Il Disegno di Legge di Stabilità attualmente in discussione in Parlamento presenta un Titolo III con un’intestazione non propriamente felice, “misure per il disagio”, che tratta di “lotta alla povertà”, ma che sembra destinato ad aumentare “il disagio” ed il disorientamento sul tema dovuto proprio alla mancata previsione di garanzie sociali comparabili con quelle in vigore in tutti i paesi dell’Ue (oggi persino in Grecia). L’intenzione del Governo Renzi sembrava fosse quella di adottare un’unica misura di contrasto alla povertà, almeno secondo Cristiano Gori, tra i promotori dell’Alleanza contro la povertà e sostenitore del Reddito di Inclusione Sociale (REIS), il quale lo scorso 19 ottobre dichiarava entusiasta a proposito delle proposte presenti in Legge di stabilità: «Si tratta del maggior intervento mai realizzato in Italia in questo settore».
Invece, stando all’articolato di legge “al fine di garantire l’attuazione di un Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale è istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un fondo denominato «Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale»”, finanziato per il 2016 con 600 milioni di euro e con un miliardo per il 2017. I primi 600 milioni per il 2016 saranno così ripartiti: 380 per finanziare nuovamente la proroga del programma carta acquisti (social card), che dai Governi Berlusconi è arrivato a noi (si tratta della “celebre” carta acquisti di 40€ mensili – istituita nel 2008 in via sperimentale, rilanciata nel 2012, poi avallata da tutti i successivi governi, prevalentemente per anziani, pensionati, famiglie a bassissimo reddito con minimo 3 figli a carico); i restanti 220 milioni finanziano il nuovo assegno di disoccupazione AsDi.
In effetti siamo di fronte alla proroga quasi decennale di un programma sperimentale (social card) e al finanziamento minimo di una nuova misura come l’AsDi. Quanto di più distante dalla previsione di un unico strumento di lotta alla povertà e soprattutto all’ introduzione di un reddito minimo garantito per le persone, come chiesto da due proposte di legge da troppo tempo sepolte, inascoltate, in Parlamento e che avrebbero bisogno di ben altri finanziamenti per combattere la povertà relativa. Ma anche quanto di più distante dalle richieste dell’Alleanza contro la povertà e del già ricordato REIS che in quanto strumento indirizzato alle famiglie in condizioni di povertà assoluta, necessiterebbe di circa 7 miliardi di euro di finanziamento annui.
La sensazione è che si sia sempre in emergenza, pronti all’ennesimo rinvio, visto che subito dopo queste, invero assai misere, previsioni si stabilisce che per gli anni successivi al 2016 si provvederà al finanziamento di uno o più provvedimenti legislativi “di riordino della normativa in materia di trattamenti, indennità, integrazioni di reddito e assegni di natura assistenziale o comunque sottoposti alla prova dei mezzi, anche rivolti a beneficiari residenti all’estero, nonché in materia di accesso alle prestazioni sociali, finalizzati all’introduzione di un’unica misura nazionale di contrasto alla povertà e alla razionalizzazione degli strumenti e dei trattamenti esistenti”.
Da anni, ricordiamo, si richiede l’introduzione di una misura di contrasto alle povertà e promozione dell’autodeterminazione individuale come il reddito minimo garantito, accompagnato da un reale sussidio universale di disoccupazione e dalla previsione di un salario minimo (promesso quest’ultimo nelle legge delega del Jobs Act, ma poi lasciato decadere).
D’altro canto la situazione non sembra essere migliore al livello dei Governi Regionali, stando alla misura proposta del governatore pugliese Michele Emiliano impropriamente denominata “reddito di dignità”. Il principio universale della dignità in questa proposta, indirizzata a famiglie con reddito inferiore ai 3mila euro l’anno, viene risolto con l’obbligo da parte dei componenti di queste famiglie in estrema difficoltà, di restituire tempo di lavoro ‘comunitario” in cambio di un supporto economico non certo generoso dato che si legge ‘non potrà superare l’importo di 600 euro mensili per un nucleo familiare di cinque componenti’. Siamo all’istituzionalizzazione di una specie di sub cittadinanza parallela e a costruire ancora più marcati stigma sociali.
Appare poi davvero sconcertante la previsione contenuta nell’articolo 7, comma 2 del disegno di legge licenziato dalla Giunta pugliese, secondo il quale il “Red” può essere erogato per un periodo massimo di un anno, dopo il quale interviene una sospensione obbligatoria del beneficio. Se ne deve dedurre che anche la dignità delle persone sia un bene considerato “a termine”, e che possa essere deliberatamente sospesa a discrezione dell’Autorità; provvederà un regolamento d’attuazione a stabilire dopo quanto tempo sarà possibile chiedere ed ottenere di nuovo l’erogazione della misura. Insomma una sorta di ‘ turnazione’.
Gli ultimi tempi ci hanno abituato purtroppo a un sistematico stravolgimento delle parole e delle ragioni sottese all’introduzione di una autentica misura di reddito garantito, ma questo nuovo criterio della turnazione nell’accesso ad un diritto sociale fondamentale è davvero imbarazzante oltre che irragionevole, visto che in tutta Europa le misure di contrasto alla povertà (ed anche il reddito minimo) sussistono sino a quando esiste uno stato di bisogno da parte del percettore.
Eppure una legge di riferimento anche a carattere regionale, la n. 4/2009 del Lazio, che più si avvicina ai modelli europei c’era, anzi meglio, c’è ancora anche se non più finanziata a partire dalla giunta della Polverini fino a quella attuale del governatore Zingaretti.
Un sussulto dovrebbero averlo le Camere del nostro Parlamento riprendendo in mano ad esempio, i progetti di legge per l’istituzione del reddito minimo garantito ne del cosi detto reddito di cittadinanza attualmente presenti in Commissione XI del Senato e componendo un disegno di legge all’altezza della domanda di giustizia sociale nel Paese. Questa era l’aspettativa dei proponenti la campagna “100 giorni per un reddito di dignità” che nella piattaforma sottolineava i contenuti essenziali ed irrinunciabili per garantire un reddito certo e decoroso e quindi salvaguardare la dignità individuale di tutti.
Il rischio invece evidente delle proposte (e delle culture ad esse sottese), del REIS (o RIA) oppure come di quella del Governo pugliese, è che siano solo strumenti punitivi e coercitivi verso i beneficiari, come se la povertà e l’esclusione sociale non fossero in primo luogo il prodotto dei fallimenti di questa società e della sua economia, dell’incapacità del pubblico, del tatticismo del privato, della mancanza di visione della politica.
In chiusura vale la pena ricordare la Risoluzione del Parlamento europeo (2010) che assegna all’istituto del reddito minimo ben altre finalità come la promozione sociale, il riconoscimento delle competenze e rafforzamento della persona, un incentivo all’autonomia a partire dalla libera scelta nel lavoro, il diritto ad una partecipazione “alla vita sociale, culturale e politica”. Siamo anni luce lontani da questi obiettivi, qui in Italia.
L’editoriale per il BIN Report N° 20 (marzo – novembre 2015) a firma del Consiglio Direttivo del BIN Italia pubblicato il 20 novembre 2015.