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basic income pugno tagliato

Precari, è rivolta sul web

di Arturo Di Corinto

Un progetto on line chiamato WikiStrike. Per riunire tutti i lavoratori senza diritti e sottopagati. Confrontandosi sul «nuovo schiavismo». E sognando «il primo sciopero mondiale dell’era digitale» ‘Wikistrike’ vuole essere denuncia e riscatto, richiesta di cospirazione («co-spirare è respirare insieme»): nel manifesto riecheggiano molti dei motivi che negli anni hanno portato i movimenti sociali a rivendicare un reddito garantito per tutte e tutti, indipendentemente dal fatto che si lavori o meno (vedi la rete BIN – Basic income network), ed è una critica feroce al sistema liberista e al capitalismo familiare del nostro paese che precarizza tutti rendendoci nemici: «I disoccupati diventano nemici degli atipici, che competono con i garantiti, e tutti insieme se la prendono coi migranti», si dice ad esempio.

Un progetto on line chiamato WikiStrike. Per riunire tutti i lavoratori senza diritti e sottopagati. Confrontandosi sul «nuovo schiavismo». E sognando «il primo sciopero mondiale dell’era digitale»

(03 novembre 2011)«Guadagno 500 euro al mese rispondendo al telefono, affitto il desk e faccio fattura come un notaio». «Sono laureata in comunicazione, e passo di lavoretto in lavoretto da tre anni». «Pensa, lavoro in una società di recupero crediti e mi rinnovano ogni mese». «Collaboro saltuariamente con un grande giornale, mi pagano 50 euro a pezzo. E sono fortunato». La disoccupazione giovanile ha toccato vette del 30 per cento e spesso l’unico modo per procurarsi un reddito è di accettare dei “macjob”, lavori precari, sfruttati e malpagati. La precarietà non ti permette di progettare, di pensare al futuro, di immaginarti adulto. Ti fa andare in depressione. O scoppiare di rabbia. E’ per questo che anche i giovani ricominciano a parlare di lavoro. Soprattutto in rete.

Nasce così, da tanti contributi e testimonianze via Web, ‘Wikistrike’,  il primo libro-manifesto di San Precario, il collettivo senza padri, padrini e padroni nato nel 2004 e santificato ogni primo maggio durante la MayDay, la marcia dei precari d’Europa. Il testo stampato e distribuito in molte situazioni collettive, manifestazioni, riunioni e convegni, è un vero vademecum contro la precarietà esistenziale.

‘Wikistrike’ vuole essere denuncia e riscatto, richiesta di cospirazione («co-spirare è respirare insieme»): nel manifesto riecheggiano molti dei motivi che negli anni hanno portato i movimenti sociali a rivendicare un reddito garantito per tutte e tutti, indipendentemente dal fatto che si lavori o meno (vedi la rete BIN – Basic income network), ed è una critica feroce al sistema liberista e al capitalismo familiare del nostro paese che precarizza tutti rendendoci nemici: «I disoccupati diventano nemici degli atipici, che competono con i garantiti, e tutti insieme se la prendono coi migranti», si dice ad esempio.

Non assolve nessuno, il manifesto precario, dal pacchetto Treu che ha portato la precarietà in Italia nel 1997 fino alla legge Biagi del 2007 e al collegato lavoro del 2010, cioè al maxicondono per le aziende che hanno approfittato del lavoro precario.

Wikistrike non si limita a semplici rivendicazioni, è un invito all’azione che denuncia da una parte la disillusione nei confronti delle opzioni riformiste dei difensori del libero mercato, dall’altra, la consapevolezza di quanta ideologia e costruzione del consenso si nasconda dietro le magnifiche e progressive sorti della comunicazione d’impresa e del marketing e, in perfetto stile subvertising, ne ribaltano il segno.

I wikistriker sono infatti fratelli sia degli Steveworkers, i “Lavoratori di Stefano” che oggi hanno un proprio hashtag su Twitter per «decostruire l’apologetica e acritica ricostruzione della figura di Steve Jobs (Stefano Lavori)» il quale, dicono, «nella presunta moltiplicazione degli iPani e degli iPesci« avrebbe reso felice mezzo mondo e schiavizzato il resto. Sono parenti di Lutherblisset, l’agitatore culturale collettivo che, nelle sue varie declinazioni, ha contribuito a creare una contronarrazione delle sorti del capitalismo cognitivo e dell’innovazione tecnologica, a cominciare da quanto raccontato nella newsletter Giap! sullo sfruttamento dei lavoratori cinesi della Apple.

E molti di loro sono gli stessi di #occupyInternet (che manifestano digitalmente su circa 200 siti nel mondo), che sono gli stessi di #occupyWallStreet, che sono gli stessi dei campeggi indignados, eccetera eccetera.

I wikistriker non sono nati oggi. Semplicemente declinano in digitale la rabbia, le utopie e le rivendicazioni dei lavoratori della Silicon Valley di trenta anni fa raccontati magistralmente dalla rivista Processed World (Ribellione nella Silicon Valley. Conflitto e rifiuto del lavoro nel postfordismo, ed. Shake, 1998), snocciolando tecniche di guerriglia semiotica e liste di azioni di sabotaggio da applicare nel mondo del lavoro immateriale. Come? «Immaginate se per un giorno non funzionassero i trasporti, se non arrivassero le merci della grande distribuzione, se si intasasero i call center e i server informatici, se non rispondessimo al telefono. Siete sicuri che quando una cosa non funziona sia casuale? Siete sicuri che non ci sia in azione un wikistriker stanco e sfruttato? ».

Tratto da L’Espresso

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