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Reddito minimo garantito: pazza idea per la legislatura

di Giuseppe Allegri

Il reddito di base? Ce lo chiede l’Europa. E da più di vent’anni, perché la raccomandazione numero 441 risale al 1992 nella quale l’allora Comunità economica europea ci intimava di adottare questa misura tuttora assente nel nostro paese. Ma sin dai tempi della Prima Repubblica, la gran parte delle forze politiche hanno fatto finta di niente.
Nella campagna elettorale il reddito è emerso qui e li come un’ombra. Il più delle volte declinato nelle maniere più confuse. Bersani l’ha confuso con il «salario minimo» e non è l’unico, purtroppo. Scelta Civica di Mario Monti tradisce una certa ignoranza rispetto al tema, soprattutto quando il Professore parla di politiche sociali per alleviare le «nuove e vecchie povertà nella recessione» e per questo rivaluta l’inutile social card introdotta da Tremonti-Berlusconi e già rifinanziata dal suo governo. E si propone di studiare «come creare un reddito di sostentamento minimo». A parte la vaghezza di questi propositi è proprio la formula utilizzata ad apparire erronea: «reddito di sostentamento minimo» è una perifrasi che non si ritrova in nessun documento europeo, né in alcun Paese dell’Unione europea. Come ha notato Stefano Rodotà in un’intervista a Il Manifesto del 12 gennaio scorso: «Per Monti la vita degli esclusi è pura e semplice nuda vita. Quello di cui noi dobbiamo guardare è l’esistenza libera e dignitosa». Che il Professor Monti debba andare a ripetizione di politiche sociali europee? Non sembra andare diversamente dalle parti del centro-sinistra. Nella carta d’intenti, retoricamente denominata Italia bene comune e siglata da Pd, Sel e socialisti, vengono auspicate politiche di «contrasto alla precarietà» e «alla povertà» e si prospetta una «riforma del Welfare» riferita principalmente, sembrerebbe, alla pur assai rilevante diffusione degli asili nido. Nel patinato programma del PdL la paginetta dedicata al Welfare sembra un misto tra il «modello formigoniano» – cioè un Welfare sussidiario, quello della Compagnia delle Opere – e rigurgiti ultra-nazionalisti. Si arriva a parlare di «ripristino delle opportunità di accesso ai servizi pubblici a domanda individuale per i cittadini italiani». Per Fare – Fermare il declino, la formazione neonata dalla mente estetizzante ed egocentrica di Oscar Giannino fa una previsione dai toni pacatamente universalistici: «tutti i lavoratori, indipendentemente dalla dimensione dell’impresa in cui lavoravano, devono godere di un sussidio di disoccupazione». Ma c’è un corollario non trascurabile: un’universale libertà di licenziamento e la retorica sulla concorrenza panacea di un Paese fondato sulle rendite di posizione, parassitarie e corporative. Tutte condizioni oggetto degli strali del Movimento 5 Stelle, favorevole ad un reddito di cittadinanza intorno ai mille euro al mese per tre anni, per le persone che hanno perso il lavoro. Di «reddito minimo per le disoccupate e i disoccupati» parla Rivoluzione Civile. Sinistra Ecologia Libertà è esplicitamente per il reddito minimo garantito, proprio in base alla proposta di legge popolare per la quale si è spesa. C’è da augurarsi che riesca a farlo capire al Pd, il prima possibile. E allora ecco una modesta proposta, per essere concreti, una volta tanto, a sinistra. Premettendo che la lotta per un nuovo Welfare contro la Grande Recessione è al livello europeo, la sinistra italica potrebbe trovare un accordo, nella palude litigiosa in cui si trova, introducendo nella prossima legislatura una misura quanto più universalistica possibile di reddito garantito di base. Sarebbe una pazza idea, formare una maggioranza parlamentare di sinistra per il reddito di base alla luce della proposta di legge popolare appena presentata? Forse è chiedere troppo. Recuperare trent’anni di ritardo è difficile per tutti. Figurarsi per la sinistra parlamentare che verrà.

Pubblicato su: Il Manifesto 14 febbraio 2013

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