Da almeno 20 anni si è cominciato a parlare di reddito minimo garantito, a dibattere e a combattere contro l’impianto lavorista della società moderna. In questi ultimi anni il dibattito sul reddito è entrato nelle istituzioni e due anni fa è stato istituito attraverso una legge dello stato e denominato “Reddito di Cittadinanza”: circa 780 euro mensili spendibili solo in beni di prima necessità attraverso una card e legato alla ricerca costante del lavoro, “facilitata dai facilitatori”, e alla conseguente accettazione di un lavoro qualsiasi in un determinato tempo, sempre che i “facilitatori riescano a facilitare la ricerca del lavoro” pena la perdita della possibilità di usufruire del reddito di cittadinanza così com’è. Questo modello di reddito ha poco, pochissimo dell’impianto politico/ideologico che si dibatte in una parte dei movimenti sociali, mantiene l’impianto storico lavorista e dichiara una sudditanza dell’individuo sia rispetto al lavoro che rispetto allo stato che magnanimo ti elargisce qualche soldo per mangiare ma che pretende secondo i canoni liberali, che tu ti rimetta in riga con un lavoro, uno qualsiasi ma che tu esca dalla condizione di “parassita” di “debitore verso la collettività” e rientri nella condizione di “produttore” di “bravo e disciplinato lavoratore nella società”. L’impianto ideologico marcio di questo modello di reddito lo si comprende bene nel dibattito delle ultime settimane nel quale da più parti si discute della possibilità di mandare a lavorare nei campi dell’agricoltura i percettori di reddito, in quanto percepiti, come debitori verso la società. Chiaramente il tutto in maniera coatta e senza tenere conto della storia e della vita di chi oggi riesce a sopravvivere solo grazie alla possibilità di avere accesso al “reddito di cittadinanza”.
Negli anni siamo passati dal nominarlo reddito minimo garantito a reddito di cittadinanza, oggi causa crisi da COVID19, reddito di quarantena o reddito di cura. Nomi differenti a seconda delle fasi di attraversamento, qualche sfumatura già intuibile dalla differente denominazione ma sempre un unico impianto di base: Reddito universale e slegato dal lavoro. Ma è proprio in questa fase che abbiamo il dovere di spingerci più in là per esplicitare meglio il senso politico/ideologico del reddito, la pulsione trasformativa del modello sociale alla base della “richiesta” del reddito, la sua funzione rivoluzionaria nelle concezioni sociali (dell’intera società), nei rapporti di potere e anche nell’espressione di classe.
Centocinquanta anni fa, i borghesi e i liberali di allora, combattevano a livello propagandistico il Comunismo e i Comunisti raccontando la frottola che esso(il comunismo) avrebbe diffuso la neghittosità, cioè che gli esseri umani si sarebbero adagiati sul dolce far nulla. Oggi centocinquanta anni dopo gli attori sono gli stessi e la battaglia propagandistica è la medesima solo che al centro della polemica e del fuoco di fila delle armi del capitale sta il Reddito(in ogni sua accezione) e non più il Comunismo nella sua pienezza pratica e ideologica. Questa tesi di fondo, ricordiamocelo, è già stata magistralmente smontata da Marx ed Engels nel “Manifesto”. Questo ci indica quanto sia, per noi, importante approfondire ed esplicitare ciò che sta alla base o che gira attorno al reddito e quanto sia inviso al comando capitalista. Il reddito fa paura, il reddito ha una potenza trasformatrice, ha insito in sé una potenza rivoluzionaria, compositiva. L’avversione e il livore della controparte nell’affrontare l’argomento ce lo spiega meglio di mille parole.
Ma dove si trova questa potenza per noi e questa paura per loro? Si trova nella materialità del Reddito.
Da dove dovremmo prendere i soldi per finanziare e per attuare un Reddito , per di più universalistico? Ogni ragionamento sul Reddito si è scontrato con questo aspetto, per noi centrale, del dove si prendono i soldi. Perché è normale, perchè parlare di Reddito vuole dire parlare soprattutto di soldi, di ricchezza, di distribuzione della ricchezza, e oggi abbiamo il dovere di sciogliere questa ambiguità persistente quando parliamo di Reddito. Il Reddito come è sempre stato immaginato doveva prendere i soldi dalla fiscalità progressiva, tassare un po’ di più i ricchi per raggiungere l’obiettivo. Ma ciò diciamolo, non ha niente di trasformativo, non intacca minimamente i rapporti sociali esistenti, quegli stessi rapporti sociali che invece potrebbero essere rivoluzionati anche attraverso una più profonda battaglia sul Reddito. Oggi in Italia è istituito il “Reddito di Cittadinanza” (il che è già un passo avanti), ma tale arnese è stato istituito da un governo decisamente nemico, costituito da una forza di estrema destra, la Lega, e i CinqueStelle i quali in questo decennio si sono rivelati e affermati come la vera formazione populista del nostro paese incarnandone tutti i difetti, compreso il modello di “Reddito di cittadinanza” messo in campo. Il resto dell’arco parlamentare, i vecchi e i nuovi alleati governativi dei CinqueStelle, la totalità degli opinionisti degli intellettuali liberali della stampa e dalla televisione mainstream, la triplice sindacale confederale, confindustria, le molte associazioni di categoria e le menti di migliaia di cittadini comuni offuscate da decenni di propaganda su efficienza merito e competitività sono decisamente contrari e, anzi, combattono congiuntamente contro tale misura, un unico blocco sociale compatto che non intende mollare neanche un centesimo di elemosina( che è ciò a cui oggi è stato ridotto il Reddito di Cittadinanza).
Questo governo e i governi futuri, con possibili colori differenti ma schierati dalla stessa parte della barricata non ci daranno mai il Reddito come lo vogliamo, probabilmente aboliranno quel poco che c’è oggi. Ma il problema nostro non sta tanto in ciò, sta nella concezione che dobbiamo avere, nessuno ci darà il Reddito universale ce lo dobbiamo solo e unicamente conquistare, solo un governo sostenuto da un blocco sociale differente può praticare la via per un Reddito universalistico. Ci chiediamo dove andremo a prendere i soldi se non vogliamo prenderli dalla fiscalità generale(come invece fa il Reddito di oggi) e fare pagare sempre i soliti. La soluzione è una, I soldi vanno presi da chi ha patrimoni personali di miliardi di Euro fatti sulla pelle dei lavoratori (non crediamo alla favola del bravo capitalista miliardario e filantropo), da chi come il “sig. Campari” che in queste difficili settimane ha pensato bene di spostare la sede legale in Olanda per pagare meno tasse (ricordiamoci che il “sig. Campari” ha un patrimonio di 3,5 miliardi di euro) come già altri prima di lui, da chi in queste settimane ha continuato a fare funzionare la fabbrica (anche se non essenziale) obbligando i lavoratori a produrre a rischio della salute e a generare fatturato e profitto, dalle grandi Coorporation dell’hI-TECH e dai loro profitti miliardari(che venti anni fa quando cominciammo a parlare di Reddito erano agli albori e non ricche e potenti come oggi), dalle rendite miliardarie di borsa… per citare superficialmente alcuni possibili obiettivi dai quali strappare la ricchezza necessaria da socializzare.
Perché quando parliamo di Reddito dobbiamo parlare di socializzazione della ricchezza prodotta dai lavoratori in trecento e più anni di regime capitalista e di concentrazione di capitali nelle mani di pochi a discapito dei più, e sta in questa socializzazione il carattere politico e rivoluzionario del Reddito. La redistribuzione è nulla senza un controllo. Senza andare ad abbattere alle fondamenta il principio di iniquità insito nella produzione e nell’usufrutto della ricchezza sociale non può esistere Reddito universalistico.
Non crediamo che si debba continuare a parlare debolmente di “diritto al Reddito”. Quando il diritto è mera espressione di rapporti di forza, e oggi quegli stessi rapporti sono regolati dalle leggi dello stato liberale. Abbiamo bisogno di reclamare Reddito per reclamare il radicale cambiamento sociale. L’estensione, sia nel dato numerico che qualitativo del dibattito dovuto alla crisi Covid19 e alla conseguente campagna sul “Reddito di Quarantena” ci indica che questo è il momento di osare, è il momento di spingerci oltre e andare a modificare il piano del Reddito. Non si tratta più di incastonare il Reddito sul piano del Welfare il quale, frutto del compromesso storico tra capitale e lavoro dovuto ad anni intensi di battaglie è oggi compromesso, in ridimensionamento a partire dagli anni novanta e che è del tutto saltato a partire dal 2008. Il Capitale è da anni all’offensiva mentre la nostra parte, nonostante la presenza di alcuni settori altamente conflittuali, in ritirata. Senza contare l’evoluzione portata dall’avvento delle nuove tecnologie e dalla crescita esponenziale dei colossi del web che ha generato una nuova accumulazione originaria e che ha determinato l’estrazione di valore dal bios, dalla quotidianità, eliminando quello che una volta era il tempo della riproduzione sociale, cioè il tempo di vita slegato dalla produzione di valore capitalista.
Con ciò crediamo che dovremmo pensare al reddito come parte fondante di una possibile fase di transizione post-capitalista, non solamente come un diritto dell’oggi.