In una società evoluta l’individuo “donna” come sottocategoria dell’individuo umano non avrà più cittadinanza. Del pari, non vi saranno più distinzioni in base al sesso e/o al genere dei soggetti agenti nella collettività, ma ciascuno avrà un proprio riconoscimento connaturato alla sua natura di essere umano.
Quel giorno – nella speranza non resti una mera aspirazione utopica – non sarà più necessario approntare politiche specifiche a tutela delle donne, così come, per altri aspetti, di coloro che vengono stigmatizzati in ragione del proprio orientamento sessuale, in piena attuazione del principio costituzionale (art. 3 comma 1) della parità di genere, già previsto da un allora illuminato legislatore nel 1948 : <Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso ……..>
Fino ad allora, e dovendo fare i conti con la contingente realtà, le continue notizie che ci giungono dai media, suffragate dall’elaborazione scientifica/statistica dei dati, ci forniscono un quadro piuttosto fosco della contemporaneità. Ovvero, appare obiettivamente esservi una discrasia tra i livelli di reddito da lavoro di uomini e donne attivi, ridotti i secondi mediamente di un terzo rispetto ai primi e che si riverberano nella fase di quiescenza, con trattamenti pensionistici risibili per la platea femminile. Ancor più la forbice delle disuguaglianze tra i sessi si ampia laddove si prenda a riferimento il livello di occupazione, di gran lunga inferiore per le donne rispetto ai coetanei uomini.
Non pare casuale che ad una tale divergenza monetaria e/o mancata autosufficienza economica corrisponda anche un’ altrettanto divergente incidenza in termini di considerazione sociale tra i due sessi, con tutto ciò che ne consegue anche in termini di dipendenza femminile nei confronti dei partners e fino ai casi estremi di incapacità e/o estrema difficoltà di ribellarsi a situazioni di violenza psichica e fisica. Le ragioni sono profonde ed ataviche, dettate da immotivati pregiudizi, retaggi di una cultura patriarcale, forse mai pienamente superate ed avverso i quali si possono, anzi si debbono approntare nuovi strumenti operativi. Tra questi, un nuovo approccio solutivo potrebbe consistere in uno specifico sostegno al reddito femminile, maggiormente incidente in favore delle donne, in quanto inversamente proporzionale alla capienza monetaria del percettore, in un‘ottica di livellamento, quantomeno nel minimo, tra i redditi percepiti dai due sessi.
Tale misura attuerebbe il principio costituzionale delle politiche attive volte a rendere effettivo il principio di uguaglianza tra i generi, quale strumento adottato per intervenire sulle condizioni di partenza per livellare le divergenze realizzando un riallineamento delle condizioni economiche di uomini e donne, se non altro nel livello minimo di reddito garantito indistintamente ad ambo i sessi. Detto intervento troverebbe un supporto legislativo direttamente nella nostra Magna Carta (art. 3, comma 2) laddove si legge : <E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese>.
L’autonomia dell’individuo passa anche attraverso l’autonomia reddituale e nessuna donna sarà mai libera nelle proprie scelte, fintanto ché sarà assoggettata economicamente al partner e/o subordinata al medesimo a causa di un suo minor apporto economico.L’obiettivo ultimo è la parità di reddito tra i generi quale strumento per realizzare una parità tra i sessi di più ampio respiro. Ma per raggiungerla il cammino appare ancora lungo ed irto di ostacoli. Il reddito minimo garantito, può svolgere un apporto notevole a tale conquista, nella misura in cui la sua dazione venga legata in via egualitaria ed universale, a prescindere dal sesso del soggetto ricevente, esclusivamente in misura inversamente proporzionale al livello di capienza economica del percettore. Avere a propria disposizione un quantitativo monetario di cui disporre, anche a prescindere dalla propria attività produttiva e/o semmai a sua integrazione consente a ciascuno di noi (donne e uomini) di essere liberi nelle proprie scelte di lavoro e di vita, non essendo costretti ad acconsentire a condizioni indecorose datoriali e del pari nella sfera privata senza sentirsi soggetti all’altrui arbitrio.
L’autonomia economica – e quindi anche l’apporto che a questa contribuisce un sostegno al reddito- costituisce una spinta da non sottovalutare nel trovare la forza di ribellarci e/o di riprenderci il nostro corpo, il nostro tempo, il nostro spazio, in una parola per far sì che il nostro presente e il nostro futuro dipenda esclusivamente da noi.