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Reddito di cittadinanza, le promesse che Di Maio non può mantenere

di Checchino Antonini

La lettura della bozza del decreto legge sul cosiddetto reddito di cittadinanza delude. In particolare delude Bin (Basic Income Network) Italia, studiosi e attivisti in rete in mezzo mondo che si batte per un reale reddito di cittadinanza. Una misura per il controllo e la selezione dei poveri. Chi assumerà un beneficiario per due anni riceverà un contributo non inferiore a 5 mensilità, ricordate gli incentivi del Jobs Act?
Intanto il governo assicura: «I motivi tecnici», come li chiama il premier Conte, che hanno finora rallentato l’iter del decretone su reddito di cittadinanza (RdC) e pensioni sarebbero ormai risolti o quasi. Il provvedimento dovrebbe quindi finalmente approdare in consiglio dei ministri giovedì 17 gennaio, allargando la platea dei beneficiari ad oltre 250 mila famiglie con invalidi, alleggerendo i dipendenti pubblici dal peso dell’anticipo del Tfr e arrivando in tempo utile per far scattare effettivamente le misure chiave della manovra ad aprile, come annunciato. Quello dei tempi non è infatti un problema indifferente, soprattutto per il reddito di cittadinanza per il quale, tra l’altro, Di Maio annuncia «l’obbligo» di spendere l’assegno di 780 euro «entro il mese in cui lo si prende» per aumentare la domanda interna e, con essa, «i posti di lavoro». Di Maio, in attesa di un boom economico anni 60, si prodiga in particolari anche se il forzista Malan dice che non ci sarebbe nemmeno una riga nero su bianco. «Abbiamo costruito un meccanismo per il quale tra lavori di pubblica utilità, doveri di formazione e di accettazione delle proposte di lavoro, chi percepirà il reddito di cittadinanza avrà la giornata impegnata per reinserirsi nel modo del lavoro». Poi, a Di Martedì, ha riconfermato le stime: «Il reddito si rivolge a 5 milioni di persone e 1 milione e 700 mila nuclei familiari: tutti avranno almeno 780 euro, pensionati minimi, invalidi, persone che hanno una disabilità e nuclei familiari» che potranno arrivare a 1.300 euro.

Lo strumento è complesso, coinvolge molti attori (Poste, Caf, Inps, centri per l’impiego) e fare in modo che tutti agiscano con procedure ben oliate e in base alle scadenze previste non sarà impresa semplice. Conte e Tria, il ministro dell’Economia, negano divergenze all’interno del governo ma, ha insistito il presidente del Consiglio, «è normale che ci possa essere qualche tempo in più per affinare».
A mettersi di traverso però era stato Matteo Salvini che, in momenti di tensione interne alla maggioranza dovuti non solo al varo delle nuove norme, aveva minacciato di non votare il provvedimento nel caso in cui non fosse stata risolta la questione disabili. Nell’ultima bozza il problema sembra essere stato superato grazie all’inclusione tra i beneficiari di 254.146 nuclei familiari con invalidi civili, con almeno il 67% di invalidità. Rimangono tuttavia altri nodi sul tavolo, sollevati in queste settimane da esperti e sindacati: come concepito finora il beneficio premierebbe infatti più i single che le famiglie numerose e, allo stesso tempo, disincentiverebbe i lavoratori. A parità di entrate, da lavoro e da reddito, le prime sarebbero infatti tassate e le seconde no. Più che archiviati, i contrasti politici sembrano comunque essersi spostati: dal doppio decreto al dl semplificazioni. Ad accendere il clima, ieri sera, per la prima volta, Alessandro Di Battista ha preso di petto Salvini per la partecipazione alla cena di beneficienza organizzata da “Fino a prova contraria” con la partecipazione di diversi renziani, tra i quali Maria Elena Boschi.

Secondo Andrea Fumagalli, uno degli studiosi del Bin: «Si tratta comunque di un provvedimento che è meglio del nulla o del pochissimo (il Rei) fin qui fatto dai governi precedenti in materia non di sostegno al reddito ma di contrasto alla povertà assoluta. Perché di questo si tratta: di un provvedimento, che per la sua limitatezza e i vincoli imposti non va a incidere in modo significativo sulla distribuzione del reddito, né a invertire la sua polarizzazione, né a garantire la libertà scelta del lavoro in opposizione al ricatto della precarietà. Incide piuttosto a limitare il disagio sociale connesso a situazioni di povertà estrema». Sul sito dell’associazione si spiega che l’obiettivo dichiarato di portare tutti coloro che hanno un reddito inferiore alla soglia di 780 euro mensili appare difficilmente raggiungibile. Con gli stanziamenti previsti, la cifra media che spetta mensilmente a livello familiare sarebbe di 472 euro e, a livello individuale per un numero complessivo di poco meno di 4,94 milioni, numero inferiore ai poveri stimati, di 126 euro al mese. È vero che l’obiettivo della misura è l’integrazione a 780 euro mensili del reddito già disponibile e che quindi non tutti riceveranno l’intera somma. La soglia massima di reddito per chi è proprietario di casa non è più di 780 euro al mese ma di 500 euro. La stima delle famiglie composte da soli stranieri che potrebbero accedere al reddito secondo le tabelle allegate al testo ammonta a 259.000 per una spesa di 1,58 miliardi (18% del totale dei beneficiari, quando i poveri stranieri sono il 35% del totale dei poveri, il doppio). Punto critico, per il Bin, l’obbligo di dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro (Did) da parte dei componenti del nucleo familiare maggiorenni. Ogni disoccupato dovrà aderire anche ad un percorso personalizzato finalizzato all’inserimento lavorativo e inclusione sociale e registrarsi sul sistema informativo unitario delle politiche del lavoro.
Tra gli obblighi: la ricerca attiva di lavoro; la frequenza di corsi di formazione e riqualificazione professionale; sostenere test psico-attitudinali e prove finalizzate all’assunzione; accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue a giudizio del Centro per l’Impiego e non dell’interessato, indipendentemente dalla composizione del nucleo familiare, entro 100 km di distanza dalla residenza del beneficiario nei primi 6 mesi di fruizione del RdC e entro i 250 km oltre i 6 mesi; solo nel caso in cui nel nucleo familiare non siano presenti minori o disabili l’offerta è congrua ovunque nel territorio nazionale. In questo caso il beneficiario di RdC che accetta l’offerta di lavoro ha diritto a ricevere 3 mensilità di reddito di cittadinanza dopo l’inizio del nuovo impiego per coprire le spese di trasferimento. «Ne consegue – osserva Fumagalli – che il soggetto beneficiario è indirettamente obbligato, pena la perdita del sussidio, ad accettare di fatto qualunque offerta viene proposta. E, tenendo conto, che la maggior parte dei poveri (53%) sono situati nelle sole regioni meridionali e la maggioranza dei posti di lavoro si trovano invece nelle regioni settentrionali, è facile immaginarsi lo sviluppo di nuovi flussi migratori, finanziati dallo Stato e a vantaggio delle imprese del Nord».
Così, anziché essere una misura per la ridistribuzione del reddito e la riduzione delle diseguaglianze economiche in nome di una maggior libertà di autodeterminazione del lavoro, il cosiddetto RdC si trasforma «in una sorta di indiretta politica dell’offerta, finalizzata ad incentivare assunzioni sotto qualificate a costi ridotti per le imprese». Basterà registrarsi al portale del programma Rdc e assumere per due anni un disoccupato per ricevere sotto forma di sgravio contributivo la differenza fra 18 mesi di RdC meno le mensilità già fruite (se il lavoratore proviene da un Centro per l’Impiego), oppure la metà della predetta somma sotto forma di sgravio contributivo se il lavoratore proviene da un agenzia del lavoro privata. L’altra metà dell’incentivo spetterà all’Agenzia (privata) sempre sotto forma di sgravio contributivo (Art. 8). Così anche le agenzie interinali avranno la loro fetta di torta.

Il sussidio potrà essere usato per tutte le spese già previste per la cosiddetta Carta Acquisti (pagamento bollette, spesa alimentare ecc.). In tal modo, con l’esclusione di una cifra pari a 100 euro (che potrà essere prelevata in contanti), si potrà monitorare gli acquisti «e intervenire se la spesa viene ritenuta non consona allo stato sociale, sino a poter incorrere in penalità e sospensioni del provvedimento nel caso di spese per il gioco d’azzardo».
In definitiva è la prosecuzione di quella «narrazione tossica» sul reddito che, un anno fa, Sandro Gobetti aveva denunciato in un’intervista con Left. Gobetti, ricercatore sociale indipendente, coordinatore di Bin Italia, spiegò che la tassonomia distingue la famiglia del reddito minimo garantito (Rmg) da quella del reddito di base universale e incondizionato. La prima è uno dei punti centrali del modello sociale europeo secondo cui nessuno dovrebbe scivolare al di sotto di una certa soglia. «In Italia – riprende Gobetti – impropriamente, M5s usa la formula reddito di cittadinanza, per indicare invece il Rmg condizionato all’accettazione di un lavoro. In realtà quel termine apparterrebbe all’altra famiglia, quella per cui il reddito è un diritto umano, come la libertà di parola».

Tratto da Left del 16 gennaio 2019

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