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Prese di parola per il reddito

di Luigi Sanza

Sono socio del BIN e vi ho già seguito in un paio di incontri, ritengo assolutamente maturo il dibattito e le azioni concrete per  affrontare in Italia la questione del reddito di cittadinanza, che non può essere semplicemente l’adattamento al contesto italiano di pratiche e modelli di welfare nord-europeo, magari dopo aver scambiato il tutto con una destrutturazione dei principali strumenti di protezione del lavoro, vedi attacco ai contratti nazionali di categoria, attacco all’art 18 e quant’altro ci propinerà il cosiddetto governo dei tecnici (oltre a quanto già è stato fatto, almeno dalla seconda metà degli anni ’90 )

Il perseguimento dell’obiettivo del reddito di cittadinanza è già un programma di ricomposizione sociale, se esiste un terreno sul quale si possono incontrare i soggetti sociali vittime di questo terribile trentennio liberista è quello del reddito minimo sganciato da qualsivoglia prestazione lavorativa, formativa o peggio rieducativa.

Quest’ obiettivo mette insieme chi  non ha il lavoro e lo sta cercando, chi lavora ma ha paura di perdere il lavoro, per il lavoratore autonomo con prestazioni discontinue e  per tutti quelli che ormai sentono gravemente minacciate le condizioni materiali del vivere…. E sono tantissimi.

Non credo che si tratti di un obiettivo facilmente raggiungibile, e non tanto per la non sostenibilità finanziaria dello stesso, ma perché tocca uno dei principi  fondanti della società capitalistica, e cioè l’etica del lavoro, meglio ancora,  lo scambio merce lavoro contro salario.

Mai prima d’ora si era mostrata in tutta la sua evidenza la contraddizione fra ideologia lavorista, che in linea di principio sostiene la centralità del lavoro nello sviluppo della persona umana e le concrete politiche del lavoro e meglio sarebbe dire del non-lavoro perseguite dai principali soggetti economici prevalenti.

L’obiezione che sale dai piani alti della politica e dell’economia è : “il reddito di cittadinanza è disincentivante per chi cerca lavoro”, in parole povere perché dovrei lavorare se mi pagano per non  far nulla.

Intanto siamo sul piano dei giudizi morali e quindi non strettamente scientifici, siamo ancora dentro la critica liberista ai movimenti politici e sociali degli anni settanta del secolo scorso, ma queste prese di posizione  non considerano che da molto tempo siamo già oltre, è il capitale stesso che cerca di “liberarsi del lavoro”   e non gli uomini dal lavoro.

In realtà c’è anche (soprattutto ??) una ragione di volgare contabilità dei costi del lavoro, e mi spiego meglio: se esistesse un livello di reddito minimo garantito dalla fiscalità generale perché qualcuno dovrebbe essere costretto ad accettare salari di fame ?, e dico fame non in senso metaforico, perché ormai ci sono persone che pur lavorando sono in condizioni di miseria.

Reddito di cittadinanza quindi come programma politico contro il fenomeno del “working poor”

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