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Reddito per tutti!

di GianMarco Mecozzi

Questo slogan è stato inventato più di dieci anni fa e ha fatto mostra di sé per un decennio nelle strade di mezza Italia, tra proteste radicali ed esaltanti street parade, fino al trionfale momento di gloria del 2003 durante una grande manifestazione nazionale a Roma in cui diventò la parola d’ordine di cinquantamila tra uomini e donne.  Oggi dalle alte sfere del governo, sull’onda della crisi,  proviene l’idea di rilanciare il concetto di reddito minimo garantito. Riteniamo possa essere utile a tutti, e con il fine di chiarire una volta per tutte il significato di questo decennale slogan, la spiegazione corretta di ognuno dei termini della sconvolgente frase.

Reddito: è il fulcro dello slogan, la parola chiave.

Di che reddito si sta parlando? Cosa si intende per reddito? Il reddito di chi? È facile. Lo slogan intende rivendicare una legge che organizzi l’erogazione pubblica di una somma di denaro agli aventi diritto (per quali e quanti essi siano, di quali settore, di quale età vedi sotto alla parola Tutti). Una legge quindi sul reddito garantito.

Per reddito si intende, in questo slogan, proprio questa somma di denaro, che può variare di molto (e la cosa è piuttosto decisiva) e che però deve essere monetaria. Esistono infatti molti modi di erogare reddito indiretto (servizi, trasporti o attività culturali, corsi di formazione eccetera) ma in questo slogan si tratta al contrario di mettere in rilievo la determinazione eminentemente monetaria dell’erogazione. Reclaim your money dice infatti un altro famoso slogan, gemello del nostro.

Di denaro, di money, di quattrini quindi si parla qui, da redistribuire direttamente soprattutto per un paio di motivi fondamentali:

1. l’agghiacciante squilibrio della distribuzione odierna della ricchezza, oggi ancora di più di dieci anni fa, non ha alcun fondamento morale o scientifico: una redistribuzione appare in questo senso necessaria e il reddito risponde egregiamente a questo obiettivo;

2. l’erogazione di un reddito corrisponderebbe a un surplus di lavoro che oggi viene considerato improduttivo ma che in realtà genera valore, e quindi ricchezza; una ricchezza che non viene distribuita a chi la produce ma viene sequestrata, si fa per dire, da chi possiede i mezzi di questa nuova produzione.

In entrambi i casi, come appare chiaro, la legge sul reddito viene qui immaginata e rivendicata come una riforma radicale, ma pur sempre una riforma, diretta a imporre un certo grado di giustizia sociale: il riequilibrio in seno a una forbice economica tra le classi che è diventata col tempo sempre più larga e assurda e il riconoscimento di uno status di produttori nuovo e inedito.

Vi è infine il soggetto sociale che il reddito chiede e rivendica. Soggetto che  dieci anni fa poteva essere considerato scelleratamente secondario, ma che oggi nessuno si sogna di relegare in un ambito minoritario: il precario. Non si capisce appieno infatti l’esigenza e l’urgenza di una legge sul reddito, dieci anni fa come ancora drammaticamente oggi, se non si realizza che essa è direttamente legata allo status sociale del precario.

Il precario infatti è un soggetto caratterizzato proprio dalla discontinuità di un reddito. Tale discontinuità può avere effetti devastanti, nel breve periodo (sottoponendo il precario a impulsi etero-diretti che ne condizionano le scelte) e nel lungo periodo (generando forme di rifiuto del sistema inedite e talora frustranti). In questo senso una legge sul reddito può intervenire su questa discontinuità e così facilitare l’acceso del precario a una maggiore autonomia ed a un più alto grado di autodeterminazione sociale.

In una fase di precarizzazione diffusa del mercato del lavoro come quella che stiamo vivendo e subendo da venti anni, il reddito è l’unica forma giuridica contemporaneamente di difesa e di promozione all’altezza della situazione. Il precario è nello stesso momento  il vero obiettivo di una legge sul reddito ed è il soggetto sociale che da un decennio ne rivendica l’urgenza. E il precario oggi è ovunque.

Per: non a tutti, ma per tutti.

Il reddito, per come è concepito in questo slogan, non è, e non vuole essere né diventare, una proposta assistenziale ma specificatamente promozionale. Il reddito dello slogan Reddito per tutti! promuove il soggetto a cui viene erogato ed esalta le sue capacità, liberandone le potenzialità.  Il reddito libera il precario dal giogo di un mercato del lavoro che riproduce meccanismi di proto-schiavitù. Il reddito libera il giovanissimo lavoratore dall’accettazione di lavori vergognosi e umilianti da cui non riesce più ad uscire. Il reddito libera le esistenze dei cinquantenni espulsi dal mercato del lavoro. Il reddito libera la creatività di quelli che anni fa chiamavamo procacciatori di reddito: teste esauste occupate a cercare continuamente lavori e redditi in un circolo vizioso apparentemente interminabile.

Il reddito non comprime, ma esalta; non assiste, ma libera.

Il reddito non è una carità, quindi, ma un diritto liberante, futuribile. Il reddito non viene erogato a te: ma per te. E quindi non ha, né deve avere, condizioni, e deve esser erogato senza alcuna richiesta all’utente, deve cioè essere, per il nostro slogan, sganciato dalla prestazione lavorativa e assolutamente incondizionato.

Tutti: il reddito del nostro slogan è un reddito universale, da erogare a cioè a tutti, indistintamente.

Dal Presidente della Repubblica all’alcolizzato del bar sotto casa (per dire: la domanda che gli impenitenti redditisti di mezzo mondo si sono posti negli ultimi anni ha riguardato l’eventualità dell’accesso al diritto anche all’ipotetico surfista di Malibu) tutti potranno accedere a questa forma di reddito.

Solo in questo modo infatti una legge sul reddito potrà essere coerente con i principi di uguaglianza che la guidano. Solo in questo modo riuscirà a produrre opportunità e ricchezza e non emarginazione e disuguaglianze sociali. E solo in questo modo sarà possibile pensarlo e agirlo come un diritto nuovo, e come tale,  condiviso da tutti.

In ultimo, e sopratutto, l’universalità dell’erogazione fa giustizia anche del principio per il quale la fabbrica è ormai diffusa capillarmente sul territorio e la produzione del capitale è ovunque, anche e sempre di più nelle relazioni e negli spazi sociali dove per essa non viene corrisposto alcun salario.

Siamo tutti in produzione ergo: abbiamo tutti diritto a un reddito.

! punto esclamativo: vale a dire, ora.

Il punto esclamativo sta a significare che una legge nazionale sul reddito bisogna farla adesso. Significa che non c’è più tempo e che alla sconvolgente tenaglia che stringe gli italiani, tra riforme dissennate e precarizzazione diffusa, bisogna dare una risposta dal basso, una risposta reale e concreta, ora.

Il punto esclamativo, che dieci anni poteva rappresentare un grido di esaltazione, di novità e anche di prorompente gioia, oggi sta a segnalare una urgenza ormai irrimediabile: un punto esclamativo di rabbia.

Dal 2003 a oggi: reddito per tutti, ora!

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