comune), è uno dei fondamenti delle teorie che giustificano il Basic Income, perché «il reddito di base assicura che ciascuno riceva una quota equa del patrimonio che nessuno di noi ha contribuito a creare, dell’ingombrante presente incorporato nei nostri redditi in modo assai disomogeneo»[5]. Ma pensate l’irrazionale dibattito che è stato sollevato contro la timida proposta di Enrico Letta di prevedere una dotazione per i maggiorenni, una sorta di eredità, di dote legata alla tassa di successione, mentre Piketty parla di queste misure – reddito di base, eredità comune, garanzia di un lavoro degno – come essenzialmente complementari tra di loro e non alternative o sostituibili. Si tratta della proposta forse più ampia e organica di revisione di una politica della sicurezza sociale in chiave universalistica e aggiornata all’affermazione di garanzie e tutele adeguate al cambio di paradigma che stiamo vivendo da tempo, dinanzi alla sfida delle transizioni ecologiche, digitali e sanitarie che ci aspettano. Una proposta che dovrebbe parlare a tutte le forze culturali, politiche e sindacali della tradizione progressista che abbiano a cuore l’aggiornamento dei sistemi di Welfare in una chiave meno burocratizzata, più aperta, garantistica ed equa. Una sfida che in parte è stata proposta anche da un gruppo di scienziati sociali, sociologi e giuristi che si sono interrogati sulla possibilità di ripensare l’attuale Reddito di Cittadinanza italiano – dinanzi anche alle modifiche normative citate all’inizio di questo intervento – in una chiave più universalistica, di connessione con le annose problematiche del nostro Paese, nel quadro di nuove politiche pubbliche del lavoro e industriali, nell’ambito europeo di rilancio del modello sociale, con la centralità del Pilastro europeo dei diritti sociali nella Conferenza sul futuro dell’Europa attiva fino alla primavera 2022, e nell’esigenza di affermare un diritto sociale fondamentale al basic income, come ricostruito nel libro collettivo, recentemente pubblicato con la cura di Guido Cavalca e liberamente scaricabile presso l’editore, dall’emblematico titolo Reddito di cittadinanza: verso un Welfare più universalistico?

Art for UBI: l’arte politica dello Universal & Unconditional Basic Income

Si tratterebbe di riannodare questi fili per proporre una visione garantistica di politiche pubbliche ecosistemiche nel presente e nel futuro, per quella società che voglia prendere sul serio l’immaginazione istituzionale di strumenti di protezione sociale al tempo dell’automazione e della necessaria transizione ecologica, in cui proprio il vecchio Continente può tornare ad essere il luogo conflittuale, aperto e produttivo per ripensare solidarietà sociale, promozione dell’autonomia individuale e sicurezza collettiva nel XXI secolo della lotta alle pandemie, al cambiamento climatico, al capitalismo estrattivo delle piattaforme digitali. Con la consapevolezza che anche le classi dirigenti stanno ripensando il ruolo degli interventi pubblici in chiave espansiva e anti-ciclica, dinanzi agli effetti sociali ed economici della sindemia, come testimonia il pacchetto da 2 trilioni di dollari stanziato dall’amministrazione USA del Presidente Joe Biden, il quale, insieme con la Segretaria al Tesoro Janet Yellen, propone una tassa minima globale (Global Minimum Tax) sui profitti delle imprese, una sorta di tassazione complementare prevista nei casi in cui le singole multinazionali sfruttino sedi di Stati a fiscalità agevolata. Si tratta di proposte che invertono la tendenza che ha portato ad “una corsa al ribasso di trent’anni sulle aliquote dell’imposta sulle imprese”, come osservato dalla stessa Yellen. Mentre, nel contesto delle istituzioni euro-unitarie, Margrethe Vestager, già Commissaria alla concorrenza e attualmente vicepresidente della Commissione UE presieduta da Ursula von der Leyen, si batte per una normativa continentale (e auspicabilmente globale) antitrust che sconfigga il monopolio digitale delle Big Tech e quindi per prevedere una EU Digital Tax che permetta di sostenere politiche pubbliche europee espansive. Nel quadro, da sempre auspicato dallo stesso Thomas Piketty, di tornare a ristabilire una equa progressività delle tassazioni, con l’obiettivo di sostenere servizi pubblici di qualità e strumenti di protezione sociale quanto più universali, garantistici, inclusivi e meno condizionati possibili.

Come visto abbiamo alle spalle quasi un trentennio di proposte in questo senso, a partire da un reddito di base come nuova protezione sociale universalistica, e Pasquale Tridico è ancora Presidente dell’INPS ed è ancora dichiaratamente a favore del Basic Income. Nel nostro piccolo, affaticato Paese potremmo intanto dare questo segnale di miglioramento della misura esistente del Reddito di Cittadinanza proprio in una chiave più inclusiva e universale, per evitare il replicarsi di misure parziali, settoriali, inique e insufficienti adottate in questi ultimi quattordici mesi, magari proprio nel senso di quel reddito universale (Universal and Unconditional Basic Income – UBI) che lavoratrici e lavoratori dello spettacolo nell’occupazione primaverile del Globe Theatre a Roma hanno esplicitamente rivendicato come base comune delle loro proposte di lotta e azione.

Perché a volte è l’attività artistica e spettacolare a venire in soccorso di una cronica mancanza di immaginazione istituzionale, come del resto sostiene da tempo l’Institute of Radical Imagination che non ha caso ha proposto, sottoscritto e rilanciato un Art for UBI manifesto, un manifesto delle arti in favore del reddito di base. Potrebbe essere un programma comune, intersezionale: imparare ancora una volta ancora dalle artiste e dagli artisti, da quel sommerso mondo precario e intermittente del lavoro artistico, culturale, spettacolare, ma anche da qualche economista non troppo incattivito o incattivita dalla triste scienza che sono costretti ad indagare.

Nell’anno del centocinquantenario della Commune de Paris 1871 è forse venuto il momento della nostra rigenerazione sociale, nel lusso comune della Repubblica del reddito universale.

 

Note:

[1] Si parla di quello che è oramai considerato come un classico studio di A. Supiot (sous la direction de), Au-delà de l’emploi, LGDJ, 2016 (1999), ripubblicato quindi una manciata di anni fa, studioso del quale è recentemente uscita in italiano una raccolta di scritti dal titolo La sovranità del limite. Giustizia, lavoro ed ambiente nell’orizzonte della mondializzazione (Mimesis, 2020), che ho avuto l’occasione di recensire sulla rivista Munera, 1/2021, e autore con il quale si è confrontato anche il celebre filosofo e scienziato sociale indagatore della società automatica Bernard Stiegler (che proprio qualche mese fa, in piena pandemia, nell’agosto del 2020, ci ha abbandonato), che in B. Stiegler, La società automatica. 1. L’avvenire del lavoro, Meltemi, 2019 (2015), riprende anche i fondamentali studi di André Gorz, un cui passaggio ricorderò a breve, sulla crisi della società salariale, le metamorfosi del lavoro e la connessa necessità di una forma quanto più inclusiva e incondizionata possibile di reddito di base.

[2] Riguardo la prospettiva del Commonfare si veda la proposta di A. Fumagalli, A. Giuliani, S. Lucarelli, C. Vercellone, Cognitive Capitalism, Welfare and Labour. The Commonfare Hypothesis, Routledge, London, 2019, quindi la ricerca collettiva Generazioni Precarie. Una conricerca tra percezione del rischio, bisogni emergenti, welfare dal basso, Università degli Studi di Trento, 2018.

[3] Per dirla con le parole del compianto A.B. Atkinson, Disuguaglianza. Che cosa si può fare?, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2015, spec. capitolo 8, pp. 280 e ss. dove tiene insieme la riflessione tra previdenza sociale, assistenza sociale e reddito minimo, riproponendo quindi la sua visione di un reddito minimo universale, un reddito di partecipazione, non condizionato dall’esistenza di particolari situazioni reddituali, o proprietarie, o economiche (la prova dei mezzi) ma legato solo alla disponibilità di partecipazione ad attività nello studio e nella formazione, nel volontariato, nelle cure familiari, etc.

[4] Riprendendo l’oramai classica ricostruzione portata avanti dal maggiore studioso di Basic Income, il filosofo e scienziato sociale P. Van Parijs, Real Freedom for All. What (If Anything) Can Justify Capitalism?, Oxford University Press, 1997 (sempre gli stessi anni Novanta del dibattito globale sul Basic Income).

[5] Così la classica ricostruzione di P. Van Parijs – Y. Vanderborght, Il reddito di base. Una proposta radicale, Il Mulino, Bologna, 2017, pp. 173-174, dove si riporta anche la proposta di uno dei primi sostenitori del reddito di base in chiave di eredità universale, quel George D.H. Dole che nel 1944 osservava come «l’attuale potere produttivo è in effetti il risultato congiunto delle attività correnti e del patrimonio collettivo costituito dall’inventiva e dall’abilità incorporati nello stadio di avanzamento e di conoscenza raggiunto dalle arti produttive; e mi è sempre sembrato un sacrosanto diritto che tutti i cittadini possano condividere la rendita di questo patrimonio comune e che solo il saldo del prodotto al netto di questa distribuzione debba essere destinato alla remunerazione e all’incentivo degli attuali servizi produttivi» (ivi).

 

Giuseppe Allegri, PhD in Teoria dello stato e istituzioni politiche comparate, attualmente docente a contratto di Diritto costituzionale italiano e istituzioni UE presso il Dipartimento CoRiS di Sapienza, Università di Roma. Si occupa di storia del pensiero e delle istituzioni politiche; diritto costituzionale, comparato ed europeo; trasformazioni del lavoro e innovazione sociale; impresa culturale e artistica, autonomie sociali e locali. È socio fondatore del Basic Income Network Italia e redattore di OperaViva Magazine, scrive su riviste, quotidiani e periodici. Autore di ricerche e pubblicazioni: Il reddito di base nell’era digitale, La transizione alla Quinta Repubblica e, insieme con altri, Questioni costituzionali al tempo del populismo e del sovranismo, Rivoluzione tra mito e costituzione. Quindi Libertà e lavoro dopo il Jobs Act e Sogno europeo o incubo?, con Giuseppe Bronzini; Il quinto stato e La furia dei cervelli, con Roberto Ciccarelli.

 

Tratto da Quaderni per il Reddito n°11, “Verso il reddito di base. Dal reddito di cittadinanza per un welfare universale”, Roma, Giugno 2021 (BIN Italia)

 

 

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