Riteniamo tuttavia che la proposta debba essere meglio specificata: in primo luogo, occorre chiedersi chi sono oggi i destinatari. Si parla genericamente di disoccupati, alludendo a colui o colei che non è messo in condizioni di lavorare, pur volendolo. Chi è fuori dal mercato del lavoro ed ha quindi bisogno di reddito. Come potremmo definire allora un lavoratore precario quando passa da un lavoro ad un altro? E’ fuori dal mercato oppure è dentro il mercato del lavoro ma fuori da ogni garanzia? Ecco quindi che l’idea di affrontare una ‘lotta alla disoccupazione’ senza tener conto delle modificazioni produttive avvenute può portare fuori strada. Ma c’è di più. Per i precari il ricatto continuo si gioca sull’unica opportunità possibile che si presenta, a prescindere dal tipo di contratto, dalla durata e dal salario percepito. In questa condizione il reddito garantito dà forza alla contrattazione e sopratutto aiuta a liberare tempo per non sottostare al ricatto del lavoro purché sia e cercare invece opportunità migliori (ricordiamo la ‘promessa’ della Lisbon Agenda di aiutate tutti a trovare il ‘proprio’ contributo produttivo alla crescita comune).
Per quelli che vengono definiti ‘disoccupati’, proprio come per i precari, il ricatto è lo stesso, solo che si muove dentro un mercato altrettanto potente, quello senza regole minime, il lavoro nero. Tutti e due i soggetti, se vogliamo leggerli ancora con lo sguardo di chi intende pensare a soggetti diversi, hanno la necessità immediata di un reddito garantito per rompere questo circuito perverso. Di fatto, oggi il disoccupato non è più chi non riesce a trovare lavoro, ma piuttosto chi, pur lavorando non percepisce un reddito sufficiente (per una vita dignitosa). La vera emergenza, per tutti, è quindi la carenza di reddito. Chi lavora, chi ha un contratto atipico, chi tutti i giorni è impegnato in attività di formazione, di apprendimento, di relazione, di fatto svolge una prestazione produttiva e, nella maggior parte dei casi, tale attività produttiva non viene riconosciuta né remunerata e si trova in condizioni di gravi difficoltà economiche. A livello europeo, si sta discutendo di proposte per garantire continuità di reddito minimo e il diritto alla copertura dei bisogni essenziali viene garantito dalle Carte sociali europee e dalla Carta di Nizza. E’ un primo passo, rispetto al quale l’Italia (che notoriamente non ha alcun dispositivo di reddito minimo) deve adeguarsi. Un primo passo è una riforma degli ammortizzatori sociali che vada in questa direzione.
Attualmente, al contrario di ciò che afferma il ministro Brunetta, il sussidio di disoccupazione, oltre che essere miserevole, può essere erogato solo a chi negli ultimi 24 mesi ha pagato contributi sociali per 52 settimane lavorative (ovvero solo a chi aveva un contratto di lavoro a tempo indeterminato), oppure ai dipendenti subordinati delle medie-grandi imprese grazie alla Cassa Integrazione. I precari sono ovviamente esclusi. Il dibattito che si è avviato sulla proposta Franceschini è una apertura al tema del reddito garantito sul piano nazionale. Ma è altrettanto necessario che questo dibattito, anche perchè in prossimità delle elezioni europee, si sviluppi al fine di porre la questione della garanzia di reddito per tutte e tutti come nodo centrale delle nuove politiche del lavoro e sociali europee, come simbolo di una solidarietà paneuropea.
Il nodo del finanziamento di un nuovo welfare adeguato alla realtà del lavoro vivo presente nel nostro paese può essere facilmente risolto: oltre la questione dell’evasione fiscale, bisogna pensare che in Italia molti cespiti di reddito (da quello relativo al possesso di titoli finanziari, allo sfruttamento di posizioni di rendita e di localizzazione, alla rendita da proprietà intellettuale, all’uso privatistico del territorio solo per citare alcuni esempi) non sono soggetti a tassazione o lo sono in misura limitata. In ambito europeo si è da tempo suggerito che gli iniqui e immorali aiuti della politica agricola comune (PAC), che affamano il terzo mondo e consentono sacche di rendita agraria sovvenzionata, siano aboliti e che le relative risorse siano convertite per finalità sociali. Ancora in questi giorni è stata lanciata l’idea del finanziamento di un sistema continentale di flexicuriy alla cui base vi sarebbe la garanzia dei bisogni essenziali, attraverso la creazione di eurobonds che la forza dell’euro potrebbe imporre al mercato.
Il presidente americano Obama vuole introdurre un incremento dell’aliquota fiscale del 2% per i redditi superiore ai 100.000 dollari per finanziarie il progetto di sanità pubblica. In Gran Bretagna, il governo Brown si sta muovendo nella stessa direzione. In Italia, i depositi bancari sono tassati con aliquote superiori al 30% mentre le rendite finanziarie con ritenuta d’acconto del 12%. Su come finanziare un reddito garantito non c’è molto altro da aggiungere. Riteniamo pertanto che la straordinaria risonanza avuta in questi giorni dalla proposta dell’assegno ai disoccupati vada nella giusta direzione, non solo perchè dà dignità ad un dibattito che sembrava fino a poco tempo fa, anche agli ex governanti, sterile ed utopistico, ma anche perché apre le porte ad una possibile e necessaria riforma del welfare che comprenda la questione del reddito garantito. In questo senso riteniamo che prima o poi sarà necessario porre con ancora più forza la questione del reddito come diritto di cittadinanza, come reddito di esistenza.
Uno sguardo al dibattito di questi giorni. Per darvi un assaggio del dibattito in corso, del coinvolgimento di esponenti di destra, tutti contrari, e sinistra, con proposte diverse, di economisti, sociologi e quant’altro sul tema, vi consigliamo di andare sul sito del Bin-Italia in cui abbiamo raccolto una serie di risposte. I link che troverete dimostrano in quanti ne stiano parlando e dove ne stanno parlando: siti di informazione giornalistica, istituzionale, blog, siti sindacali, insomma ovunque.
Ed in tempi di ronde, che la centralità del sostegno al reddito possa far tornare a parlare di politica, a partire dal riconoscimento di un nuovo diritto, non è poca cosa.
Il consiglio direttivo del Bin-Italia