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Perchè un reddito di base in Italia.

di Guy Standing

Piuttosto che respingere tali sfide, il che risulterebbe inutile, si dovrebbe riconoscere che i sistemi di produzione informale e flessibile rappresentano il futuro.

“Le vicende umane sono alla mercé di una marea che, se colta nel suo flusso, mena a lidi sicuri” 1
L’Italia è una società aperta, con un’economia esposta alle forze della globalizzazione. Come tale, la nuova leadership politica, a Roma e in tutto il paese, dovrebbe rivolgersi alle sfide con fiducia ed ingegnosità. Piuttosto che respingere tali sfide, il che risulterebbe inutile, dovrebbero riconoscere che i sistemi di produzione informale flessibile e i nuovi rapporti lavorativi rappresentano il futuro.
Al momento, i policymakers  sono spaventati. Essi vedono il deficit lasciato dall’irresponsabile fiscalita’ del regime berlusconiano. Vedono il crollo del ‘modello sociale’ europeo e la dilagante incertezza nel cuore dell’Unione Europea. Temono l’industria cinese, in quanto essa si espande sempre piu’ nell’export di prodotti di valore sempre maggiore, minacciando I mercati italiani. Vedono le ineguaglianze regionali ferire la struttura sociale italiana e vedono ciò che sembra essere una fragile, delicata coalizione di gruppi politici di centro sinistra che si coalizza piu’ per ciò cui sono contro che per ciò cui sono a favore. In breve, si trovano a fronteggiare forze feroci. La timidezza, o gli istinti di una ‘sinistra tiepida’ possono suggerire precauzione.
Se così fosse, se prendessero l’approccio della sinista tiepida, sarebbe la fine. E’ giunto il tempo di essere coraggiosi, di cogliere il momento per creare il contesto per una politica nuova, che sia in grado di ristabilire un senso di solidarietà e di giustizia sociale.

Quale è la natura della sfida? Sempre più italiani sono obbligati a vivere attraverso una sequenza di lavori precari, con redditi oscillanti, incertezza ed esposizione ad ogni sorta di rischio. Questo non e’ un modo di vivere che contribuisce ad atteggiamenti socialmente responsabili o mentalmente e fisicamente salutari. Nel frattempo, molti altri sono intrappolati o stanno intrappolando se stessi nella spirale del lavoro tanto da perdere prospettive e rischiare, in ogni momento, di essere ‘burn out’. Abbiamo bisogno di riguadagnare controllo sul tempo.
La globalizzazione e i suoi malcontenti

Ansia, insicurezza ed incertezza – questi sono i sentimenti espressi da un vasto numero di lavoratori e da molti altri in tutto il mondo. C’è un consenso crescente circa le ragioni – globalizzazione, consumismo capitalista, disuguaglianza di ogni tipo, insicurezza occupazionale, salari flessibili, erosione e ristrutturazione del welfare state, violenza sociale e mancanza di reti di aiuto sociale2.In tutto questo, i sindacati e le altre organizzazioni collettive mantengono con difficoltà la loro attrazione. Possiamo dolerci di ciò, ed essere sicuri che la società ha bisogno di organizzazioni forti per proteggere e far avanzare i diritti di tutti i suoi membri, e che senza di esse le insicurezze si moltiplicheranno. Ma tutte le forze progressiste devono ripensare il modo in cui relazionarsi al mondo lavorativo. Nel fare ciò, esse dovrebbero avere una strategia per ridare vitalita’ all’egualitarismo,  il che significherebbe fare della sicurezza economica di base la prima pietra di un sistema di diritti economici e sociali. Esse non dovrebbero far dominare sul diritto la retorica di ‘libertà’. E dovrebbero disfarsi dei dogma di paternalismo e lavorismo del XX secolo.
In breve, dovrebbero sostenere la causa di un reddito garantito come un diritto di cittadinanza, come parte di una strategia di ridistribuzione e di sicurezza economica. I Progressisti sono stati più efficaci quando si sono appellati ad una visione del futuro piuttosto che quando si sono aggrappati alle conquiste del passato o hanno solamente espresso deboli proteste contro le iniquità. Dovrebbero cominciare a porsi come avanguardia per una tale strategia, la quale dovrebbe focalizzarsi sulle questioni della distribuzione del tempo.
Stiamo subendo una grande trasformazione, nel modo in cui il sistema economico funziona e nelle relazioni tra le forze economiche e la società. In passato, come mostrato da Karl Polanyi, ogni trasformazione ha creato un periodo di instabilità, in quanto i vecchi sistemi di regolazione, la protezione sociale e la ridistribuzione venivano meno. In periodi di stabilità, questi sistemi aiutano a moderare le insicurezze e le iniquità, in modo tale da permettere alle persone di tollerare le loro sorti, attraverso “l’integrazione dell’economia nella società”. Detto brevemente, quando, dopo il 1945, i democratici si trovavano in una posizione di forza, la tripartizione del sistema e il welfare state hanno eseguito queste tre funzioni in maniera ragionevole. Ma da allora le ineguaglianze e le insicurezze si sono moltiplicate. Sia che il vecchio sistema fosse buono o meno, non esiste possibilità di un ritorno al passato. Il modello sociale Europeo, il quale non è mai stato così buono come alcuni sembrano credere, sta deperendo. La sfida ora è identificare i nuovi sistemi di regolazione, di protezione sociale e di ridistribuzione che mitigheranno le insicurezze pur senza minare il dinamismo economico che sta facendo funzionare l’economia globale. Un indizio per la risposta è che durante ogni grande trasformazione, i lavoratori e i progressisti hanno lottato per ottenere il controllo dei beni chiave. Per esempio, nel periodo feudale la lotta principale era per la terra, mentre nell’era del capitalismo industriale era per i mezzi di produzione, rappresentati dalle fabbriche e dalle miniere.
Quali sono oggi i beni chiave? Di sicuro è il capitale finanziario, l’ambiente (la qualità dello spazio nel quale viviamo) e il tempo (la qualità del tempo nel quale ci sviluppiamo attraverso il lavoro e il divertimento). La base razionale di questa scelta è fornita altrove3 . Per i nostri scopi presenti, è sufficiente suggerire che se si accetta che questi sono i beni chiave sui quali desideriamo avere maggior controllo, allora i progressisti dovrebbero stabilire politiche e istituzioni che ci offrano la prospettiva di ottenerlo.
Il Contesto Globale

Nel riflettere sulla riforma di una politica sociale praticabile e desiderabile, è essenziale considerare due grandi questioni che regolano il contesto.Per essere stabile e prospera ogni società ha bisogno di un sistema di regolazione, un sistema di protezione sociale e un sistema di ridistribuzione per imprimere le forze economiche nella società e per mitigare le insicurezze e le disuguaglianze vissute dalla maggior parte delle persone. La prima questione è: quali sono i sistemi più appropriati di protezione sociale, di regolazione e diridistribuzione per un mondo economico globalizzato?Questo non è lo spazio per cercare di fornire una risposta dettagliata. Ma è importante comprendere quale non è la risposta e vedere quali opzioni sono praticabili. Primo, in un’economia aperta il mezzo di regolazione più efficace contro il lavoro di cattiva qualità e contro politiche sociali scadenti è il forte potere contrattuale dei lavoratori e degli altri ad ogni livello del processo decisionale, il che significa corpi collettivi forti e non solo meccanismi individualistici semilegalistici, sebbene anche di questi ci sia bisogno. È ovvio alla maggior parte degli osservatori che tali organizzazioni collettive non possono fare affidamento sui vecchi modelli; i sindacati hanno bisogno di allargare le loro istanze verso i diritti di cittadinanza.Secondo, in merito alla protezione sociale, i sistemi di assicurazione sociale vecchio stile sono limitati, costosi e mal funzionano in società caratterizzate dalla flessibilità del mercato del lavoro, dalla informatizzazione economica e dalla fluidità della partecipazione della forza lavoro. I sistemi di assistenza sociale basati sul means-test (verifica delle condizioni economiche per concedere o noil sussidio) e i programmi di condizionamento del comportamento come il workfare sono ancor meno attuabili se si desidera promuovere una protezione sociale universale4. I limiti di questi programmi condurrebbero a pensare a sistemi più universali. Quanto al sistema più appropriato di ridistribuzione, in un’economia globalizzata, le imposte progressive dirette possono fare poco e persino i governi progressisti le hanno abbandonate in quanto mezzi di ridistribuzione estensiva. In verità, la politica fiscale è diventata più regressiva, peggiorando la disuguaglianza. Le imposte sul capitale sono state abbassate, quelle sul lavoro sonostate alzate, mentre gli aiuti finanziari per il capitale sono aumentati e quelli per il lavoro sono diminuiti.Questo conduce alla seconda grande questione. Come detto precedentemente, ogni grande trasformazione dipende dalla risoluzione del conflitto sociale per la distribuzione dei beni chiave in quel periodo particolare. Nell’età feudale, la lotta era per la terra; nel capitalismo industriale, la lotta era per i mezzi di produzione, portando a concentrarsi sulla nazionalizzazione dei “vertici” dell’economia. Quali sono i beni chiave nell’era della globalizzazione? Quali sono i beni per i quali i giovani del mondo – ai quali le organizzazioni collettive devono appellarsi se vogliono crescere – vorranno lottare? Detto bruscamente, questi beni sono di sicuro il capitale finanziario e la qualità del tempo e dello spazio, i quali insieme potrebbero garantire sicurezza economica.Il mondo moderno è caratterizzato dalla frenetica ricerca del profitto e del possesso. Reddito e ricchezza sono concentrati sempre più nel capitale finanziario. Se si vuole ridurre la disuguaglianza, bisogna puntare su una maggiore partecipazione di tutti i cittadini, ossia bisognerebbe rinnovare l’interesse verso la democrazia economica. Diritti economici e democrazia saranno di sicuro alcentro del pensiero progressista negli anni a venire. Tra i vantaggi della proprietà collettiva e della estesa proprietà individuale del capitale finanziario ci sarebbe quel controllo sociale, incluso il controllo sui comportamenti irresponsabili dal punto di vista ecologico delle corporations, che verrebbe esercitato sulla sfacciata rapacità dimostrata in modo memorabile dalla Enron, dalla Parmalat e da altri negli ultimi anni.A parte questo, è l’altro bene chiave ad essere più d’attualità, cioè la qualità del tempo.Viviamo una crisi moderna unica, la mercificazione dell’esistenza umana5. La globalizzazione non riguarda solamente la finanziarizzazione ma l’insaziabile consumo manipolato dalla pubblicità costante. In questo, il lavoro inteso come “mezzo” sta trionfando sull’etica del lavoro, la quale rievoca ‘artigianato’, creatività e attività riproduttive. La società dei detentori del lavoro paventata da Hannah Arendt sta guadagnando terreno6. Per sempre più lavoratori esiste qualcosa di simile al vecchio detto sovietico, “Fanno finta di pagarci, noi fingiamo di lavorare”. La nuova variante potrebbe essere, “Fingono che il mio lavoro sia importante, faccio finta di credergli”.Consumare è l’obiettivo. Accanto all’aforisma “compro, quindi sono” si potrebbe aggiungere “lavoro, così posso comprare”. C’è una frenesia implicita: fare sempre più soldi, lavorare più a lungo e più intensamente, portare il lavoro a casa e la casa al lavoro. L’intensificazione del lavoro sta minacciando la nostra capacità di riprodurre uno stato fisico e mentale di benessere. Non solo i giapponesi soffrono di karoshi (morte da eccesso di lavoro). Esiste anche una malattia moderna, il presenzialismo, restare al lavoro, essere “al lavoro” anche quando sarebbe opportuno, per motivi di salute, riposare. Intanto, i perdenti vengono lasciati “con il naso schiacciato contro le vetrine” e a “vagare da soli” nei centri commerciali, dove gli adolescenti e gli anziani “si ciondolano”.Ironicamente, accanto all’intensificazione del lavoro esiste una profonda anomia e passività, incarnate nella visione di reality show e in una serie di intrattenimenti stupidi. Di certo non c’è bisogno di spiegare ad un pubblico italiano le inanità delle televisioni commerciali.Questo quadro può essere un’esagerazione. Ma esiste ciò che si può definire stress esistenziale, un’ansia, un’insicurezza pervasiva. Sempre più persone sentono di non essere soddisfatte, avendo bisogni insaziabili di denaro e di merci. Siamo spinti ad essere “competitivi” in quasi ogni cosa. L’istruzione è valutata solo in relazione ai lavori che procurerà. Lavoriamo per avere di più, non per sviluppare le nostre relazioni o noi stessi, lasciati soli a preservare e a ricreare la bellezza della natura e la società che i nostri antenati ci hanno trasmesso. “Acquistare, possedere, ostentare, scartare!” Queste sono le regole del capitalismo globale.Tutto questo porta ad una compressione del tempo. E quando i giovani guardano a ciò che i loro genitori o coetanei stanno facendo, sono di sicuro nel giusto se pensano che questo non è un gran ché. Ciò che i sociologi chiamano anomia esistenziale aumenta, giacché sempre meno persone appartengono ad una comunità funzionale di lavoratori come ‘classe’ uniforme o come gruppo professionale, sia essa in un sindacato, un’associazione o una cooperativa. Se non appartengono ad una comunità nella quale esiste uno spirito di solidarietà sociale, non c’è regolazione dell’opportunismo e dell’irresponsabilità sociale e c’è una reciprocità più debole tra gli anziani e i giovani, le persone sposate e i singles, e tra i gruppi religiosi e quelli etnici. Anche questa è un’esagerazione, no? Forse, ma il trend dominante va verso una combinazione di insicurezza, stress e anomia, una smania di lavoro (del fare soldi) in un contesto di passività politica e sociale, una forma moderna di panem et circenses, fatta di MacDonalds, centri commerciali e partite viste in tv. È per il rifiuto di questa frenesia che molti di noi si sono avvicinati al movimento Slow Food, iniziato a Roma, e che vede appunto il supporto di molti di noi.Come hanno risposto i principali partiti politici all’insicurezza economica e all’aumento delle disuguaglianze? Sebbene sia stato usato ogni sorta di nome, le risposte principali sono state la “Terza Via” dal lato socialdemocratico, e il “Conservatorismo Compassionevole” dal lato dei democratici cristiani. La prima è emersa negli anni ’90 quando i socialdemocratici ambivano il potere ma erano traumatizzati da una successione di sconfitte elettorali. Era una risposta timida, che accettava la condizione del mercato. Non hanno presentato una visione di ridistribuzione ma una di adattamento alla società del mercato, offrendo una “globalizzazione dal volto umano”. Questorifletteva un’impazienza di raccogliere “consenso”, “dialogo sociale” ed altri simili slogans vaghi e per nulla minacciosi. C’è stata un’enfasi sull'”integrazione sociale”, nella quale la sinistra tiepida non si è opposta al consumismo individuale scatenato dal neoliberismo ma ha cercato di appellarsi alla coscienza dei vincitori nella società del mercato per permettere una moderazione delle forze del mercato, sotto le sembianze dell’assistenza alla povertà.In effetti i nuovi socialdemocratici hanno adottato la posizione liberale di John Rawls, il pensatore politico più influente della fine del XX secolo, quando dicono che il traguardo sociale primario è la riduzione della “povertà”, focalizzandosi sui gruppi percepiti come i meno agiati.Hanno fatto ciò attraverso un modello moralista nel quale il comportamento “socialmente responsabile” di “coloro che rivendicano” è la condizione principale per “acquisire il diritto” all’assistenza pubblica. Alcuni policymakers predicavano i “diritti” ma praticavano le “condizioni a cui si ha diritto”. C’era il linguaggio del pluralismo e della diversità, e poi le politiche della conformità e delle norme. Negli anni ’90, persino quando gestite dai social democratici, le politiche sociali sono diventate più giudicanti, uno sviluppo singolare per la sinistra.
I sostenitori della ‘Terza Via’ contavano sullo stato per raggiungere l’integrazione sociale e la compensazione del mercato (persino il pieno impiego, che ancora si sente di quando in quando), mentre i loro rivali – rispetto agli elettori di centro – del Conservatorismo Compassionevole dicono che questo dovrebbe essere fatto dalla “società civile”, quelle ONG religiose, commerciali e di altra natura che stanno giocando un ruolo sempre più importante nelle politiche sociali in tutto il mondo.Giunti alla prima decade del XXI secolo, è proprio così che ci troviamo: impantanati nell’insicurezza e nella disuguaglianza, senza alcuna prospettiva di porvi rimedio, in cui i principali programmi politici stanno offrendo un paternalistico e moralistico set di politiche con tasse piùbasse, più incentivi al capitale e altri incentivi all’investimento.Chiunque si senta a disagio rispetto alle due varianti della risposta politica principale alla globalizzazione vorrà di certo offrire un’alternativa che possa raggiungere la sicurezza di base per tutti e una riduzione sostanziale delle disuguaglianze. È all’interno di questo contesto che un reddito garantito in quanto diritto di cittadinanza dovrebbe essere considerato. Quel che segue riesamina le principali argomentazioni contro e quelle a favore di questa direzione, ponendo l’accento su come si potrebbe aiutare a promuovere il lavoro nel suo significato più positivo e desiderabile.
Che cos’è il basic income?

In questo contesto generale, tutti coloro che si considerano egualitari e sostenitori della solidarietà sociale dovrebbero sostenere il basic income come un diritto di una società giusta nella quale il lavoro dignitoso potrebbe fiorire. Tradizionalmente, c’è stata qualche riluttanza ad andare verso questa direzione. Comunque, i tempi sono cambiati.Nel 1984, un gruppo di giovani sociologi ha costituito un’organizzazione chiamata BIEN, Basic Income European Network. Da allora, il BIEN ha attirato un vasto settore rappresentativo di membri da tutto il mondo, ognuno dei quali fornisce un modesto contributo. Sebbene l’appartenenza all’organizzazione non obblighi una persona ad aderire ad una visione particolare, la maggior parte crede nella desiderabilità di muoversi verso una società in cui tutti abbiano il diritto ad una certezza di reddito. Sebbene alcuni membri possano essere in disaccordo su alcuni dettagli, quanto segue definisce brevemente ciò che intendiamo.La cosa più importante è che stiamo parlando di una certezza basilare come un diritto economico e sociale. Questo è un diritto repubblicano, o la rivendicazione di un diritto, sviluppato da Rousseau, Thomas Paine e altri. La rivendicazione di un diritto implica che le politiche e leistituzioni dovrebbero muoversi verso una realizzazione di tale diritto. Un diritto – e questo è importante dato il modo in cui sono evoluti negli ultimi anni i dibattiti sulle politiche sociali – è incondizionato in termini comportamentali. Non si può parlare di diritto se sei obbligato a fare x, y e z per poterlo ottenere. Questo non è un diritto. Un diritto è un diritto.Secondo, stiamo parlando di certezza basilare. Basilare significa che deve essere significativa, non un puro gesto, ma neanche troppo da condurre all’indolenza e alla perdita dello stimolo all’agire. Ma soprattutto deve essere abbastanza da permettere di fare delle scelte ragionevoli. Deve essere basilare e deve essere significativa. Terzo, in relazione alla certezza del reddito garantito, il reddito deve giungere in una forma che non sia paternalistica. Non dovrebbe essere dato come atto discrezionale, per la bontà di cuore di qualcuno; non è carità. Deve essere in una forma che permetta di decidere come usarlo. Deve essere individuale ed equo, con integrazioni per coloro che hanno bisogni speciali, per i diversamente abili, ad esempio. Deve essere in una forma che permetta alle persone di fare scelte ragionevoli. Questo è vitale per la promozione della parità di genere.Quarto, il basic income dovrebbe essere considerato come la base di un sistema di protezione sociale, in cima al quale ci dovrebbero essere le integrazioni per bisogni speciali (come quelli legati alla disabilità), la sicurezza di un’assicurazione sociale, così come le indennità professionali contrattate collettivamente.Quinto, il muoversi verso il basic income dovrebbe essere visto come un processo evolutivo, una forma di continuità e non così radicale come alcuni entusiasti trasmettono e a cui molti critici sembrano credere. In molti paesi la maggior parte degli elementi già esiste ed altristanno emergendo. Ciò che renderebbe l’implementazione semplice è l’integrazione dei sistemi fiscali e assistenziali dei paesi, il che si può ottenere presto. Molti di coloro che credono che il basic income puntellerebbe una strategia ridistributiva sostengono un approccio per gradi, introducendo un patchwork dei sistemi esistenti in una base universale. Sono stati proposti diversi percorsi di transizione, alcuni dei quali entrano “dalla porta di servizio” 8.
Alcuni sostenitori credono che l’ammontare del reddito dovrebbe essere inizialmente basso, per poi farlo arrivare ad un livello decente nel momento in cui viene accettato. Altri credono che un reddito garantito dovrebbe essere dato inizialmente a gruppi selezionati ritenuti più vulnerabili alla povertà e all’incertezza, per poi essere esteso gradualmente anche agli altri. Quest’ultima è la strada che è stata intrapresa in Brasile, con i suoi sistemi di renda minima e bolsa escola che sono evoluti nella bolsa familia sotto il Presidente Lula. Altri, come Tony Atkinson, hanno sostenuto un reddito di partecipazione come una fase intermedia in direzione di un reddito garantito pieno, nel quale il lavoro sociale sarebbe una condizione per avere diritto al reddito. L’intenzione, in tutti questi casi, è aiutare a legittimare il concetto presso la classe media. I policymakers possono avere un approccio graduale, convenendo alla natura cauta dei politici moderni e dei loro consiglieri. In Italia si potrebbe iniziare con le donne con figli giovani, tenendo presente il basso tasso di fertilità, e con gli anziani.Infine, il nome in sé non dovrebbe distrarre dall’elemento essenziale dell’idea. Il punto è che stiamo parlando di un diritto economico fondamentale. Altre definizioni a volte usate includono l’assegnazione di un reddito di cittadinanza e di un dividendo sociale. In Sud Africa, dove la confederazione sindacale COSATU svolge attivamente una campagna per il reddito, è stato adottato il termine Basic Income Grant9. In Italia quale sarebbe? Con queste definizioni in mente, analizziamo i tre principi politici che dovrebbero guidarci nel momento in cui pensiamo a politiche ridistributive e di protezione.
Il primo, avvicinandosi a John Rawls, è ciò che può essere chiamato “il Principio della difesa delle differenze”:Una politica o un cambiamento istituzionale è sociale solo se migliora la sicurezza dei gruppi meno sicuri della società.Il secondo principio è quello che io chiamo “il Principio del test del paternalismo”: Una politica o un cambiamento istituzionale è tale solo se non impone controlli sui gruppi meno liberi della società.Questo principio è stato trascurato dai politici e dai loro consiglieri negli ultimi anni sia in Europa che altrove. Esso si riferisce al sistema di workfare e ad altre politiche simili sostenute dai paternalistici e autoritari socialdemocratici e dai cristiano democratici.Il terzo principio e’ cio’ che possiamo definire “il Principio dei diritti non caritatevoli”: Una politica e’ tale solo se limita il potere discrezionale del fornitore dell’indennita’ o del servizio mentre accresce i diritti del beneficiario.
Questo è un principio cruciale, troppo trascurato, nella decade passata, dai politici della ‘Terza Via’ e dalla loro frotta di esperti e consiglieri ben remunerate. Una buona politica permette alle persone di pensare ed agire per se stesse. Non è  una politica progressista limitare le libertà della classe operaia con la pretesa argomentazione che lo stato sa meglio cosa fare o che essa non è in grado di prendere decisioni razionali e responsabili per se stessa. Troppa poca attanzione è stata data alle ineguaglianze dei provvedimenti burocratici. Questo deve cambiare.La proposta di un basic income va quindi considerata come un diritto nel contesto di questi tre principi.
I Conservatori

Prima di considerare i vantaggi del basic income, e le ragioni per cui i sindacati dovrebbero avere un ruolo guida nell’appoggiarlo, affronteremo brevemente le principali obiezioni che sono state mosse negli anni, presentando ogni obiezione e la sua risposta relativa.
Obiezione 1:Un basic income pieno non è stato introdotto da nessuna parte, quindi non può essere giusto.Risposta:(I) Questa obiezione è stata mossa ad ogni riforma progressista e, come ha mostrato Hirschmann, obiezioni di inutilità (non funzionerà), di rischio (comprometterà altri traguardi) e di iniquità (avrà conseguenze non intenzionali) sono quasi sempre state mosse fino a che la riforma non è stata introdotta, per poi dissolversi in qualche modo dopo la sua introduzione10. Nei mesi precedenti l’introduzione in Francia del Revenue Minimum d’Insertion tutti i consiglieri di Mitterand e i commentatori dicevano che non si sarebbe potuto introdurre; qualche mese più tardi, venne accettato da quasi tutti.(II) Manovre in direzione del basic income sono già state introdotte. Oltre al RMI in Francia e in altri paesi, esiste l’Alaska Permanent Fund, che versa un dividendo annuale ad ogni residente dello Stato, e poi ci sono le bolsa familia e sistemi simili in diversi paesi dell’America Latina.

Obiezione 2:Un basic income costerebbe troppo. Richiederebbe tasse più alte, farebbe pressione sulla spesa pubblica e privata e inciderebbe sulla fiducia estera nell’economia.Risposta:(I) Il basic income rimpiazzerebbe molti sistemi esistenti, implicando che ad un’ampia estensione ci sarebbe solamente una questione di sostituzione delle uscite. (II) Parte di qualsiasi incremento nella spesa pubblica netta sarebbe dovuto al fatto che mentre tutti i governi hanno un impegno pubblico per lo sradicamento della povertà, essi adottano effettivamente programmi sottoimpiegati, poiché c’è una bassa richiesta di indennità monetarie apparentemente disponibili. Questo è il caso di quasi tutte le indennità basate sul means-test.(III) L’argomento costi di solito riporta ad una questione di priorità.(IV) L’affermazione che la spesa per il basic income accrescerebbe la spesa pubblica – il che abbasserebbe la fiducia internazionale verso l’economia nazionale – è spesso falsa, come avviene in Sud Africa. Ridurre la povertà con efficacia rappresenterebbe un buon modo di limitare la criminalità e produrre una maggiore stabilità sociale, inducendo così una maggiore fiducia estera.(V) Sono state fatte diverse valutazioni dei costi sia in paesi ricchi che in paesi in via di sviluppo. Esse mostrano che, persino su ipotesi restrittive, un basic income è possibile dal punto di vista economico, e che la sua introduzione comporterebbe, al massimo, un lieve aumento della spesa pubblica o/e un modesto rialzo dei tassi fiscali sui redditi superiori alla media. Per esempio, in Sud Africa, da quando l’African National Congress è al potere, si sarebbe potuto garantire un reddito modesto riformando semplicemente i tagli fiscali per i gruppi con redditi più alti. In Turchia, si sarebbe potuto garantire un reddito se appena un extra dell’1% dal PNL fosse stato stanziato per le spese di protezione sociale11.(VI) Molti sistemi di sicurezza sociale esistenti, come l’indennità di disoccupazione, producono “trappole di povertà” e “trappole di disoccupazione”, attraverso le quali il reddito da lavoro legale viene scoraggiato poiché il beneficiario dell’indennità basata sul means-test guadagnerebbe poco o nulla dall’accettare un lavoro con un salario basso. Una conseguenza della diffusione di tali sistemi è la crescita di un’economia sommersa, che provoca gettiti fiscali più bassi. Un reddito garantito invertirebbe questa tendenza, portando a più imposte fiscali, abbassando in tal modo il costo netto del cambio.
Obiezione 3:Il basic income aumenterebbe l’inflazione da costi.Risposta:(I) La maggior parte delle risposte all’argomento costi, espresse sopra, verrebbero usate anche qui.(II) Il basic income produrrebbe un cambiamento nella struttura della domanda dei prodotti nazionali, allontanandola dai prodotti d’importazione, tendendo quindi ad innalzare il tasso di scambio e attenuando l’inflazione.
Obiezione 4:Un basic income minerebbe il “principio di reciprocità”, secondo il quale solo coloro che apportano un contributo alla società meritano il sostegno della società stessa.Risposta:(I) Questo “principio” è arbitrario, non essendo mai applicato ai ricchi inattivi o a coloro che hanno ricchezze ereditate, i quali non devono mai rimettere niente alla società.(II) Non c’è ragione di supporre che solo un lavoro retribuito sia “dare un contributo”; altre forme di lavoro, come i lavori di cura e i lavori sociali, dovrebbero essere considerate, anche se si pensa che un tale principio sia giustificabile.(III) È un’obiezione paternalista: chi stabilisce cosa si può considerare come lavoro e chi dovrebbe essere preso in considerazione?
Obiezione 5:Il basic income sarebbe un disincentivo al lavoro, incoraggiando l’ozio e la “dipendenza”.Risposta:(I) La maggioranza delle persone vuole lavorare e migliorarsi; è un insulto pensare che sarebbe soddisfatta con un modesto reddito garantito.(II) Un basic income farebbe pressione sulle aziende per rendere i lavori più attrattivi, piuttosto che fare affidamento sulla paura e sull’obbligo di accettare condizioni lavorative mediocri.(III) Faciliterebbe la partecipazione della forza lavoro, abbassando i costi della ricerca di lavoro. Un esempio è dato dall’esperienza della bolsa escola in Brasile. Stime mostrano che il reddito garantito per le donne con figli giovani portava ad un incremento della partecipazione della loro forza lavoro, così come a meno lavoro infantile e a meno povertà tra le donne.(IV) Come già notato in relazione all’obiezione sui costi, attraverso la riduzione delle “trappole di povertà” e delle “trappole di disoccupazione”, un reddito garantito potrebbe incrementare l’offerta di lavoro legale tra i disoccupati e tra coloro che si trovano ai margini della forza lavoro.(V) Negli USA alcuni anni fa è stata introdotta, in via sperimentale e in comunità pilota, una imposta negativa sul reddito (Negative Income Tax, NIT). Il pregiudizio politico è subito intervenuto, prima ancora che i test pilota potessero essere valutati, riflettendo la paura dell’establishment nei confronti degli effetti di emancipazione tra i poveri della politica adottata12. Ma l’intervento politico non si è avuto fino a quando non è stata raccolta una grande quantità di dati sugli effetti del NIT sui lavoratori e sulle loro famiglie. Tristemente, i progressisti non erano sufficientemente consapevoli o interessati alla mobilitazione in difesa di tali sperimentazioni, il che possibilmente riflette la paura da parte dell’anima paternalista della sinistra verso la liberazione potenziale dei lavoratori, fornendo loro una libertà economica reale. Tuttavia, i dati sono stati sottoposti ad uno straordinario numero di valutazioni. Una rassegna di 345 studi ha rinvenuto che non esisteva alcun effetto significativo sull’offerta di lavoro in un modo o nell’altro13. I cinici sbagliavano.(VI) Poiché l’effetto sui gruppi a reddito alto potrebbe essere, al massimo, una lieve diminuzione delle ore lavorative, la misura potrebbe in verità provocare il work sharing, a beneficio dei lavoratori e del mercato del lavoro.
Obiezione 6:Un basic income porterebbe a salari più bassi poiché i datori di lavoro penserebbero di poter pagare di meno.Risposta:(I) I salari sono determinati dal potere contrattuale e se una persona è insicura, sopporterà in modo patetico salari bassi. Il basic income migliorerebbe il senso di sicurezza delle persone e quindi rafforzerebbe la loro posizione contrattuale. Inoltre, il pagamento di “salari di efficienza” significherebbe che se un datore di lavoro pagasse salari sotto lo standard, i lavoratori adatterebbero di conseguenza i loro sforzi e il loro impegno. Non c’è ragione di supporre che un reddito garantito abbia alcun effetto negativo sui salari; potrebbe anzi aiutare ad innalzarli, in particolare quelli posti al limite più basso del mercato del lavoro.
Obiezione 7:Il basic income ridurrebbe la pressione sui governi nel creare lavori.Risposta:(I) In molti paesi non vi è poi tanta pressione!(II) I lavori dovrebbero essere generati dalla adeguata domanda di lavoro e dalla capacità delle persone comuni di richiedere beni e e servizi che generano opportunità di redditi da lavoro. I lavori creati nel loro mero interesse sono artificiali, di solito insostenibili e spesso inducono inefficienza ed “effetti di sostituzione”.

Obiezione 8:Il pagamento del basic income comporterebbe un inutile “rimescolio” di reddito, sborsando denaro per tutti e poi recuperandolo da coloro che pagano le tasse.

Risposta:

(I) Si verifica sempre del rimescolio, ma questo semplificherebbe il processo e lo renderebbe più trasparente ed equo. Attualmente, questa situazione porta alla “conquista da parte della classe media” delle indennità, poiché riesce meglio ad agire i complessi programmi che caratterizzano i sistemi di sicurezza sociale.

(II) La crescente integrazione dei sistemi fiscali e assistenziali è un trend globale, persino in molti paesi in via di sviluppo.

Obiezione 9:Il livello del basic income sarebbe indeterminato e manovrato politicamente, venendo alzato solo prima delle elezioni.

Risposta:

(I) Questa è una questione di governance che potrebbe essere affrontata rendendo il livello indipendente dal governo, attraverso l’istituzione di un’autorità indipendente, come per le politiche monetarie di questi tempi. Oppure potrebbe essere legato alle oscillazioni del reddito nazionale o dei salari medi, come avviene per molti sistemi pensionistici statali.

In breve, alle obiezioni mosse contro l’introduzione di un basic income si può rispondere, se si desidera farlo. Ciò che è importante è che quella reazione ostile e prevenuta venga invalidata e che riusciamo a ragionare su che tipo di società “del lavoro dignitoso” vogliamo promuovere negli anni a venire.

 

I Progressisti

Diversi sono i vantaggi legati all’introduzione di un basic income che i progressisti, compresi I sindacati e I rappresentanti della societa’ civile, dovrebbero promuovere. Questi vantaggi possono essere riassunti brevemente, senza andare per ordine di importanza.

Prima di tutto, il basic income sarebbe una misura sociale che risponde alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo dell’ONU e in particolare all’Articolo 23. Esso darebbe sostanza a quel principio egualitario menzionato all’inizio, fornendo una sicurezza economica di base equa. E’ bene anche che esso sia stato inserito come parte dell’Articolo 1 (il Diritto alla Democrazia Egualitaria) della Carta dei Diritti Umani Emergenti, approvata al Forum di Barcellona del 2004.

Il basic income risponde anche a ciò che abbiamo scoperto essere il sentimento più esteso tra le persone di tutti i livelli del retroterra sociale, ossia che tutti dovrebbero ricevere un reddito adeguato che permetta loro di sopravvivere14. Il basic income fa appello al senso di equità delle persone. Fornendo una sicurezza di base, esso tenderebbe anche a rafforzare il senso di solidarietà sociale. Il bisogno di tale forza non può essere enfatizzato oltre in questo momento storico. Indiscutibilmente, non è mai stato così minacciato o fragile. Se non si possono sviluppare mezzi per rafforzare le varie forme di solidarietà sociale, tutti i collettivi, compresi i sindacati, incontreranno la più grande difficoltà ad attrarre gli altri.

In Canada, USA e Polonia sono stati condotti una serie di test psicologici nei quali alle persone veniva chiesto di scegliere quale principio di giustizia preferivano. Una larga maggioranza ha scelto il reddito garantito. E la maggioranza è cresciuta quando i gruppi hanno riflettuto sulle opzioni, facendo risaltare l’importanza della “democrazia deliberativa”15.

Il basic income aumenterebbe anche la libertà reale o piena. Nella tradizione democratica, alla quale appartengono la maggior parte degli egualitari (e quindi i sindacati), la libertà non è possibile senza l’indipendenza degli individui. Un reddito garantito rafforzerebbe i diritti individuali, ecco perché Thomas Paine era tra i suoi sostenitori. Ciò che i sostenitori della Terza Via dovrebbero ricordare è che una strategia che accresca la libertà è l’unica via sostenibile e ragionevole per indurre comportamenti socialmente responsabili.

Il basic income sarebbe anche una risposta ad una delle maggiori crisi dell’era della globalizzazione e a ridistribuire uno di quei beni chiave identificati all’inizio. Incoraggerebbe le persone ad avere più controllo personale su come usare il proprio tempo16. Chiunque, “a sinistra”, dovrebbe desiderare che le persone povere e più vulnerabili abbiano maggior controllo sui beni chiave della società, e il tempo è uno di questi. Il basic income aiuterebbe a legittimare quelle forme di lavoro altre rispetto al lavoro strettamente inteso, come i lavori di cura e i lavori sociali. Questo è particolarmente importante se desideriamo vedere società nelle quali sempre più persone possano lavorare, nel senso più ricco del termine, attraverso la combinazione di diversi tipi di lavoro e di diverse situazioni lavorative. Analogamente,  faciliterebbe forme più desiderabili di flessibilità del mercato del lavoro. Da una parte, ciò sarebbe possibile permettendo a coloro che si trovano ai margini della forza lavoro di resistere alla bassa produttività e quindi ai lavori pagati poco. Inoltre, come già notato prima, esso incoraggerebbe i datori di lavoro a rendere i lavori più attrattivi poiché i lavoratori potrebbero contrattare con maggior fiducia rispetto alle condizioni lavorative e ai salari.

Altri due vantaggi deriverebbero dall’introduzione di un basic income. Potrebbe lanciare la crescita economica attraverso il cambiamento della struttura della domanda in modo da accrescere la spesa sui beni e servizi locali e migliorare la produttività nelle aree a basso reddito, attraverso il miglioramento della salute, dell’alimentazione e del morale dei lavoratori. Taglierebbe i costi amministrativi grazie al suo facile funzionamento, con meno moduli da compilare, senza criteri discrezionali applicati dalla burocrazia locale, senza processi di ricorso e con una personalizzazione dei trasferimenti che ridurrebbe la complessità del sistema fiscale e assistenziale.

Queste ultime considerazioni possono essere di minore importanza nella strategia complessiva. I punti chiave sono che il basic income aumenterebbe la libertà, renderebbe uniforme la sicurezza di base e faciliterebbe un modello di lavoro più flessibile.

 

Riflessioni conclusive

Questo potrebbe essere un momento stupendo per i progressisti di tutto il mondo. Ci sono periodi in cui a sconfitte seguono sconfitte, in cui il balzo in avanti si arresta o fa temporaneamente marcia indietro. In alcuni periodi si verificano slanci in avanti, quando nuovi movimenti emergono, la paura cambia sponda, i ricchi e i potenti fanno concessioni e una visione di qualcosa come l’utopia entusiasma i progressisti quasi ovunque.

Ci sono epoche che somigliano a quei momenti in cui, in mare, quando la marea sta per cambiare, vi è una strana tranquillità. La forza della corrente che prende una direzione ha preso il suo corso ma l’andamento verso l’altra direzione deve ancora raccogliere forza. Il pescatore astuto sa che questo avviene quando il pesce inizia ad abboccare. Noi stiamo proprio in questo momento.

I progressisti hanno condotto la corsa sia politicamente che intellettualmente dagli anni ’40 agli inizi degli anni ’70. Gli anni ’70 hanno rappresentato un momento di calma in cui le idee reazionarie si sono cristallizzate in una strategia coerente. I progressisti si sono disorientati, hanno perso vitalità e sono andati in ritirata mentre il Thatcherismo e il Reaganismo ci introducevano in un periodo dominato dal “neoliberismo” e dal “Washington Consensus”. Negli anni ’90 i social democratici hanno in parte risposto ma in maniera tiepida, difensiva, chiamando la loro modesta agenda “la Terza Via”, la quale ha generato il “conservatorismo compassionevole”.

La corrente antiprogressista ha di sicuro preso il suo corso. Potrebbe vincere alcune elezioni e le forze della reazione non si arrenderanno. Ma le insicurezze e le disuguaglianze sono diventate rivoltanti e corrosive, alimentando l’instabilità e le reazioni sociali che minacciano la crescita economica e lo sviluppo umano. Dal punto di vista intellettuale la voce progressista sta diventando più forte da quando coloro che vogliono parlare non hanno più paura di essere spazzati via. La timidezza che ha prodotto l’arte di arrabbattarsi e l’eufemismo dei social democratici negli anni ’90 è inadeguata alle sfide del nostro tempo.

Il momento di calma tra le correnti è ancora là. Ma c’è un’enorme opportunità di sviluppare una nuova visione progressista se abbiamo il coraggio di afferrarla e di aprire le nostre menti. Dobbiamo essere più radicali. Bisogna ripensare che cos’è il lavoro che vorrebbero promuovere e quale forma di sicurezza sarebbe meglio promuovere. I politici possono iniziare sottolineando che la violenza sociale si può evitare grazie ad una sicurezza economica di base. Essi devono recuperare il vessillo della libertà totale e non lasciare questo tema al diritto politico. Il basic income darebbe significato a questo. Questo è un momento storico, uno di quelli che arrivano solo ogni qualche decade. Esiste un rischio che le opportunità del pensiero progressista vengano mancate. Comunque, credo che stiamo per assistere ad un nuovo scatto in avanti, uno scatto che la leadership italiana dovrebbe coraggiosamente abbracciare e condurre.  Il basic income sarebbe parte di tutto questo.

 

Guy Standing Co-Presidente del BIEN ((Basic Income Earth Network) e Professore di Sicurezza Economica all’Universita’ di Bath. Director of social economic program of ILO (International Labour Organization).

 

note:

1)  William Shakespeare; Giulio Cesare, IV, iii, 1.11-12

2) Per un’ampia valutazione, v. ILO, Economic Security for a Better World (Ginevra, International Labour         Organization, 2004)

3) G. Standing, Beyond the New Paternalism: Basic Security as Equality (Londra, Verso, 2002); G. Standing (ed.), Promoting Income Security as a Right (Londra, Anthem, 2004)

4) Per i motivi, v. Standing, 2002, op.cit., in particolare i capitoli 6 e 8

5) Per una discussione più ampia, v. G. Standing, Labour recommodification in the new transformation, discorso chiave al Tenth Karl Polanyi Conference, Instanbul, October 13-15, 2005

6) H. Arendt, The Human Condition (Chicago, University of Chicago Press, 1957)

7) Ricordo un consigliere che diceva “Se non si conformano ad atteggiamenti socialmente responsabili, gli verranno negate le indennità e l’accesso ai servizi pubblici”. Il passo è breve per aggiungere “e persino la cittadinanza”

8) A. Atkinson, How Basic incombe is moving up the policy agenda:News from the future, in G. Standing (ed.), Promoting Income Security as a Right: Europe and North America (Londra, Anthem Press, 2004), pp. 41-52

9) Ho proposto anche il termine Solidarity Grant per enfatizzare il contesto post-apartheid. Per un esame dei costi e delle indennità, v. G. Standing e M. Samson (eds.), A Basic Incombe Grant for South Africa (Cape Town, University of Cape Town Press, 2003). In Sud Africa un’ampia coalizione di gruppi sta appoggiando la campagna per un reddito garantito, inclusi gruppi di donne, chiese, sindacati, ONG, organizzazioni di disabili e membri dei diversi partiti politici

10)  A. Hirschman, The Rethoric of Reaction: Perversità, Futility, Jeopardy (Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1991)

11) A. Bugra e C. Keyder, Arguing for basic incombe in Turkey: Main challenges, documento presentato al 10° Congresso del BIEN, Barcellona, Sett. 19-21, 2004

12) Una reazione simile si è avuta rispetto all’Alaska Permanent Fund. I Repubblicani hanno dichiarato di eliminarlo e convertire i beni finanziari in fondi per le società favorite, anche se il Fondo si era dimostrato popolare tra i residenti dell’Alaska e a dispetto del suo successo per più di una decade. S. Goldsmith, 2004, op.cit., pp. 549-62

13) K. Widerquist, A failure to comunicate: The labour market findings of the negative incombe tax experiments and their effects on policy and public opinion, in Standing, 2004, op.cit., pp. 497-538

14) Questo emerge dal nostro People’s Security Surveys [Inchiesta sulla Sicurezza delle persone], condotta in 15 paesi e che comprende interviste con circa 48.000 adulti. ILO, 2004, op.cit., capitolo 12

15) N. Frohlich e J. Oppenheimer, Choosing Justice: An Expèerimental Approach to Ethical Theory (Berkley, University of California Press, 1992). V. Anche i risultati dell’International Social Justice Project, riassunti in ILO, 2004, op.cit., capitolo 12

16) G. Standing, About time: Basic incombe security as a right, in Standing, 2004, op.cit., pp. 1-40

 

Articolo pubblicato su Infoxoa 20  – ottobre 2006

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