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Risalire la china dopo la catastrofe morale della controriforma del reddito di cittadinanza: un progetto condiviso per un reddito di libertà

di Giuseppe Bronzini

La destra è riuscita ad archiviare il Reddito di cittadinanza: l’Italia non ha più una misura universalistica di contrasto al rischio di esclusione sociale coerente con le indicazioni sovranazionali e con la Carta dei diritti (art. 34.3) o con la Carta sociale (artt. 30 e 31). Centinaia di migliaia di beneficiari del RDC (secondo la relazione tecnica più di 600.000), quasi tutti in situazione di povertà assoluta escono dalla protezione dei minimi vitali; viene archiviato il principio dell’offerta “congrua” di lavoro: per chi può lavorare (in astratto, non in concreto) sarà obbligatorio accettare anche un’offerta part-time e di un solo giorno ed ad ottanta km dall’abitazione. Si tratta di una catastrofe equitativa senza precedenti, di un protervo e violento attentato alla dignità degli ultimi, esito di una campagna di colpevolizzazione dei cittadini in difficoltà che le forze progressiste non sono riuscite per tempo a domare e con la quale troppo spesso sono state tolleranti. Per recuperare un minimo di credibilità quel che resta di un pensiero di sinistra e della trasformazione sociale deve compiere un’autocritica convinta ed abbracciare le ragioni di un nuovo welfare orientato alla libertà ed all’autonomia delle persone e non al loro disciplinamento e costrizione al lavoro.

 

1. Premessa

Il 27 maggio finalmente una rete di circa 200 associazioni civuoleunreddito è scesa in piazza a Roma per protestare contro il decreto n. 48 del 2023 che ribattezzerei “indegnità” chiedendo anche alle forze di opposizione una battaglia per bloccare o cambiare radicalmente il decreto con modalità combattive e nell’alleanza stretta con la protesta della società civile. Un lento lavoro di tessitura di una Carta dei principi per un reddito garantito[1]) tra queste associazioni ha offerto una piattaforma credibile con una serie di punti irrinunciabili (anche per il futuro) che richiamano spesso le Raccomandazioni dell’Unione e le Risoluzioni del suo Parlamento nonché la giurisprudenza più illuminata delle Corti degli stati membri, come il Tribunale costituzionale tedesco. Alla manifestazione hanno aderito ufficialmente il PD, Sinistra italiana, 5 stelle (i cui gruppi dirigenti hanno anche ricevuto rappresentanti della rete); su Repubblica del 27 maggio è comparsa un’intera pagina con l’adesione della CGIL. Certamente non è stato un corteo oceanico, ma comunque di buona partecipazione considerati anche i tempi, ma si è trattato di un evento assai promettente dal punto di vista politico; nella piattaforma sono chiaramente indicati i termini, anche giuridici, di un riscatto delle forze progressiste con la formulazione di una nuova misura universalistica dai tratti garantisti e di promozione delle capacità dei cittadini dei soggetti[2]. Una nuova misura che, mi perdonerete l’espressione hegeliana, sappia «conservare superando» gli elementi propri del RDC eliminando in radice alcune soluzioni costrittive di condizionamento (con sanzioni piuttosto energiche) dell’erogazione di un reddito destinato ad assicurare a tutti l’equa partecipazione di tutti alla vita culturale politica e sociale del paese cui si appartiene (l’espressione è della Corte tedesca) all’accettazione di un’offerta di lavoro, in un paese ove il tasso di occupazione è l’ultimo tra i paesi UE (circa 59%, meno di oltre 20 punti dalla Francia e dalla Germania) e il numero di addetti ai servizi per l’impiego sono meno di 8.000 a fronte dei 120.000 della Germania. Inoltre i beneficiari del RDC erano obbligati a svolgere per 8 ore settimanali programmi di utilità generale (PUC) cioè corvées gratuite per i Comuni (nelle quali il “povero” espia la propria colpa) che non si sono mai allontanate di molto (nei pochi posti ove sono stati attivati) da attività di giardinaggio per le aiuole locali. L’avvitamento nel work-fare non solo ha generato una pressione indebita sulle persone beneficiarie (che l’opinione pubblica ha cominciato a colpevolizzare ed considerare parassitarie per vocazione), ma l’ aspettativa messianica ed irrealistica che, per il solo fatto che vi fosse una protezione pubblica delle persone più in difficoltà, i disastrati uffici del lavoro potessero miracolosamente inventare milioni di posti di lavoro («congrui» come prescrivono le Raccomandazioni UE) che il mercato italiano, per una serie di ragioni- ovviamente non risolvibili né nel breve né nel lungo periodo- è in grado di creare. Una campagna mediatica incessante da parte di quegli stessi media che oggi criticano il governo per la sua spietatezza ha incalzato soprattutto il partito che aveva voluto la legge, i 5stelle, con il tormentone dei divanisti incalliti, free riders che speculano sui sostegni sociali, cui nessuno ha saputo reagire ricordando ovvietà che negli altri paesi europei sono scontate come il «dovere dei soccorsi» già stabilito nella Costituzione giacobina essendo la libertà dal bisogno l’elemento di precondizione della dignità e della libertà del cittadino (principio costituzionalizzato all’art. 34 della Carta dei diritti UE). Un paese dove il numero degli occupati è il medesimo (circa 23 milioni) da circa trent’anni, dove il livello dei salari è diminuito (unico paese OCSE) sempre nel trentennio senza che i partiti ed i sindacati sentissero la necessità di introdurre un salario minimo legale, si è sdegnato ed è insorto contro i titolari di un reddito minimo che per gli stati che appartengono all’Unione non è un’opzione ma un correlato sociale necessario all’appartenenza ad un mercato unico. Sono stati chiesti controlli, sanzioni più severe, una condizionalità più stringente all’accettazione di ogni sorta di lavoretti. Prima ancora del Governo Meloni, il Ministro Bellanova dell’Agricoltura ha chiesto, in piena pandemia, l’utilizzo dei beneficiari del RDC per raccogliere i pomodori come più tardi ha ribadito il Ministro Lollobrigida rinnovando l’odio e la stigmatizzazione dei disoccupati in cui si era distinta la Ministra Fornero del lavoro del Governo Monti. L’idea di un lavoro dignitoso «congruo» è scolorito in questa escalation di violenza verbale contro i sussidiati così come è diventato un mantra nazionale il menare allo scandalo che si trovasse meno disponibilità nel reclutare il consueto esercito di manovalanza a basso costo per i vacanzieri d’estate grazie alle protezioni vitali pubbliche (che è anche una delle ratio di un reddito garantito per scoraggiare sub-lavori, soprattutto in difetto di un salario minimo legale). Già Ernesto Rossi e Altiero Spinelli nel Manifesto di Ventotene del 1941 ricordavano l’importanza di un reddito minimo per tutti i cittadini di un’Europa unita politicamente e liberata dal nazifascismo per combattere le offerte di lavori jugulatori. La sinistra e le forze progressiste non sono riuscite a contrastare questa ondata disciplinatrice e paternalistica, patriarcale per i suoi tratti più profondi, di una cultura della “redenzione” dei poveri attraverso il lavoro, illiberale e ottocentesca, incapace di affrontare la dimensione dei diritti della persona, della libertà e dell’autodeterminazione dei soggetti, dello sviluppo della loro capacità e dei piani di vita individuali come risorse essenziali di un dinamismo democratico ed emancipativo. Oggi qualcosa sembra cambiato: il primo punto della Carta dei principi della rete di cui si è parlato chiede che il reddito garantito non sia condizionato al lavoro perché presidio di libertà e di autonomia delle persone che tuttavia hanno il diritto che i servizi pubblici possano offrire loro occasioni «congrue» di occupazione e percorsi formativi capaci di fortificare le proprie aspirazioni. Certamente stiamo parlando di redditi minimi che dovrebbero- secondo gli standard internazionali – essere pari al 60% del reddito mediano riferito allo stato di appartenenza- e quindi non mancherebbe di certo lo stimolo alla partecipazione al mercato del lavoro laddove le offerte avessero una loro “qualità” (sia di durata temporale che di trattamento economico, superiore di almeno il 10% al reddito minimo percepito). Altri incentivi potrebbero essere previsti consentendo per qualche mese a chi ritrova lavoro di cumulare reddito minimo e reddito di lavoro, come prevede anche l’art. 14 del Pilastro sociale europeo nel quale si parla di «incentivi» all’inserimento occupazionale. Offerte lavorative e formative dovrebbero essere sotto il controllo e la regia pubblica (soprattutto quella dell’Anpal) evitando la contaminazione tra pubblico e privato che già si è infiltrata nel sistema del RDC attraverso i poteri troppo ampi attribuiti alle Agenzia per il lavoro.

 

2. Le nuove sub-prestazioni del D.L. n. 48

Passiamo ora al merito delle due prestazioni introdotte dal DL, le cui ragioni di necessità ed urgenza potrebbero essere problematiche in quanto causate da un atto di abrogazione della precedente misura nella legge di bilancio, senza una sostituzione immediata con altre misure nella sede più pertinente per una revisione di aspetti del welfare così importanti.

Innanzitutto tra le finalità delle due prestazioni sparisce il «contrasto alla disuguaglianza» e quella di «assicurare un livello minimo di sussistenza, incentivando la crescita personale e sociale dell’individuo» che invece erano menzionati tra gli obiettivi del RDC.

Cominciamo dalla prima misura che è quella “base”: l’assegno di inserimento dell’importo di 500 euro mensili (più eventualmente un contributo per l’affitto di 280 euro) incrementato secondo una scala di equivalenza parametrata al numero ed alle qualità degli appartenenti al nucleo familiare ripercorre lo schema del RDC anche se, in generale, riduce piuttosto energicamente l’effetto della scala di equivalenza con qualche vantaggio per i disabili. I requisiti (non oltre 9.360 ISEE, un reddito familiare di non oltre 6.000 complessivi annui, un patrimonio mobiliare non superiore ai 6.000 euro aumentato in relazione al numero dei componenti, un patrimonio immobiliare di valore non superiore ai 30.000 euro per le seconde case cui viene aggiunto il valore della casa di residenza ove superi i 150.000 euro) sono, salvo l’aggressione al principio, prima seguito per il RDC, della irrilevanza della casa di proprietà ove si abita, simili a quelli del RDC. Simile al RDC è la duplice strada indicata ai beneficiari della messa a disposizione dei servizi sociali per patti per l’inclusione oppure- se possono lavorare- dell’avviamento ai centri per l’impiego (per i quali non è previsto alcun rafforzamento) per la sottoscrizione di un progetto personalizzato di attivazione lavorativa o formativa[3].

La novità devastante concerne, però, che questo schema di protezione non riguarda tutte le famiglie che sono in stato di povertà e che soddisfano i severi criteri selettivi prima ricordati ma solo quelle che hanno nel loro nucleo un minore o un anziano o un disabile: è questa drastica selettività che porterà ad un allarmante ridimensionamento della garanzia dei mezzi elementari di vita escludendo, da quel che dicono le prime simulazioni come già accennato, centinaia di migliaia di già beneficiari del RDC.

Ha recentemente scritto sulla rivista online lavoceinfo Cristiano Gori, ascoltato studioso delle misure contro la povertà, ispiratore del REI, che pur sembra condividere dell’istituto europeo del reddito minimo garantito una versione molto austera[4]: «la riforma del reddito di cittadinanza abolisce il diritto di ogni cittadino- quale che siano la sua età, la condizione lavorativa o altro- a una vita minimamente decente. Questo diritto viene assicurato da tutti i paesi europei e l’Italia diventa l’unico a non prevederlo più. Difficile sottovalutare la portata storica di una simile scelta». Sono affermazioni che condividiamo in pieno: l’Italia non solo è stato l’ultimo paese a dotarsi, seguendo le indicazioni dell’Unione europea (e della sua Carta dei diritti all’art. 34.3.), di un sistema nazionale di contrasto al rischio di esclusione sociale onde garantire a tutti un’esistenza libera e dignitosa. Ma è anche lo stato membro che per primo è uscito dalla legalità sovranazionale contravvenendo non solo allo spirito ed alla lettera del suo Bill of rights dell’Unione (ribaditi all’art. 14 dell’European Social Pillar) ma persino ad una recente Raccomandazione del Consiglio del 30 gennaio 2023 a favore della quale l’attuale Governo ha votato. Famiglie che potrebbero avere un reddito familiare addirittura al di sotto dei 6000 euro annui o un ISEE ben inferiore ai 9.360 sono escluse per la mancanza di persone nel loro ambito che il legislatore ha ritenuto “meritevoli” di soccorso, anche se nessuno in famiglia è in grado di lavorare: lo stesso Gori parla di un «passaggio storico», una regressione morale, culturale e sociale del nostro paese in presenza dei persistenti dati allarmanti sul prima ricordato dilagante fenomeno del rischio di esclusione sociale che viene affrontato con mezzi che, per definizione, non riescono a coprire interamente neppure la quota di povertà estrema in base ad una classificazione dei “meritevoli” irragionevole ed eccentrica rispetto agli impegni “europei”[5] di ridurre in modo consistente e progressivo la mala pianta dell’esclusione sociale dai territori dell’Unione[6].

Alla prestazione dell’assegno se ne aggiunge un’altra denominata supporto per la formazione ed il lavoro che spetta ai soggetti(tra i 18 ed i 59 anni) che possono lavorare ma appartenenti a nuclei familiari che hanno un ISEE al di sotto dei 6000 euro annui (nelle bozze del DL si leggeva anche «in povertà assoluta») che godono di 350 euro, non integrabili in ragione del numero di persone che appartengono al nucleo né con contributi per l’affitto e, soprattutto, per soli 12 mesi non rinnovabili, contravvenendo così alle varie Raccomandazioni sul reddito minimo dell’UE[7] che stabiliscono che tutte le prestazioni di contrasto della povertà durino sino a che permane la situazione di bisogno[8]). I percettori sono obbligati a seguire corsi di formazione, ad accettare le offerte di lavoro proposte ma anche a partecipare a progetti utili alla collettività (torna così lo spettro dei lavori socialmente utili che la Corte di giustizia ed anche quella di cassazione sulla scia della prima ha ritenuto in linea generale forme truffaldine di mascheramento di un lavoro routinario sottopagato). L’ISEE cosi straordinariamente basso, non integrabile a certe condizioni verso una soglia più alta, l’entità del supporto e la durata della prestazione escludono in pratica che questo sussidio possa aiutare anche i cosiddetti working-poor, come faceva il RDC che consentiva di incrementare il salario percepito con un lavoro sino alla soglia minima di sussistenza.

Conclusivamente va rimarcato l’odioso, duplice, trattamento discriminatorio riservato ai migranti extracomunitari attribuendo il decreto governativo l’accesso alle prestazioni di sostegno al reddito ai soli titolari di un permesso di lungo soggiorno ma non a quelli di un regolare permesso di lavoro cui si aggiunge l’ ulteriore elemento di discriminazione indiretta (che colpisce anche gli stessi cittadini dell’Unione) nel richiedere una residenza abnorme di cinque anni nel nostro paese (di cui gli ultimi due continuativi) che, pur più bassa dei precedenti dieci anni, non appare in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia che ritiene ammissibili solo termini molto più brevi. Tali forme di discriminazione sono peraltro in contraddizione con la recente disciplina degli assegni familiari al quale sono stati ammessi sia i titolari di permesso di soggiorno per lavoro con un requisito di residenza più in linea con quanto ritenuto ammissibile dalla Corte dell’Unione. Questa scelta discriminatoria (che certamente connotava anche il RDC) appare oggi incredibile perché la Commissione europea ha già messo in mora l’Italia, in sostanza compiendo il prima atto necessario ad avviare una procedura di infrazione, proprio per il trattamento riservato ai migranti (comunitari ed extracomunitari) dalle precedenti forme di contrasto della povertà (Rei e RDC); si tratta quindi una aperta ribellione contro le indicazioni sovranazionali, persino dopo che la Commissione sul punto si è chiaramente espressa[9].

 

3. La fine del principio di “congruità” dell’offerta di lavoro

Comunque è sulle persone che possono lavorare che il DL realizza un cambio di registro anche culturale, dalla protezione e considerazione delle biografie dei beneficiari al work-fare più autoritario, in quanto aggredisce con determinazione il principio di “congruità” nell’offerta di lavoro (nelle sue varie componenti) che strutturava il sistema del RDC. Se effettivamente il RDC rispondeva a criteri di universalismo selettivo (rivolto solo a chi si trovava in grave difficoltà) ed era condizionato all’accettazione di proposte di lavoro va rimarcato che doveva trattarsi di un lavoro “decente” secondo criteri di equità (anche riguardo alla sua praticabilità) e di riguardo alle competenze ed all’esperienza delle persone. Nel RDC il soggetto era costretto ad accettare solo la terza proposta di lavoro (poi sono diventate due sotto il Governo Draghi), l’occupazione doveva trovarsi ad una distanza ragionevole dal luogo di residenza, il trattamento economico era quello contrattuale ma aveva necessariamente una durata minima (almeno sei mesi a tempo determinato o a tempo indeterminato) e, soprattutto l’offerta doveva rispettare l’insieme di competenze professionali del soggetto in modo da non dequalificarlo e di offrire alla persone una vera chance di valorizzazione individuale minimamente coerente con i percorsi già intrapresi. Scopriamo invece nel DL (art. 9) che l’offerta può anche essere a termine, anche in somministrazione e part-time (di almeno il 60% dell’orario pieno), ma la norma non fissa alcun limite minimo e quindi il rapporto può essere anche di un giorno con una distanza sino a 80 km dalla residenza (se è tempo indeterminato in tutto il territorio nazionale). Per dare un’idea dell’inaudita violenza, anche morale, che si eserciterà sul soggetto che riceverà una delle due prestazioni previste possiamo fare una simulazione: questi potrebbe essere costretto a recarsi per un giorno sino ad 80 KM da casa per un contratto part-time che, considerato che in alcuni settori il salario minimo è di circa 4 euro, comporterebbe un compenso di meno di 20 euro giornaliere, a pena di perdere il sussidio (che decade al primo rifiuto). Il principio di “congruità” attua principi già introdotti dalla Convenzione OIL del 1934 (ratificata dall’Italia post-fascista nel 1952) sul legittimo rifiuto di offerte di lavoro da parte dei beneficiari dell’indennità di disoccupazione (principi certamente estensibili alla percezione di risorse essenziali per una sussistenza decorosa) che poi le fonti dell’Unione europea hanno ulteriormente elaborato ma che il Governo ha platealmente ignorato. Una violenza mortificante nei confronti dei più deboli e degli esclusi per colpa di una società che non ha trovato sufficienti occasioni di lavoro “decente” e che oggi si vendica nei confronti delle vittime giudicate colpevoli dei tragici insuccessi di un sistema produttivo. E’ difficile oggi comprendere a pieno ed in concreto i meccanismi di irreggimentazione e di costrizione ai “lavoretti” che verranno dispiegati per accompagnare le persone sussidiate perché mancano ancora decine di decreti ministeriali che dovrebbero essere adottati in pochi mesi (nonostante i difficili concerti con il Garante della privacy ed addirittura con le Regioni), a cominciare da una schedatura di massa informatica degli esclusi che ricorda quella britannica dell’Universal credit, che hanno attirato l’attenzione della Corte di Strasburgo per violazione della privacy.

Il principio di “congruità sostanziale” dell’offerta di lavoro che vale in linea generale anche per i cassa integrati o i percettori di Naspi è richiamato (art. 5) da una previsione che riguarda beneficiari dell’assegno di inclusione relativa all’istituzione di una piattaforma digitale che «agevola la ricerca di lavoro, l’individuazione di attività di formazione e rafforzamento delle competenze tenendo conto da una parte delle esperienze educative e formative e delle competenze pregresse del beneficiario, dall’altra della disponibilità di offerte di lavoro, di corsi di formazione di progetti utili alla collettività». Manca una tassativa indicazione che le offerte dovrebbero rispettare in modo vincolante le competenze acquisite in quanto le dequalificazioni sono una forma di attentato alla dignità essenziale delle persone; la norma sembrerebbe solo un vago orientamento per i progettatori di questa piattaforma, non una chiara prescrizione per chi poi decide quale lavoro affidare[10]. Questa ambigua direttiva non opera per i percettori del «supporto» che invece rimangano in balia dei decisori amministratori che gestiscono quello che devono fare. Ma, anche a voler ipotizzare che il principio di congruità sostanziale sia in qualche modo penetrato nel DL, per lavori che presuppongono un minimo di qualificazione e di addestramento l’assunzione per un giorno o pochi mesi difficilmente può avere un valore di capacitazione reale e con effetti duraturi del soggetto, mancando il tempo materiale per l’inserimento nel processo produttivo. I soggetti in carico ben difficilmente potranno rifiutare offerte di lavoro di durata così esigua perché potrebbero perdere il sussidio dovendo dimostrare (davanti a chi: il giudice del lavoro?) che non sono coerenti con il loro bagaglio professionale e le loro competenze. La proclamata attivazione delle persone si converte così in un drammatico spreco di risorse umane, di dequalificazione forzata, che impoverisce la società e mortifica le persone. Infine la perdita totale del sussidio in caso di rifiuto anche di una sola proposta ci sembra sia in rotta di collisione con la finalità anche “alimentari “ e di emergenza umanitaria di un reddito minimo[11]: il Tribunale costituzionale tedesco, ad esempio, ha recentemente affermato che se il soggetto assistito contravviene agli obblighi previsti non può essere annullata la quota del RMG che consente l’accesso ai beni primari e cosi comunque operano le best practices dei paesi europei più progrediti socialmente[12].

Analogo discorso deve farsi per i programmi di inserimento formativo per i beneficiari del «supporto»: per costoro è previsto ( art. 12) l’adesione (forzata) a servizi di accompagnamento e orientamento al lavoro, l’inserimento in progetti di formazione erogati da soggetti privati o pubblici o da fondi paritetici interprofessionali e da enti bilaterali ed ancora partecipare a progetti utili alla collettività anche se conserva una qualche possibilità di indicare quali progetti di formazione preferisca ed ancora l’adesione ai servizi e percorsi formativi previsti dal Programma nazionale per la Garanzia occupabilità dei lavoratori (GOL). Si è generato uno stato di caos legislativo (una confusione simile regna per l’assegno) di percorsi, alcuni su proposta del beneficiario, altri disposti o richiesti da altri soggetti, in una contaminazione tra pubblico e privato nella quale scolorisce la precedente ambizione ad una regia pubblica- tra Centri per l’impiego e Anpal- ad una regia pubblica della politiche attive, di ingegneria sociale e di coordinamento razionale delle iniziative disponibili per incrementare le competenze delle persone. Come è stato notato: nel patto di servizio personalizzato (che vale sia per il supporto che per l’assegno) l’adesione ai servizi ed ai percorsi formativi della GOL[13] è puramente un’ipotesi tra le tante «attivazioni» con «totale svalutazione dei centri per l’impiego, così come del totale esautoramento dell’Anpal nell’organizzazione, gestione e monitoraggio delle iniziative destinate ai disoccupati poveri»[14]. Si tratta di una confusione di competenze che in generale mira a rafforzare il peso ed il ruolo delle agenzie per il lavoro: non solo queste possono attraverso la piattaforma, fare offerte di lavoro o servizi di orientamento, ma ancor prima nella stessa domanda per il supporto deve essere documentato che il soggetto si è rivolto ad almeno tre agenzie per il lavoro o enti autorizzati all’attività di intermediazione. Si è intervenuti peraltro in modo distruttivo annullando le precedenti esperienze: si dovrà ricominciare da capo dando una priorità ed un ordine all’insieme di misure disposte verso gli occupabili, illimitatamente soggetti ad ogni tipologia di comandi “nel loro interesse”. La molto complessa normativa di ben 18 articoli composti da vari commi peraltro non chiarisce mai chi sia l’autorità deputata all’eventuale impugnazione di questi comandi da parte del malcapitato beneficiario che – per ragioni sistematiche- dovrebbe essere il giudice ordinario del lavoro.

Secondo le indicazioni sovranazionali, oltre all’erogazione monetaria, dunque, il beneficiario deve essere eventualmente sostenuto attraverso forme di tariffazione agevolata (luce, gas, acqua ecc.); dei trasporti pubblici; ed anche per le spese impreviste ed eccezionali che è impossibilitato ad affrontare, ma di questa integrazione non vi è alcuna traccia.

 

4. Ignorata l’Europa

Si ricorda conclusivamente quanto stabilito il 30 gennaio nella Raccomandazione del Consiglio del 30 gennaio 2023 che anche l’Italia ha votato (che si aggiunge a quanto già precisato in quella del 1992 e del 2008 il cui contenuto è rimasto in vigore): «Si raccomanda agli Stati membri di fornire e, ove necessario, rafforzare solide reti di sicurezza sociale che garantiscano una vita dignitosa in tutte le fasi della vita, combinando un adeguato sostegno al reddito, mediante prestazioni di reddito minimo e altre prestazioni di accompagnamento monetarie e in natura, e fornendo un accesso effettivo ai servizi abilitanti ed essenziali. L’erogazione di prestazioni in natura può coadiuvare un solido sostegno al reddito. … Al fine di garantire un adeguato sostegno al reddito, si raccomanda agli Stati membri di fissare il livello del reddito minimo mediante una metodologia trasparente e solida definita conformemente al diritto nazionale e coinvolgendo i pertinenti portatori di interessi. Si raccomanda che tale metodologia tenga conto delle fonti di reddito complessive, delle esigenze specifiche e delle situazioni di svantaggio delle famiglie, del reddito di un lavoratore a basso salario o di un lavoratore che percepisce il salario minimo, del tenore di vita e del potere d’acquisto, dei livelli dei prezzi e del relativo andamento, nonché di altri elementi pertinenti. …Pur salvaguardando gli incentivi alla (re)integrazione e alla permanenza nel mercato del lavoro per chi può lavorare, si raccomanda che il sostegno al reddito delle persone che non dispongono di risorse sufficienti raggiunga un livello almeno equivalente a uno degli elementi seguenti: a) la soglia nazionale di rischio di povertà; oppure b) il valore monetario dei beni e dei servizi necessari, tra cui un’alimentazione adeguata, l’alloggio, l’assistenza sanitaria e i servizi essenziali, secondo le definizioni nazionali; oppure c) altri livelli comparabili ai livelli di cui alla lettera a) o b), stabiliti dalla legge o dalla prassi nazionale.

Si raccomanda agli Stati membri di garantire che tutte le persone che non dispongono di risorse sufficienti, compresi i giovani adulti, siano coperte da un reddito minimo stabilito per legge, definendo: a) criteri di ammissibilità trasparenti e non discriminatori che salvaguardino l’accesso effettivo al reddito minimo a prescindere dalla disponibilità di un indirizzo permanente, assicurando nel contempo che la durata del soggiorno legale sia proporzionata; b) soglie per l’accertamento delle fonti di reddito stabilite in base al tenore di vita di famiglie di diverso tipo e di diverse dimensioni in un determinato Stato membro e che tengano conto in modo proporzionato degli altri tipi di redditi (e patrimoni) del nucleo familiare; c) il tempo necessario per trattare la domanda, garantendo nel contempo che la decisione sia emessa senza inutili ritardi e nella pratica non oltre 30 giorni dalla presentazione della domanda stessa; d) la continuità dell’accesso al reddito minimo fintanto che le persone che non dispongono di risorse sufficienti soddisfano i criteri e le condizioni di ammissibilità stabiliti dalla legge, prevedendo nel contempo riesami periodici dell’ammissibilità e garantendo l’accesso a misure specifiche e proporzionate di inclusione attiva per le persone in grado di lavorare; e) procedure di reclamo e di ricorso semplici, rapide, imparziali e gratuite, garantendo nel contempo che le persone che non dispongono di risorse sufficienti ne siano a conoscenza e abbiano un accesso effettivo a tali procedure; f) misure volte a garantire che le reti di sicurezza sociale rispondano a vari tipi di crisi e siano in grado di attenuare efficacemente le conseguenze socioeconomiche negative di tali crisi.

Si raccomanda agli Stati membri di incoraggiare o agevolare il pieno utilizzo del reddito minimo: a) riducendo gli oneri amministrativi, anche mediante la semplificazione delle procedure di domanda e la fornitura di indicazioni passo per passo a coloro che ne hanno bisogno, prestando nel contempo attenzione alla disponibilità di strumenti digitali e non digitali; b) garantendo l’accesso a informazioni facilmente fruibili, gratuite e aggiornate sui diritti e sugli obblighi connessi al reddito minimo; c) rivolgendosi alle persone che non dispongono di risorse sufficienti per sensibilizzarle e agevolare l’utilizzo del reddito minimo, in particolare tra le famiglie monoparentali, anche attraverso il coinvolgimento dei pertinenti portatori di interessi a livello nazionale, regionale e locale; d) adottando misure per combattere la stigmatizzazione e i pregiudizi inconsci legati alla povertà e all’esclusione sociale; e) adottando misure per migliorare o sviluppare metodologie di valutazione e valutando periodicamente il mancato utilizzo del reddito minimo in base a tali metodologie e, se del caso, le relative misure di attivazione del mercato del lavoro, individuando gli ostacoli e mettendo in atto misure correttive».

Ci sembra, conclusivamente, che le misure introdotte che ridurranno di centinaia di migliaia (secondo le prime valutazioni) di persone la platea dei beneficiari di un sostegno contro la povertà e che introducono sistemi di avvio coercitivo al lavoro precario e dequalificato siano non rispettosi della Raccomandazione i sotto molteplici aspetti prima indicati.

Nella sua originaria proposta di Raccomandazione la Commissione aveva ricordato che «The European Semester process of economic and employment policy coordination has highlighted structural challenges related to minimum income schemes and related elements such as social inclusion and labour market activation, with a number of Member States receiving related country specific recommendations. The revised social scoreboard20 tracks performance and trends in the Member States, enabling the Commission to monitor progress in addressing the country-specific recommendations. The 2022 guidelines for the employment policies of the Member States state that social protection systems should ensure adequate minimum income benefits for everyone lacking sufficient resources and promote social inclusion by encouraging people to actively participate in the labour market and society, including through targeted provision of social services. For strengthening analytical work, a benchmarking framework was agreed in the Social Protection Committee and its results have been reflected in the Joint Employment Report, country reports and country-specific recommendations».

La Commissione ha in sostanza avvertito gli stati che gode già di efficaci poteri di sorveglianza macro-economica nell’ambito del semestre europeo come si è visto anche negli ultimi anni nei quali le Raccomandazioni specifiche all’Italia stigmatizzavano sino al 2019 l’insufficienza delle nostre politiche di contrasto alla povertà e l’eccessivo e preoccupante numero di persone a rischio di esclusone sociale. Nella Raccomandazione del 2021 all’Italia (nel semestre europeo) la Commissione lodava l’estensione del RDC attraverso il reddito di emergenza ma si preoccupava per il fatto che fosse a tempo, chiedendo in sostanza che si migliorassero le politiche già introdotte. Sappiamo tutti che cosa significa resistere alla Commissione nel semestre europeo: studiosi ed esperti hanno già osservato che una grave inadempienza in questo settore, che l’Unione considera strategico perché cartina di tornasole della sostenibilità sociale del modello economico europeo, potrebbe anche comportare l’esclusione dai fondi sociali.

Insomma l’Italia, che già avrà un esame severo da parte della Commissione sulla sostenibilità dei suoi conti, per risparmiare risorse, certamente reperibili in altri settori non così delicati, ai danni degli ultimi rischia di essere esclusa dai fondi di coesione o si trovi in una posizione insostenibile nel fatidico semestre europeo. L’incremento dei poveri e degli esclusi, per effetto del dimagrimento di una misura di protezione sociale che già la Commissione aveva suggerito di estendere, non sarebbe di certo ignorato e potrebbe costarci cara, così come l’Italia potrebbe essere esposta a reclami collettivi promossi dalle associazioni sindacali o delle ONG autorizzate avanti il Comitato dei diritti sociali del Consiglio d’Europa per violazione degli artt. 30 e 31 della Carta sociale europea.

 

5. Conclusioni

Ci si augura, quindi, che come promesso le forze di opposizione sviluppino una battaglia parlamentare determinata ed aspra che possa riuscire ad attenuare qualche brutalità del decreto, anche se sembra piuttosto improbabile, visto che gli attuali governanti mirano a metter le mani sui fondi che sono stati destinato al RDC (almeno per due miliardi).

Ma le forze di opposizione, supportate dalla società civile democratica, hanno anche un’altra occasione per reagire da subito: potrebbero nelle realtà ove governano – Comuni, Province, Regioni, cercare di sperimentare forme di reddito minimo garantito che sappia offrire ai cittadini in difficoltà spazi di libertà ed autodeterminazione proteggendoli ma senza indurli paternalisticamente a scegliere occupazioni, peraltro non disponibili se “congrue”. Si potrebbe anche partire, in chiave antidiscriminatoria, con il garantire i minimi vitali a tutti i single che il decreto legge esclude in radice dalla protezione a meno che non siano essi stessi disabili sulla base di una concezione della famiglia pre-moderna e condivisa solo negli ambienti ministeriali.

A livello planetario sono nate in pratica in tutti i continenti sperimentazioni di forme di tutela del reddito minimo più avanzati di quelli tradizionali del RMG nella direzione di sistemi universalistici e non condizionali. Queste sperimentazioni hanno forme molto diverse (anche perché molto diverse sono le platee, città, regioni, stati etc. ed anche le forme di finanziamento pubblico ma anche talvolta privato) ma certamente il primo e più diffuso obiettivo sembra essere quello di verificare se il condizionamento al lavoro sia necessario alle persone e come reagiscano queste, una volta che ricevano il beneficio ma non sono costrette ad attivarsi secondo schemi burocratici e gerarchici, insomma come usano della loro “libertà”. Anche in Europa ove la narrazione sulla protezione dei minimi vitali ha una tradizione solida e di natura costituzionale si stanno sviluppando importanti forme di sperimentazioni verso un reddito di base, di cui la più famosa è quella promossa dal governo finlandese proprio per studiare l’utilità delle politiche di condizionamento al lavoro, ma si moltiplicano anche altre esperienze di selezione di target specifici per l’attribuzione di redditi di base incondizionati (un esempio è quello degli artisti e dei creativi da molti anni tutelati dalle legislazioni di alcuni paesi del Nord come Belgio o Olanda, altri esempi potrebbero venire da «redditi per la formazione»). Ancora con i Fondi europei sono stati elaborati progetti per la sperimentazione di nuove iniziative di cooperazione sociale che incrociano tutela del reddito, utilizzo di piattaforme pubbliche e produzioni innovative (Parigi, Barcellona) e che intendono mostrare come il basic income può contribuire a costruire alternative all’attuale sviluppo economico. In alcune situazioni monete locali connesse a servizi per la cittadinanza hanno cercato di integrare e completare questa nuova dimensione di un common-fare comunitario e solidale, nell’eguale protezione dei minimi vitali per tutti i cittadini, senza contropartite o costrizioni di sorta.[15]

Risalire la china è possibile anche se ci vorrà il tempo per costruire un’alterativa. Nell’ultimo film di Ken Loach presentato a Cannes, i cui film sono dei vigorosi manifesti contro il work-fare e le violenze morali sui poveri, gli abitanti di un paesetto inglese colpito dalla crisi cementano un’alleanza con i profughi siriani, consumando collettivamente con questi pranzi collettivi rigeneranti e attestano il loro sogno con un grande striscione sul quale si legge «FORZA, SOLIDARIETA’, RESISTENZA». Abbiamo bisogno di costruire anche noi, sul tema del reddito minimo, che costituisce la cartina di tornasole dell’equità di una società, il nostro striscione solidaristico.

Giuseppe Bronzini
già presidente di sezione della Co08rte di cassazione, segretario generale del Movimento Europeo

 

Note

[1] Per leggere la Carta: https://www.bin-italia.org/ci-vuole-un-reddito-la-carta-dei-principi-per-un-reddito-garantito/

[2] Cfr. la riflessione di A. Montebugnoli, Il bambino e l’acqua sporca del reddito di cittadinanza, leggibile a: https://www.bin-italia.org/il-bambino-e-lacqua-sporca-del-reddito-di-cittadinanza-1/ 

[3] Molto opinabile è però l’ esclusione dall’assegno dei soggetti che hanno ricevuto una condanna ad almeno un anno di reclusione, anche convertito in una multa (mentre per il RDC erano esclusi solo coloro che si erano macchiati di gravissimi reati contro la personalità dello stato o di natura associativa) che difetta di razionalità (in genere i paesi membri dell’Unione non hanno forme di sanzione indiretta degli illeciti di reati non straordinariamente gravi e molto diffusi) portando questi soggetti in una situazione di disperazione che può indurli alla recidiva e di senso di equità perché ricomprende anche ipotesi di reati di minima entità.

[4] Cfr. anche E. Granaglia, Lavoro e sostegno ai poveri: alcune tensioni trascurate, in Etica e economia online.

[5] Da questo punto di vista riteniamo che la restrizione introdotta sia incostituzionale per “irragionevolezza” ex art. 3.2 della Costituzione.

[6] Gli obiettivi strategici dell’Unione per il 2030 contemplano una riduzione di 15 milioni di poveri nei territori UE.

[7] Del 1992, 2008 e del 2023.

[8] La Carta dei diritti UE all’art. 34.3 e l’art. 14 del Pilastro sociale europeo evidenziano solennemente che il diritto a godere di un’assistenza sociale ed abitativa diretta a garantire il diritto ad una esistenza libera e dignitosa spetta «a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti». La Raccomandazione del Consiglio del 30.1.2023 è un atto adottato nel quadro dell’Action plan della Commissione per l’attuazione del Pilastro sociale.

[9] Cfr. G. Bronzini, Tre iniziative nello spazio pubblico europeo per contrastare il decreto legge governativo povertà, https://www.bin-italia.org/tre-iniziative-nello-spazio-pubblico-europeo-per-contrastare-il-decreto-legge-governativo-poverta/

[10] Va osservato che per i piani personalizzati che vengono sottoscritti per coloro che hanno l’assegno o il supporto vi è un riferimento all’art. 20 del Decreto legislativo n. 150 del 2015; a sua volta l’art. 20 richiama l’art. 25 del decreto che stabilisce un’offerta “congrua” che tenga in considerazione le esperienze e le competenze del soggetto. Ma queste correlazioni nella nuova normativa rimangono volutamente nebulose perché le norme mai si peritano di specificare che chi offre un’occasione di lavoro (che non può essere rifiutata anche se è di un solo giorno) debba rispettare anche il disposto dell’art. 25 del decreto n. 150 del 2015 e chi sia l’autorità competente a poter giudicare questa coerenza. Va ricordato che un’articolazione dell’art. 25 è indubbiamente il nuovo istituto della GOL ( garanzia occupazionale lavoro) che attribuisce all’Anpal l’elaborazione di progetti di presa in carico dei beneficiari anche del reddito” testati” a seconda della loro effettiva occupabilità; come già ricordato questa regia strategica dell’Anpal sulle dinamiche di reinserimento lavorativo è stata molto offuscata ed indebolita in quanto l’intervento dell’Anpal nel nuovo sistema di work-fare del decreto legge n. 48 è solo eventuale.

[11] Il DL sembra anche in tensione con la Convenzione OIL sull’indennità di disoccupazione (ratificata dall’Italia) in ordine al legittimo rifiuto di offerte di lavoro da parte del beneficiario (ad esempio in territori ove è difficile trovare un alloggio etc.) che dovrebbero quanto indirizzare anche le prescrizioni sul dovere di accettare occasioni di occupazione per soggetti esclusi incolpevolmente dal mercato del lavoro o sottopagati al punto da non raggiungere la soglia vitale.

[12] Sentenza del 5.11.2019; il link alla comunicato del Tribunale costituzionale in inglese: https://www.bundesverfassungsgericht.de/SharedDocs/Entscheidungen/EN/2019/11/ls20191105_1bvl000716en.html

[13] Sussistono peraltro dubbi molto diffusi che le già effettuate “prese in carico” nell’ambito dei processi formativi di GOL non siano meramente “cartacei” cioè che si convertano in efficaci corsi di formazione o in offerte di lavoro autentiche. Cfr. G. Puglietti, Politiche attive, la sfida decisiva è la formazione, in Il Sole24ore, 12 maggio 2023.

[14] Lucia Valente, Politiche attive: Anpal ai titoli di coda, in Lavoceinfo.

[15] Per una descrizione più completa delle sperimentazioni rinviamo agli articoli usciti nel sito del Bin Italia- www.bin-italia.org

 

Già pubblicato su Questione Giustizia

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