Il Senato ha approvato l’introduzione del Reddito di Inclusione. Una misura che erogherà circa 400 euro al mese su base familiare, poco più di cento euro a persona, e non arriva a coprire tutti i cittadini in povertà assoluta: dei quasi cinque milioni ne hanno diritto più o meno il 30%. Il provvedimento è finanziato con appena 1,6 miliardi di euro. I beneficiari del Reddito di Inclusione dovranno essere inseriti in progetti personalizzati predisposti da “un’équipe multidisciplinare” per svolgere lavori che si presumono socialmente utile da offrire in cambio del beneficio economico. Questa misura è del tutto insufficiente a garantire un minimo di dignità a quanti ne hanno diritto e nasconde i tagli per centinaia di milioni di euro fatti alle politiche sociali proprio in questi giorni. Siamo lontanissimi da quanto avviene in quasi tutti i paesi europei dove il sostegno al reddito viene garantito rispettando i concetti di dignità esplicitati nell’articolo 34 della Carta di Nizza. Diverse risoluzioni europee hanno condannato il nostro paese proprio per i tagli al sociale e per l’assenza di una misura adeguata di sostegno al reddito che avrebbero evitato l’esplosione di disuguaglianze e povertà. In altri paesi infatti nonostante la crisi i sistemi di protezione sociale hanno attutito e ridotto l’aumento della povertà. Noi invece no! Siamo diventati il paese più diseguale dopo la Gran Bretagna, con il peggior sistema di welfare insieme alla Grecia. Questo dicono le statistiche, le analisi e l’indice Gini che misura la distribuzione della ricchezza. “Nessun cittadino europeo deve scendere sotto la soglia del 60% del reddito mediano del paese di origine”. Questo dice la Cosituzione europea per garantire un minimo di dignità. Se noi italiani siamo come tutti gli altri cittadini europei, facendo i calcoli significa mettere a disposizione una cifra di circa 15 miliardi. Solo così garantisci i diritti di quelli che hanno diritto. Su questa base di tipo europeo avevamo portato avanti due anni fa con centinaia di realtà sociali la proposta del Reddito di Dignità, poi fatta propria dal M5S, da SI e da diversi deputati del PD, e mai discussa dal Parlamento. Una proposta concreta, le cui coperture previste erano garantite anche dall’Istat, che avrebbe dato risposte efficaci ed all’altezza della sfida che abbiamo davanti, contribuendo a rilanciare il paese nel suo complesso. La fiscalità generale serve a questo e le risorse per farlo c’erano tutte, ma sono state impiegate altrove, a partire dai famigerati 80 euro costati 9 miliardi. Interventi che non hanno cambiato la condizioni dei più poveri ma anzi l’hanno peggiorata. Le scelte del governo confermano come le politiche sociali siano state piegate alla logica dell’universalismo selettivo, tradendo gli obblighi della repubblica definiti dai primi articoli della Costituzione, a partire dall’articolo 3. Si poteva e si doveva fare molto di più. Invece il ministro Poletti definisce storica l’introduzione di una misura che ricorda molto le poor laws inglesi dell’ottocento, che istituzionalizza la povertà e punta a coprire l’enorme disagio sociale del paese. Una misura, come dicevamo all’inizio, che tra le altre cose nasconde i tagli ulteriori fatti in questi giorni dei fondi per le politiche sociali e per la non autosufficienza. Il taglio è di 211 milioni di euro al fondo per le politiche sociali, che passa dalla miseria di 311 a 99 milioni, e di 50 milioni a quello per la non autosufficienza, che si riduce ulteriormente da 500 a 450. Concretamente significa che questo provvedimente colpirà asili nido, famiglie in difficoltà, centri antiviolenza, assistenza domiciliare, sostegno a disabili e anziani, edilizia scolastica e sanitaria. Ci è stato detto che bisognava tagliare per “il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica”. Una motivazione che conferma come i diritti sociali ed il diritto alla salute siano subordinati alle priorità dei vincoli di bilancio. Vincoli di bilancio che determinano le scelte della finanza pubblica ormai sganciata dal rispetto dei diritti fondamentali. Una metamorfosi degli obiettivi della democrazia completata con la legittimità costituzionale garantita dal pareggio di bilancio, imposto con la modifica dell’articolo 81. Tutte le culture che hanno contribuito alla Carta sono state schiacciate da una sola: quella liberista. Se chi governa continua a non affrontare seriamente e con altre scelte il dramma delle disuguaglianze e della povertà, dobbiamo farci sentire di più perché evidentemente una parte di responsabilità è anche la nostra se non siamo riusciti a farlo. Non abbiamo molte alternative se non costruire una maggiore consapevolezza nelle realtà sociali e nell’opinione pubblica, comunicare in maniera più chiara e netta, portare avanti lotte che sappiano unire in basso le vittime ed i soggetti che lavorano con le vittime. Oggi più che mai, visto il quadro politico e lo scenario che ci aspetta, abbiamo bisogno di un movimento plurale, inclusivo e popolare che sappia rimettere al centro le lotte per i diritti fondamentali ed allo stesso tempo sia capace di dare risposte concrete sui territori, promuovendo cooperazione, generando solidarietà e protagonismo sociale. Oggi la prudenza non ci apparirebbe solo triste, ma inspiegabile ed ingiustificabile.
Giuseppe De Marzo
Rete dei Numeri Pari www.numeripari.org
Tratto da Il Manifesto – 11.03.2017