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SCIOPEROSOCIALE

Reddito di cittadinanza, dalle parole ai fatti.

di Area Antagonista Napoletana

Sono passati circa 30 anni da quando i primi movimenti dei disoccupati organizzati napoletani, che allora facevano ingresso sulla scena del conflitto di classe come soggetto organizzato, iniziarono a rivendicare il diritto a “campare lavoro o non lavoro”.  “Il salario garantito”, che prese corpo e sostanza dentro la sinistra di movimento in Italia ed oltre, al di la di alcune specificità, fu tuttavia agitato e concettualizzato più come estensione della rivendicazione del “salario come variabile indipendente” (dal ciclo produttivo ) proveniente dalla ripresa del conflitto di classe dentro la fabbrica fordista, che dai segmenti di lavoro precario che iniziavano ad emergere.  Per questo, probabilmente, anche nei settori politici che fondarono la propria nascita sul rifiuto dell’etica lavorista, le lotte per il salario garantito furono sostanzialmente ancorate ad una visione operista/fabbrichista, che ridusse la battaglia all’aspetto del solo reddito indiretto, trascurando quello legato al salario monetario. In ogni caso le occupazioni di case, l’autoriduzione dei servizi e delle tariffe, che spesso assunsero un carattere popolare e di massa, furono le forme tipiche e straordinarie con cui si espresse la lotta in quegli anni.  Negli anni 80 e 90, seguenti alla fine di quel grande ciclo di lotte di massa, la rivendicazione del salario garantito rimase relegata agli slogan di piazza ed al dibattito teorico della sinistra eretica, le stesse iniziative messe in campo, soprattutto al Sud ed in particolare a Napoli, rimasero confinate in un ambito geografico e politico assai limitato.Oggi assistiamo ad una interessante ripresa della battaglia per la garanzia del reddito, che dopo la stagione delle lotte contro la globalizzazione, rappresenta la vera novità nell’iniziativa dei movimenti. Per la prima volta il Reddito Garantito diventa un obiettivo concreto di lotta, una rivendicazione su cui costruire un’articolata iniziativa sociale e politica, in grado di parlare all’intera società ed assumere dimensioni di massa. Si sviluppano nuovi conflitti e nascono le reti di base del precariato, forse una nuova stagione di lotta appena iniziata. Da un lato, le componenti più dinamiche ed autonome del movimento fanno finalmente propria una visione del conflitto sociale che ritrova nella contraddizione tra capitale e lavoro/non lavoro una delle centralità dell’agire politico, riassumibile nell’iniziativa contro la precarietà del lavoro e della vita; dall’altro, oggettivamente parlando, le politiche neoliberiste stanno producendo un attacco senza precedenti alle condizioni di lavoro e di vita di ampi settori sociali, da imporre perfino nel campo avversario un dibattito sulle nuove forme di welfare, che, ovviamente in questo caso, hanno una radice ed una direzione totalmente diversa, semplicemente opposta.  La sensibilità crescente, dentro le soggettività del movimento ed il tessuto sociale in agitazione, non sta nella banale riscoperta di una parola d’ordine taumaturgica, ma nella concreta realtà di una progressiva precarizzazione del lavoro e di un peggioramento delle condizioni generali di vita di ognuno di noi, del lavoro che c’era e di quello cosiddetto nuovo che nasce, dell’insieme della società che lavora di più e peggio. La disillusione, l’insofferenza, la rabbia tal volta, scatenate dall’applicazione delle politiche neoliberiste nel presente quadro di crisi e concorrenza internazionale, stanno portando alla nascita di piccole e grandi battaglie di lavoratori e lavoratrici precarie nei più diversi settori; dalla grande industria al cosiddetto lavoro cognitivo, passando per i servizi del pubblico, del privato e del terzo settore. Lo stesso sindacato confederale che fin’ora, aldilà delle differenze, ha  favorito la deregolamentazione del mercato del lavoro, corre ai ripari cercando di attrezzarsi per la nuova sfida. Inoltre, con la forte interdipendenza economica e politica dell’unione europea, la battaglia contro la precarizzazione, in conseguenza delle medesime direttive di politica economica e monetaria, per tutte l’ignobile e recente direttiva Bolkenstein, rappresenta anche il piano di un processo ricompositivo più ampio, adeguato alla nuova fase, così come il Reddito Garantito uno degli elementi di una piattaforma continentale.Non sempre, ovviamente, queste lotte, caratterizzate da proprie specificità, assumono in maniera chiara la garanzia del reddito come elemento di rivendicazione centrale, per la “naturale” tendenza a rivendicare prima di tutto la stabilizzazione del lavoro; tuttavia ciò che maggiormente esprimono questi conflitti è la soggettività di nuovi attori sociali, che pur in presenza di un mercato del lavoro altamente differenziante, iniziano a vivere il paradigma della flessibilità come il nemico comune da contrastare.
La precarietà si presenta come il vero carattere unitario del lavoro e della vitaIniziamo col dire che il reddito sociale garantito non può che essere uno degli elementi di una piattaforma di lotta in grado di ricomporre le forze produttive del lavoro. Ovviamente di un lavoro diverso, certamente modificatosi e multiforme, dentro cui è difficile e riduttivo intravedere facili centralità di figure egemoni e trainanti, come poteva essere  l’operaio-massa nei ‘70. L’effetto della complessiva ristrutturazione avvenuta nell’ apparato produttivo, in seguito alla sconfitta di quel ciclo di lotte, come delle modificazioni intervenute nella divisione internazionale del lavoro, hanno prodotto una frammentazione estrema nel corpo di classe, estendendo, intensificando e precarizzando il lavoro. Non è necessario richiamare qui gli studi sulle accresciute potenzialità della cooperazione sociale allargata non retribuita, proprie dell’attuale forza lavoro, o le analisi della produttività insita finanche nei semplici comportamenti di consumo, per capire che tutta la società è al lavoro, perché semplicemente tutti gli ambiti della vita e la stessa natura sono ormai sottoposti e governati dalle leggi del mercato. Non apriamo qui il capitolo della contraddizione tra capitale e natura, a nostro avviso, parte del medesimo processo di precarizzazione ed anche potente fattore di ribellione da parte delle comunità che ne subiscono l’impatto, ma ne segnaliamo l’ urgenza di farlo. Ritornando, il lavoro dipendente cambia forma, luoghi, modalità, ma complessivamente si estende la sua base, come cresce la precarietà che lo caratterizza e lo accomuna in questa fase. Non è un paradosso, ad esempio, pensare che gli stessi disoccupati, in progressivo aumento, vadano considerati più correttamente come lavoratori precari, naturalmente la peggiore precarietà, totalmente al nero, insita nella tristemente nota da queste parti “arte di arrangiarsi” con lavori e lavoretti per sbarcare il lunario. Del resto con doppi e tripli lavori si trovano a fare i conti sempre più giovani e meno giovani, per la saltuarietà e la bassa redditività del lavoro di oggi, relativamente alla giungla della contrattualità atipica fissata dalla legge 30 e precedenti. Per non parlare dell’assenza di garanzie previdenziali, sindacali, ecc, questa si tipica dei nuovi contratti. La precarietà, quindi, nome proprio della flessibilità, tanto invocata a destra come a sinistra, nonostante i ripensamenti da campagna elettorale, si presenta come il vero carattere unitario del lavoro oggi, capace di accomunare le ultime generazioni precarie di nascita, al segmento storico di classe operaia che precaria lo sta diventando, per via di ristrutturazioni, decentramenti, delocalizzazioni, tracolli finanziari, ecc.  La garanzia di un reddito dignitoso, all’altezza del costo della vita, erogato indipendentemente dal lavoro, rappresenta il punto più avanzato di una piattaforma di lotta economica e sociale potentemente ricompositiva, che allude, già nel presente, al superamento della società capitalistica, ma che tuttavia rischia di essere insufficiente se non è affiancato da altre rivendicazioni come: l’ aumento e l’adeguamento dei salari al costo reale della vita, la riduzione generalizzata e drastica dell’orario a parità di salario, la richiesta di nuovo lavoro pubblico, direttamente rispondente alle esigenze comunitarie di migliori servizi sociali o di tutela dell’ambiente.
La rigidità del reddito sociale come risposta alla flessibilità?L’ideologia del lavoro ormai è vecchia per sempre! Di quell’antico mito dello sviluppo, tanto caro alla sinistra tradizionale, non rimane più nulla, perché da sviluppare rimane molto poco, se non nuovi rapporti sociali. La rigidità che va rivendicata è quella del reddito, la garanzia della sua continuità, non certamente del lavoro, con il suo carico di sfruttamento ed alienazione!In questo senso parlare di reddito sociale garantito significa affermare il diritto individuale e collettivo ad un reddito dignitoso ed alla sua continuità, indipendentemente dal lavoro e dalle condizioni di produzione. Se il lavoro è stato fino ad ora, o almeno doveva esserlo dal punto di vista costituzionale, l’architrave dei diritti, la via di accesso alla cittadinanza, oggi, nella mutata condizione economica e sociale, caratterizzata da spaventosi incrementi di produttività non redistribuiti e da un intensiva precarizzazione del lavoro, più che da lavoro aggiuntivo, è il reddito stesso a dover essere la via di accesso ai diritti. Se, infatti, gli incrementi di produttività vengono agiti sul piano della concorrenza internazionale, per salvaguardare i profitti, determinando licenziamenti e precarizzazione, invece che riduzioni di orario, allora il diritto al Reddito Sociale Garantito lavoro o non lavoro deve essere quella nuova garanzia di base per l’esistenza, il nuovo architrave e fondamento della convivenza sociale, rispetto all’attuale sviluppo delle forze produttive.
Il Reddito Sociale GarantitoPer Reddito Sociale Garantito, o come lo si voglia chiamare, intendiamo un reddito composto, articolato da una parte direttamente monetaria ed una componente indiretta sottoforma di gratuità ed agevolazioni nell’accesso  ai servizi, quali sanità, mobilità, formazione/informazione, arte/cultura, acqua, luce, gas, comunicazione, etc., comprensivi del diritto alla casa. Non è importante qui quantificare il livello preciso di queste componenti di reddito, ma affermare che deve essere sufficiente per un’esistenza dignitosa, e non un meccanismo di miserevole welfare, come ad esempio il reddito di ultima istanza del Governo Berlusconi o il recente provvedimento campano del “reddito di cittadinanza”, entrambi a livello familiare.  Per chiarezza ulteriore non possiamo rivendicare un misero sussidio, familistico e caritatevole, per arginare la povertà, ma un vero reddito individuale a carattere universale pari al costo medio mensile della vita e capace di soddisfarre l’intera gamma dei bisogni primari di oggi. Certo possiamo discutere sull’esattezza degli indici ufficiali utilizzati per calcolare il costo medio della vita, dal paniere di beni, alla soglia di povertà relativa, ciò che deve rimanere fermo è la richiesta di un reddito per vivere, che ci liberi dal ricatto della precarietà. In sintesi ciò che va rifiutato è un sostegno economico che faccia da lubrificante definitivo della flessibilizzazione, da corollario di contenimento sociale rispetto alla deregolamentazione e precarizzazione del mercato del lavoro, come auspicherebbero gli economisti neoliberisti. In prospettiva il Reddito Sociale Garantito, con le caratteristiche esposte, deve essere introdotto a livello Europeo.
Chi devono essere i percettori?Il Reddito Sociale Garantito deve essere universale, attuato attraverso un provvedimento legislativo che lo riconosca come un nuovo diritto di base della persona, senza nessun meccanismo premiale ne’ condizionato all’accettazione di un lavoro peggiore. Deve riguardare la generalità dei precari e dei disoccupati che, indipendentemente dalla nazionalità, dal sesso, dalle convinzioni politiche e religiose, non raggiungono quel tot mensile sufficiente a vivere dignitosamente. La cittadinanza non può essere un fattore discriminante nei confronti dei migranti, per cui va tenuto conto della presenza sul territorio, magari la residenza. L’erogazione del reddito monetario e dei servizi deve essere su base mensile, in maniera da salvaguardare la continuità del reddito, senza limitazioni di durata fino all’ottenimento di un reddito da lavoro stabile, naturalmente deve essere coperto anche contributivamente e calcolato ai fini previdenziali. La pensione sociale dovrebbe essere equiparata a tale Reddito, ed ovviamente la pensione minima, sempre che esisterà ancora, non potrebbe scendere al di sotto di questo livello, come del resto la cassa integrazione.
Con quali fondi ? Dovrebbe essere creato un capitolo di bilancio apposito in cui confluiscano fondi nazionali ed europei a copertura del reddito diretto, e fondi regionali a copertura di quello indiretto, costituito da gratuità ed agevolazioni per servizi e casa. Il finanziamento, naturalmente, non può derivare dalla fiscalità generale, ove si tradurrebbe in ulteriori tagli di spesa e privatizzazioni che colpirebbero in definitiva sempre gli stessi.  Deve invece essere il risultato di una nuova redistribuzione della ricchezza socialmente prodotta e trattenuta per gran parte nei profitti, nella rendita e nella speculazione finanziaria che devono essere ridotti in favore dei salari, stipendi, servizi e reddito   sociale. Gli strumenti da utilizzare per il finanziamento della misura sono tanti, come gli studi e le proposte: dalla Patrimoniale, alla tassazione sui profitti o sulla speculazione finanziaria, senza dimenticare i proventi da una seria verifica dell’evasione fiscale, tuttavia il principale problema rimane quello dei rapporti di forza capaci di spingere verso una riallocazione delle risorse in favore del lavoro e della società.
Le proposte di legge  Come già detto, il problema non sono le leggi da proporre, quanto la forza sociale, complessivamente intesa, necessaria a supportarle ed a dargli gambe. Più concretamente la presenza di un movimento ampio e radicale, strutturato a partire dalle RETI DI BASE DEL PRECARIATO SOCIALE, che si fa soggetto. Il nodo da affrontare rimanda, quindi, alla sperimentazione di questi passaggi costitutivi, alle forme ed ai modi per potervici contribuire. Tuttavia avere le idee chiare permette di non delegare a nessuno il piano della proposta politica, significa preservare l’autonomia e l’indipendenza del movimento. In questo senso, tra le diverse proposte politiche presentate in parlamento, si può partire a nostro avviso da quella denominata “reddito sociale minimo”, per modificarla nei punti più critici, magari sostituendo nella proposta, oltre che nel nome, quel “minimo”, che ne riduce notevolmente la capacità ricompositiva. La proposta di legge in questione, infatti, risulta incentrata su un impianto abbastanza slegato dal lavoro, articolata sul reddito diretto ed indiretto, e contempla la necessità di una diversa distribuzione delle risorse. Pericolose e contradditorie ci appaiono invece quelle proposte di legge regionali che non rimandano ad una legge nazionale ed individuano le Regioni come referenti generali della richiesta di reddito diretto ed indiretto, introducendo un discutibile elemento di differenziazione, legato al livello della ricchezza locale. Potrebbe essere utile, piuttosto, utilizzare il meccanismo della legge di iniziativa popolare come elemento di propaganda ed agitazione, tuttavia il problema principale rimane quello del movimento, in sua assenza ogni cosa è carta straccia.
“Un movimento di massa contro la precarietà” per il Reddito Sociale!Un movimento che ha un’ambizione a diventare di massa, o si dà a partire dalla materialità del tessuto sociale, oppure non ha nessuna forza di trasformazione reale. Certo è essenziale il lavoro militante dall’interno,  legato allo sviluppo dell’inchiesta, alla sperimentazione di pratiche, al fare rete, ma non è di per se una condizione sufficiente, perché la ricomposizione non si sviluppa da un giorno all’altro, semplicemente a partire da una condizione comune, quanto nella sedimentazione di linguaggi ed immaginari comuni, di obbiettivi condivisi e magari di qualche battaglia vincente. In questo senso la campagna di lotta intrapresa per il reddito sociale contro la precarietà ed il carovita rappresenta, pur tra tanti limiti, finalmente un fatto concreto, da cui ripartire. La capacità di comunicazione attraverso azioni concrete di riappropriazione, come le occupazioni di case e spazi sociali, l’autoriduzione di tariffe e l’accesso ai servizi, la battaglia al carovita e la creazione di agili strumenti di comunicazione: gli sportelli informativi e di autodifesa dalla  precarietà, costituiscono un prezioso patrimonio da estendere e rilanciare. La cooperazione orizzontale tra le soggettività e le reti esistenti, dalla Rete per il Reddito a Precog, ci appare decisiva per rafforzare la campagna di lotta e perseguire l’obbiettivo di mantenere vivi, spazi pubblici, aperti ed attraversabili, a patto naturalmente di evitare la riproposizione di sterili e stancanti logiche egemoniche, che ingabbiano solamente le dinamiche di movimento. Allo stesso modo vanno evitati gli “inciuci” elettoralistici e le derive neosindacali. Non crediamo che l’obiettivo possa essere raggiunto per via elettorale, nè che la soluzione stia nella sindacalizzazione dei lavoratori precari. Per quanto importante rimanga la difesa sui luoghi del lavoro precario, la battaglia contro la precarietà del lavoro e della vita, per la garanzia e la continuità del reddito, ha un carattere preminentemente politico e si misura sulla capacità di mettere in discussione l’attuale distribuzione delle risorse, i modelli di consumo e di sviluppo dominanti, la qualità, la quantità e le forme della ricchezza sociale prodotta. Per dirla in breve si misura con la necessità di mettere in discussione l’ attuale sistema produttivo, ormai troppo misero per le forze della presente cooperazione sociale.
Con l’aiuto di S. Precario RibelleArea Antagonista Napoletana

Tratto da Infoxoa N° 19 – marzo 2005

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