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Reddito minimo garantito: ce lo chiede l’Europa!

di MIchele Verolo

La campagna elettorale, non da oggi, è un terreno decisamente fertile su cui coltivare promesse che, il giorno dopo le elezioni, il più delle volte, tendono a finire nel dimenticatoio. C’è un tema che è presente nell’agenda di alcune forze politiche. Si tratta del reddito di cittadinanza. Quando la politica (soprattutto alla vigilia di una tornata elettorale) incontra l’economia, il rischio che si crei confusione è elevato. Proviamo, allora, a mettere un po’ d’ordine.

In “Sai cos’è lo spread? Lessico economico non convenzionale” (qui la nostra recensione), Andrea Fumagalli non menziona il reddito di cittadinanza. Wikipedia lo definisce come “un reddito di base universale pagato a tutti, senza alcun obbligo di attività, per una somma sufficiente a esistere e a partecipare alla vita della società”. È una somma di denaro che ciascuno di noi ha il diritto di percepire per il solo fatto di vivere. E non solo: deve essere tale da garantire la partecipazione attiva alla vita della società.

Sono molti i paesi europei che hanno introdotto una qualche forma di sostegno al reddito: dalla Francia alla Germania, dalla Gran Bretagna a Belgio, Olanda e Lussemburgo, fino ad arrivare ai paesi scandinavi.

Curiosamente, sono solo due le nazioni dell’Unione Europea in cui il reddito minimo garantito è assente: si tratta dell’Italia e della Grecia. Due nazioni che, da qualche tempo a questa parte, si trovano nell’occhio del ciclone di mercati ed istituzioni europee.

Questa vicenda, tra l’altro, è una delle tante per le quali l’Italia è inadempiente nei confronti dell’UE: laraccomandazione 92/441 CEE consiglia agli stati membri “di riconoscere, nell’ambito d’un dispositivo globale e coerente di lotta all’emarginazione sociale, il diritto fondamentale della persona a risorse e a prestazioni sufficienti per vivere conformemente alla dignità umana”.

“Ce lo chiede l’Europa!”, insomma, sembra essere un grido di battaglia valido a giorni alterni: buono per le politiche d’austerità imposte dalla troika, cattivo quando si tratta di votare provvedimenti di natura apparentemente differente. Sul tema, tra l’altro, è recentemente tornato Juncker, esponente del Partito Popolare Europeo, auspicando l’introduzione di un salario (e non di un reddito) minimo.

In Italia, però, qualcosa si sta muovendo. È nata l’Associazione per il Basic Income che – si legge nel sito ufficiale – riunisce “sociologi, economisti, filosofi, giuristi, ricercatori, liberi pensatori che da anni si occupano di studiare, progettare e promuovere interventi indirizzati a sostenere l’introduzione di un reddito garantito in Italia”. E, soprattutto, si è lavorato per la presentazione di una proposta di legge di iniziativa popolare volta proprio all’istituzione di un reddito minimo garantito per tutte e tutti. Al comitato hanno aderito numerosissime realtàassociative, partitiche e sindacali attive in Italia. Mercoledì scorso, al superamento delle 50.000 firme necessarie alla presentazione della legge, è stata convocata una conferenza stampa da cui è emerso l’auspicio che la discussione parta nei primi cento giorni della nuova legislatura.

Non resta che attendere l’esito delle imminenti elezioni, prestando un occhio particolare al risultato di quei partiti che si sono ripetutamente espressi a favore del reddito di cittadinanza. Anche perché – non dimentichiamolo – ce lo chiede l’Europa!

Articolo pubblicato il 20 febbraio 2013 su Via Liberamc.it in merito al tema del reddito garantito e le elezioni politiche in Italia.

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